martedì 27 dicembre 2016

La vergogna non è Grillo. La vergogna d'Italia sono quelli che lo votano. Lui l'Appendino e la Raggi.

UN MILIONARIO FUORI DI TESTA

Un festoso inno alla povertà: senza soldi si sta meglio.
di GIUSEPPE TURANI | 
Qualche anno fa aveva scoperto la decrescita felice, un’idea del sociologo francese Serge Latouche (che se la coltiva in splendido isolamento) e subito al comico genovese era sembrata una genialata. Perché fare tanti sforzi per crescere? Per riempire il mondo di frigoriferi e di automobili? Tutta roba che abbiamo già.
Meglio allora andare indietro, si cammina a piedi o in bicicletta (qualche dubbio sul frigorifero, se no dove le tieni le ostriche?), non si consuma energia, non si inquina e si sta anche meglio in salute. In sostanza l’obiettivo della fase “decrescita felice” è un ritorno all’Italia anni Quaranta o anche un po’ prima.
Inutile dire che l’idea è orrenda. Eppure il comico, dalla tolda dello  yacht che affitta in estate per splendide vacanze nei mari della Sardegna, trova tanti dementi nelle periferie urbane che gli danno retta e che si proclamano seguaci della decrescita felice.
Poiché non sta bene e non legge niente, al comico non viene in mente che un paese con già tre milioni di disoccupati se dovesse imboccare la via della decrescita felice arriverebbe rapidamente a sei, forse a nove milioni, tutti felicemente a spasso nei giardinetti pubblici o sui lungomare.
Ma, con il passare degli anni e viste le code nei negozi per le feste natalizie, al comico è venuto il sospetto che quella della decrescita felice non sia la strada giusta: troppo lunga, troppo complessa e, forse, gli è anche venuto il sospetto che la gente non ha tanta voglia di andare indietro.
Allora, ecco il colpo di genio (mentre era in vacanza a Cortina, pare). La nuova idea è puntare direttamente sulla povertà. Se si è poveri, spariscono un sacco di problemi: nessuno ti ruba niente, difficile che tu possa peggiorare il tuo tenore di vita, nessuno ti fila per i tuoi soldi (che non hai, ovviamente), nessuno cercherà di venderti l’ultimo modello di iPhone o di Ipad. Vivrai sereno, contemplando il volo dei gabbiani e ascoltando il canto degli uccelletti, magari tenendo per mano il tuo figlioletto e addestrandolo a una vita di dignitosi stenti.
E avrai anche il tempo per darti alla cultura: poeti elisabettiani, grandi scrittori russi e francesi, Virginia Wolf, la Bibbia.
Nessuno c’era mai arrivato prima, nemmeno Carlo Marx, che pure aveva passato ore e ore, giornate intere, nella biblioteca del British Museum a studiare la cosa: l’uomo nuovo, l’uomo del futuro, nasce dal suo decidere di essere povero.
Questo, fra l’altro, risolve anche il problema secolare della politica: la politica non deve fare niente (forse non deve nemmeno esistere), deve solo lasciare che il mondo vada in rovina da solo. In un paesaggio di macchine agricole inoperose, fabbriche arrugginite, palazzi cadenti, operai e contadini festanti a cantare per le strade, finalmente liberati dalla dura fatica.
Basta noiosi dibattiti sulla concentrazione della ricchezza: tutti si tenderà a zero, alla povertà accertata. E tutti, si starà bene, in pace con se stessi e con gli altri (tutti ugualmente in miseria). Cesseranno anche i flussi migratori: chi volete che voglia venire in un paese in cui sono tutti poveri? Nessuno, meglio stare nei deserti etiopi, almeno là c’è  la sabbia e si può prendere il sole.
Tutto questo è raccomandato da un comico miliardario, che tiene villa lusso a Genova, villa superlusso a Marina di Bibbona (Toscana) più altre residenze nel mondo.
La villa di Bibbona (su due piani, otto camere da letto, sette bagni, cinque ettari di parco e piscina) viene affittata, quando il comico-filosofo della povertà è in vacanza sullo yacht, a 14 mila euro alla settimana: praticamente lo stipendio annuale di un ingegnere al primo impiego.
Che senso ha tutto questo? Nessuno. In una vera società di poveri nessuno affitterebbe una villa del genere nemmeno per un giorno, nessuno dovrebbe faticare un anno per 14 mila euro. Tutti al bar tutto il giorno. 
Chi paga? Ma Grillo, diamine.
(Da "Tiscali.it" del 27 dicembre 2016)

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