giovedì 6 ottobre 2016


Il No della sinistra al referendum deriva dalla sua incapacità di adeguarsi ai cambiamenti

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REFERENDUM COSTITUZIONALE

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Nei dibattiti sul referendum costituzionale si vanno facendo più chiare le diverse posizioni e le diverse ragioni che ispirano le scelte per il Sì o per il No. Per il Sì si schierano coloro che vedono nella conferma della riforma costituzionale un'occasione per sbloccare il nostro paese, dotarlo di strumenti più efficaci, adeguarlo alle nuove sfide europee e mondiali e farlo uscire dalla lunghissima transizione in cui è da troppo tempo immerso. 
Il fronte del No è invece più composito. Vi è chi è sinceramente convinto dell'insufficienza delle soluzioni che sono state trovate a problemi reali; chi, di destra o di sinistra, vede il referendum come un'occasione ghiotta per dare un colpo al premier Renzi e mandarlo a casa (e non c'è dubbio che lui stesso abbia alimentato questa posizione con una personalizzazione poi riconosciuta errata) e vi è ancora chi vede nella riforma, soprattutto se considerata in congiunzione con l'italicum, una deriva autoritaria che intacca il principio della sovranità popolare. Per quanto mi sia sforzata di fare una lettura attenta del testo della legge, francamente non ho trovato riscontri a tale teoria. Mi sento pertanto di affermare che in una buona parte della sinistra è scattato ancora una volta il riflesso conservatore.
Presentando il partito democratico in gestazione, nel 2007, Walter Veltroni nel suo storico discorso del Lingotto lo presentava come "il partito dell'innovazione, del cambiamento realistico e radicale, della sfida ai conservatorismi, di destra e di sinistra, che paralizzano il nostro paese" e invitava anche il sindacato a dimostrare di poter essere protagonista di un nuovo patto: "non deve tutelare solo lavoratori e pensionati, deve sapere tutelare anche i giovani che faticano a entrare nel mondo del lavoro". Era il progetto di una sinistra riformatrice, capace di incidere sul governo delle cose, in un mondo nuovo, totalmente cambiato dopo il crollo del muro di Berlino, la fine della guerra fredda, la globalizzazione e l'interdipendenza inarrestabili. 
Ora, dopo tante e alterne vicende, possiamo dire che quel progetto fatica, e molto, ad affermarsi. E il sentimento di conservazione che emerge in questa campagna referendaria in aree consistenti della sinistra, interna ed esterna al Pd, ne è il sintomo evidente. È come se l'innovazione spaventasse, come se si avesse reticenza a inoltrarsi su terreni inesplorati. Me lo ha confermato l'intervento di Alfredo Reichlin, una testa pensante della politica, capace di vedere con lucidità i problemi. 
Ebbene, Reichlin motiva il suo no col fatto che nella riforma costituzionale avverte una certa dose di "antiparlamentarismo" e perché considera questo referendum una forma di "plebiscitarismo" a favore di Renzi. Come se si alterassero i valori costituzionali fondamentali. Una posizione condivisa con uno dei massimi sostenitori del No, il costituzionalista Gustavo Zagrebelsky, il quale sostiene che con la riforma si ha "l'umiliazione del parlamento elettivo davanti all'esecutivo" e che "il popolo sovrano è stato spodestato". Insomma, a ispirarla sarebbe non una maggiore dignità della rappresentanza e del parlamento con un rapporto più chiaramente esplicitato con il governo - anche al fine di evitare ripetuti ricorsi ai voti di fiducia (che questi sì umiliano il parlamento perché impediscono il confronto e la discussione di merito), - bensì l'"antiparlamentarismo"! In realtà, se trasferimenti di potere sono contemplati, questi riguardano le due Camere attuali (dal Senato alla Camera dei deputati), non da queste all'esecutivo. 
Da dove nasce allora il conservatorismo della sinistra, che ha portato all'annacquamento del discorso fondativo di Veltroni e a mettere piombo sulle ali di quel progetto? Non voglio parlare ora di ragioni di potere e di spazi e ruoli personali, che pure esistono e che ispirano alcuni sostenitori del no all'interno del Pd. Mi interessano le ragioni storiche e culturali che sono alla radice di atteggiamenti conservatori. Sarebbe troppo lungo risalire alle strettoie nelle quali doveva muoversi il Pci nell'epoca della guerra fredda, alla lotta fra massimalismo e riformismo, fino a quando Berlinguer non intravide la strada con la Terza via e l'eurocomunismo, anche se mancavano gli agganci internazionali che avrebbero potuto consolidare quell'intuizione. 
La svolta si ebbe con la Bolognina di Occhetto, dopo il crollo del muro di Berlino. Operazione storica. Che però fu inficiata, già allora, proprio dall'opposizione conservatrice. Produsse una contrarietà e un'ostilità così dure che i dirigenti di allora non ebbero la forza di elaborare e promuovere fino in fondo una cultura politica adeguata alle nuove circostanze storiche e alla rivoluzione geopolitica che aveva reso necessaria quella svolta. Non vi fu un processo di trasformazione degli strumenti di analisi del nuovo contesto e di costruzione di una fisionomia rinnovata del nuovo partito. Fisionomia che non doveva riguardare tanto i principi ispiratori - che erano da tempo quelli costituzionali: eguaglianza, libertà, diritti, pluralismo - ma il come renderli attuali ed effettivi, come realizzare un nuovo welfare, politiche ambientali, sviluppo sostenibile. Il nuovo partito è rimasto in bilico fra innovazione, riformismo e conservazione. Quello che si è praticato negli anni successivi è una sorta di "riformismo opportunistico", legato alle contingenze.
Le scissioni che sono seguite alla svolta, a più riprese, hanno poi creato un blocco della conservazione che oggi fa da catalizzatore di una parte del No. Conservazione, nel senso di attaccamento al passato, incapacità di vedere il nuovo e la necessità di attrezzare diversamente la sinistra. Direi che questo No, come altri, è anche sintomo dell'incapacità di trovare soluzioni adeguate alle nuove domande della nostra epoca e questo spinge alla difensiva. Ciò non accade solo in Italia, peraltro. È un deficit di elaborazione che riguarda tutto lo schieramento socialista e democratico europeo, come dimostrano gli altalenanti e spesso contraddittori atteggiamenti sul problema dei migranti.
Come diceva Norberto Bobbio, "destra e sinistra non sono parole che designano contenuti fissati una volta per sempre. Possono designare diversi contenuti secondo i tempi e le situazioni". Ecco. Il conservatorismo della sinistra deriva da questa mancanza di adeguarsi ai cambiamenti per cercare, se possibile, di indicare nuove direzioni.

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