lunedì 3 ottobre 2016

Un ottimo servizio di Francesco Oggiano. Questo è il modo vero di fare informazione.

VANITY STORIES

Estorsore o solo «minchione»?


A cinque mesi dal blitz, siamo andati a trovare il giornalista Pino Maniaci. Scoprendo che, se estorsore è stato, è stato piuttosto incapace. E che anche le parole contano

Io sto sempre con le pezze al culo, non me ne fotte niente» 

Forse ho davanti l'estortore più incapace di tutta la storia delle estorsioni. Uno che per tre anni ha ricattato tre persone per qualche centinaia di euro; un che ha continuato ad attaccare le sue vittime anche dopo «aver chiesto soldi in cambio del silenzio»; uno che, alla fine del suo «disegno criminale», si è ritrovato davanti a me con un'Opel Astra scassata, dei vestiti mai cambiati e un rosso in banca di 4 mila e 800 euro.

«L'estortore», quello che in preda a un delirio di onnipotenza avrebbe preteso denaro dai sindaci del palermitano in cambio di una linea morbida del suo tg, non ha bocca. Ha un paio di baffoni grandi nei quali s'infila ogni tanto una sigaretta e sotto i quali escono tante parole, una voce profondissima e un discreto numero di parolacce. Siede su una delle cinque sedie dell'appartamento in una contrada di Partinico, vicino Palermo. Un bagno funzionante, uno sgarrupato, tre stanze da letto riconvertite in sale di montaggio e uno stanzone grande (la cucina/soggiorno) pieno di schermi, foto appese ai muri e una gigantografia di Falcone e Borsellino. È la redazione di Telejato.

Pino Maniaci è solo, con i due cani Cucciolo e Ninni che si trascinano sul divano: «Il resto della redazione è andato al matrimonio di Martina, la nostra giornalista di punta». Lui oggi è vestito piuttosto bene. Andrà dopo, per il taglio della torta. I giornalisti non lo hanno lasciato: «E neanche i telespettatori. Siamo tornati in onda registrando ascolti più alti. Niente è cambiato». A parte l'immagine che il mondo aveva di lui. 
«Io parlo scuffatu»
Che significa?
«Uso minchia come virgola e cazzo come punto». 

Quando immagini un simbolo antimafia, pensi a un signore con la faccia secca e la fronte stempiata che con cammina avvolto in una giacca verso l'ufficio, consapevole del martirio che l'aspetta. Non te lo immagini dormire, mangiare, pavoneggiarsi o «fottere». Pensandolo impeccabile e sovrumano, disimpegni te stesso, peccatore e umanissimo, dall'impegno civile che quello sta dimostando. Ecco, purtroppo per noi, Pino Maniaci è stato il simbolo meno simbolico dell'antimafia. In questa tragedia siciliana dove ogni eroe diventa carnefice e ogni pecora si scopre lupo, bisogna forse trascrivere le parole così come sono uscite dalla bocca di quest'uomo di 63 anni e partire dall'inizio. Quando a Partinico, in Provincia di Palermo, veniva «preso a schiaffi in bocca da mia madre, santa donna molto religiosa, ogni volta che dicevo minchia».

Pino, parole del genere, le ha sempre usate come intercalari. Prima a casa, poi a scuola. Si matura al liceo classico, poi inizia Medicina. «Diedi 22 esami in quattro anni. Poi, mi persi per il pelo. Perché il pelo mi è sempre piaciuto». Pino lascia l'Università e apre un'azienda edile, ma gli affari non fanno per lui. È ansioso, inefficace, poco saldo nella sua gestione. «È una macchina in corsa a tutta velocità sempre sul punto di finire fuori pista», per usare le parole di Pif.

Come se non bastasse, nel 1988 viene rinchiuso al carcere dell'Ucciardone per tre mesi, accusato di essere un trafficante internazionale di eroina. «Avevano sbagliato persona. Il Giuseppe Maniaci trafficante era un mio cugino. Io venni assolto con formula piena. Ma quando uscii, scoprii che i miei assegni erano stati protestati... Così entrai in carcere da innocente e ne uscii da delinquente». Nel giro di pochi anni, Pino subisce processi per assegni a vuoto («Almeno una ventina»), per truffa («Colpa dell'assicuratore che mi aveva fatto un tagliando fasullo») e persino per furto. «Avevo preso degli assegni dal cassetto di mio cognato».
«Sono gli altri che scelgono»
Cosa?
«Se farmi paladino o stronzo»

Sommerso dai debiti e dai processi, porta in tribunale i libri della sua azienda edile. Poi nel 1999 rileva Telejato. Non è un colpo di fulmine per il giornalismo a convincerlo. «La verità fu che me la proposero. Era una ex tv comunista sull'orlo del fallimento. Aveva 60 milioni di lire di debiti nei confronti del Ministero. La presi a costo zero e in cambio ottenni di dilazionare il debito, che ho finito di pagare nel 2009».

Pino inizia da una piccola stanza, con i computer bianchi e grossi. «Scendevo in mezzo alla strada e parlavo con le persone. La prima inchiesta è stata sull'inquinamento ambientale». Poi, visto che le persone fanno a gara per raccontargli i retroscena della malavita locale, inizia a parlare della famiglia Fardazza, dei Vitale. Il momento più bello della sua vita è quando vengono demolite le Stalle di Valguarnera, «che rappresentavano il simbolo dell'abusivismo mafioso». Quello più brutto quando viene «massacrato di botte» da due ragazzi, secondo lui per quell'inchiesta. Arrivano i premi, la notorietà nazionale, l'inserimento tra i 100 Giornalisti eroi nel mondo scelti da Reporters sans frontières. Pino diventa un paladino della nuova antimafia. «Ma io non mi sono mai definito tale. Sono gli altri che scelgono di farmi paladino oppure stronzo». E all'alba del 4 maggio 2016, Pino diventa «lo stronzo». Viene prelevato all'alba da casa da due capitani dei Carabinieri e portato in caserma assieme a 12 sospetti mafiosi locali. Pino non va in galera, ma deve lasciare la sua Partinico. È indagato per estorsione: avrebbe preteso denaro da due sindaci del palermitano in cambio di un trattamento «morbido» da parte del suo Tg nei confronti delle amministrazioni. Gli episodi che gli vengono contestati sono tre, per un totale di meno di 400 euro.

1) LE MAGLIETTE PER 2 MILA EURO
Maggio 2013. Secondo le accuse, Pino avrebbe costretto Gioacchino Polizzi, l'assessore al comune di Borgetto (Palermo) a comprare delle magliette per Telejato del valore di 2 mila euro e a pagargli tre mesi di affitto per un'abitazione. In cambio, non avrebbe divulgato un servizio in cui parlava delle sue parentele con soggetti mafiosi. Ma la verità, in Sicilia, è una questione di accento e parole sussurrate al telefono, intercettate e poi trascritte. «Polizzi aveva una tipografia. Gli chiesi delle magliette per Telejunior, la nostra scuola di giornalismo per i più giovani. Lui neanche me le fece. Mi rivolsi a un altro», spiega Pino mostrandomi una delle magliette arancioni incriminate. «Le tre mensilità di affitto? Non ne so niente. Noi, d'intesa col Comune mandammo i ragazzi della scuola nella sede della Protezione Civile per i tre mesi estivi. Quella sede era in affitto presso un privato. E immagino che l'assessore pagò quei tre mesi all'affittuario». La logica, forse, favorirà Pino. Perché è lo stesso assessore, intercettato al telefono, che continuerà a lamentarsi di Pino e dei suoi servizi televisivi contro l'amministrazione. Che estortore è, uno che prima ti minaccia di farti un danno e poi, nonostante l'hai pagato, ti fa proprio quel danno? E sarà ancora lo stesso assessore, interrogato dai Carabinieri, a negare di aver mai ricevuto richieste di denaro da Pino.

2) L'ESTORSIONE DA 366 EURO 
Il secondo episodio è quello più famoso, nei confronti del sindaco di Borgetto Gioacchino De Luca. Il primo cittadino, che pure per tre anni non ha mai denunciato nessuna vessazione o ricatto di Maniaci, una volta interrogato dai Carabinieri ha parlato a ruota libera. Ha detto che aveva dava soldi a Maniaci per paura he quello lo «infangasse come amministrazione comunale». Pino conferma il denaro, ma nega qualsiasi minaccia. «Io faccio tutto, raccolgo i soldi, pago le bollette». Secondo i giudici, lei avrebbe addirittura promesso, in cambio di qualche centinaio di euro, di non mandare in onda un servizio sgradito al sindaco. E a garanzia di questo impegno gli avrebbe dato un suo assegno. «Fantastici. Io ho chiesto qualche volta in prestito dei soldi a De Luca. Come garanzia, al momento di prendere i soldi gli davo un assegno della stessa cifra, che avrebbe potuto incassare qualche giorno dopo in modo da recuperare il prestito. L'ho fatto con almeno venti persone». Ma perché tutti questi traffici? «Perché Telejato è in continua crisi di liquidità. Siamo talmente estortori che non abbiamo mai una lira».


La minaccia, secondo Pino, non c'è e non c'è mai stata: «In tanti anni non sono mai riusciti a raccogliere, intercettare o provare una frase in cui collego una dazione di denaro con una mia omissione di un servizio. Della serie: "Dammi i soldi o pubblico questa cosa". Mai». In un video diffuso dai Carabinieri si vede Pino ritirare dal sindaco 466 euro: «366 più 100 dell'altra volta», dice intercettato. Come si spiegano quei soldi? Pino mette agguanta un computer della redazione e manda sullo schermo la pubblicità di un negozio di giocattoli. «Lo vedi? È lo spot del negozio della moglie del sindaco. Va in onda ogni giorno sul nostro Tg. Per questo, suo marito mi dava al mese 300 euro più Iva al 22%. Totale, 366 euro». Era la pubblicità. Pino e i suoi legali assicurano che, se verranno processati, tireranno fuori tutte le fatture che la provano. Certo, non si capisce perché non le abbiano già sbattute in faccia ai giornalisti, stroncando le polemiche sul nascere. In ogni caso, è oggettivamente poco consono per un giornalista, specie uno impegnato in inchieste contro il potere, andare a chiedere privatamente dei soldi alle amministrazioni di cui potrà raccontare le malefatte il pomeriggio: «Io pur di salvare la trasmissione sono disposto a chiedere i soldi anche al Papa. L'importante che non vada a chiederli ai mafiosi. E poi, se io gli chiedo la cortesia la mattina, e il pomeriggio lo attacco ugualmente, me lo dici dov'è l'estorsione? Ma di che cazzo stiamo parlando? Qui sul piano penale non c'è niente. Anzi, c'è solo il pene».

3) I GUAI CON VALENTINA
Pino introduce il terzo episodio. È una Cavalleria Rusticana che s'impasta con una pagina di Vitaliano Brancati. Nasce ovviamente da una donna: Valentina, ragazza madre di una figlia disabile di sette anni e moglie di un marito da cui si sta separando con molti problemi. Un giorno del 2014 avvicina Pino, che sta facendo la posta sotto gli uffici del Comune: «Era piena di lividi. Mi disse che stava lavorando per il Comune con un servizio civico. Dopo i tre mesi l'avrebbero buttata fuori. Sua figlia era su una sedia a rotelle e doveva portarla a fare ogni giorno fisioterapia a Palermo. Le servivano 10 euro di benzina al giorno per portarla, altrimenti si sarebbe anchilosata e sarebbe morta sulla sedia. Il marito ha problemi di alcol e di droga, è un pregiudicato e violento che più volte l'ha picchiata».

Nella Sicilia dei diritti negati e dei favori spacciati come welfare, Pino prende a cuore la faccenda. E lo fa a suo modo, un po' spavaldo un po' sanguigno: «Salgo in Comune e vado direttamente dal sindaco: "Ora voi ve la prendete a lavorare qua a farvi le pulizie. Non mi interessa come, vi tassate e le date i soldi, perché tanto non fate un cazzo tutto il giorno. In cambio la signora vi pulirà le stanze ogni giorno"». E così andrà: per mesi Valentina lavorerà, in nero, come donna delle pulizie per il Comune. Paga: 250 euro al mese.

Sarà Pino a raccogliere i soldi direttamente dalle mani del sindaco, un tot a settimana, e a consegnarli a Valentina. «Lo stesso sindaco di Partinico ha dichiarato in consiglio comunale che non si è mai sentito estorto da me, ma che ha soltanto fatto opera di carità a una famiglia». A colpire saranno le frasi intercettate da Pino al telefono con Valentina: «Devo vedere il sindaco perché gli devo fottere 50 euro». «Gli ho detto (al sindaco, ndr): "I soldi li devi uscire lo stesso». «Qua comando io». «Da tutte le parti ti faccio pigliare». «Quello che non hai capito tu è la potenza di Pino Maniaci! Ormai tutti e dico tutti si cacano se li sputtano in televisione… si fa come dico io e basta».   
«Io mi vantavo e mi vanto con le donne»
Cioé?
«Sono un po' farfallone. E' reato?»

Pino, l'estortore o il minchione? L'eroe d'un pezzo o il fanfarone mezzo pazzo? Una via di mezzo, come la Sicilia. «Io mi vantavo e mi vanto con le donne. Sono un po' farfallone». Pino dice a Valentina di aver ricevuto la solidarietà da «quello stronzo di Renzi»?: «Dico anche di peggio. Quando uno nomina Renzi scherzo: "Aspetta, fammi toccare"». Spiega che per capire la sua vicenda, «dovete studiare la sicilianità come coloritura del linguaggio». Ovvero? «Io sono un cittadino libero. La notte mi sogno di essere un metro e ottanta, con la minchia di fuori e di fottermi tutte le donne. Allora se fotti non sei più antimafioso?». Parla di Claudio Fava, che ha pubblicamente criticato il suo modo di fare: «Diciamo che io non sono un antimafioso figlio di...».

In una telefonata, Pino si vanta di poter far vincere a Valentina un concorso per un posto da infermiera all'ospedale di Palermo. Dice che si sarebbe rivolto al direttore generale dell'Asp di Palermo. Non è, quella della raccomandazione, una cultura mafiosa? «Era una minchiata detta per consolare una ragazza che non faceva altro che piangere e iniziava ad avere pensieri molto preoccupanti». A Natale del 2014 , Pino telefona al titolare di un centro commerciale di Borgetto. Gli dice che serve per i bisognosi, ma lo dà a Valentina. «Quel centro commerciale faceva pubblicità per Telejato e a Natale faceva i cesti per i bisognosi. Così gliene ho ordinata una. Perché, lei non era bisognosa? Io le andavo a fare pure la spesa, andavo dalle persone a chiedere se avevano dei soldi». Insomma, un arraffone che tentava di aiutare una ragazza con la quale aveva un rapporto.

«MI HA IMPICCATO I CANI STANOTTE. IO LO AMMAZZO! STO PORCO!…»
Un rapporto del quale inizia a sospettare il marito di Valentina. Nel dicembre 2014, Pino riceve due intimidazioni nel giro di due giorni. Prima si ritrova la macchina incendiata, poi i due cani impiccati. Appena fatta la scoperta, telefona a Valentina e accusa subito il marito di lei: «Mi ha impiccato i cani stanotte. Io lo ammazzo! Sto porco!…», urla Pino, che poi sembra architettare una messinscena: «Ora succede il bordello, perché ora esce che è stato un atto intimidatorio a Pino Maniaci! Ora la scorta mi danno!…».. È un attimo. Attorno a Pino si riunisce la speranza dell’Italia onesta, in un sussulto di civiltà e impegno antimafia che nel Paese non si vedeva da anni. Se inganno è stato, potrà essere assolto ma mai perdonato. Pino spiega il senso di quella telefonata: «Io vedo i cani impiccati e penso subito a lui, al marito geloso. Ma i giorni successivi non lascio intendere niente. Dico che mi hanno ammazzato i cani e con Telejato avevamo tante inchieste in corso» (non è del tutto corretto. Il giorno dopo imperversa sulle Tv di mezza Italia puntando il dito contro la mafia: «Imputo l’attentato alle nostre recenti inchieste sul territorio della città di Partinico, dove la cocaina arriva a fiumi», nda). Il giorno dopo vado dai Carabinieri e faccio la denuncia». Pino mi mostra il verbale stilato. Si leggono le inchieste fatte con Telejato, ma poi la dichiarazione chiave: «Credo che l'autore sia...» e fa il nome del marito di Valentina, chiedendo di effettuare controlli in merito, che poi, secondo lui, «i Carabinieri neanche faranno». «Insomma, se volevo inventarmi le minacce della mafia, perché nella denuncia tiro in ballo anche il marito della signora?», conclude Pino, che oggi ha cambiato opinione: «Secondo me è stata la mafia». Nessuna remora neanche sul piano morale, insomma.


Barista: «Pino Maniaci, buongiorno»
Pino: «Non ci rompiri a minchia e facci stu cafè». 

Pino corre da una parte all'altra. Sale in macchina, accende una sigaretta, bestemmia contro uno dei suoi ragazzi, squilla il cellulare: «Chi è?». E' un cittadino che si lamenta dell'immondizia in strada in una contrada di Partinico. «Vabbene, v'ammazzu lu sindacu. Domattina vengo e facimu u serviziu». Pino viene chiamato prima dei Carabinieri. Mi porta al bar della piazza. In 10 minuti viene fermato da tre persone con la voglia di scherzare. «Sono tutti con me, perché sanno come parlo. Mia moglie Patrizia, mia figlia Letizia, mio figlio Giovanni, continuano a lavorare con me in Tv». I conti di Telejato rimangono sempre un disastro: «Con le pubblicità incassiamo 3 mila euro al mese, con cui pagarci l'affitto, la corrente, i ripetitori... Io vivo con i panini grazie al lavoro di mia moglie». L'estortore è talmente incapace che rifiuta pure le donazioni: «Giro le scuole italiane da anni. Ogni volta, mi chiedono quale sia il mio cachet. Ho sempre rifiutato soldi. Ti pare che poi mi rovino per 200 euro da chiedere a un assessore del cazzo?».

Ma allora perché tutto questo? Pino crede allo sgambetto di qualcuno. Nel 2013 lui inizia un'inchiesta a puntate su una brutta storia di gestione dei beni sequestrati alla mafia. Tira in ballo Silvana Saguto, presidente dela sezione Misure di prevenzione del tribunale di Palermo, e  con lei il prefetto di Palermo Francesca Cannizzo, l'avvocato Walter Virga, il colonnello Rosolino Nasca e l'avvocato più importante in tema di beni confiscati Gaetano Cappellano Seminara. In poco tempo, la Procura di Caltanissetta apre un'indagine per corruzione, riciclaggio e abuso d'ufficio, che porterà al trasferimento o alla sospensione dei maggiori protagonisti. Gli indagati, intercettati al telefono, sembrano essere a conoscenza dell'indagine sul conto di Pino. Che ora è pronto a sporgere denuncia davanti alla procura di Caltanisseta. Secondo lui la Saguto avrebbe sollecitato l'inchiesta ai suoi danni, con l'obiettivo di screditarlo in qualità di accusatore. Se fai cadere l'accusatore, cade anche l'accusa.  Entro la fine dell'anno, Pino saprà se dovrà andare a processo. «Mi rinvieranno a giudizio. Ma mi assolveranno». L'estortore più incapace della storia si congeda con una promessa: «Un giorno mi chiederete tutti scusa».

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