lunedì 26 settembre 2016

L’odio di Grillo (e del suo popolo) per i giornalisti

M5S
spintoni
Botte e spintoni a cronisti e cameraman. Ma la verità è che i giornalisti, anche in questi giorni, hanno cercato di fare le domande giuste. Che non riguardano i peli di uno o dell’altro. Come, ad esempio, perché dopo tre mesi Virginia Raggi non ha ancora una giunta. O perché il sindaco di Parma non è stato invitato. I giornalisti fanno domande. Sempre
 
Inviata a Palermo – Il ritorno alla purezza del “vaffa” a 5 Stelle mette in conto, anche, un attacco senza precedenti al sistema dell’informazione italiano. Botte e spintoni a cronisti e cameraman sabato per l’arrivo di Grillo. Botte e spintoni oggi mentre la sindaca Raggi faceva il tour tra i gazebo nonostante la Digos l’avesse sconsigliato per via della ressa. Ma fin qui sarebbe una cronaca abbastanza ordinaria. La differenza è che in questi tre giorni si è assistito ad un crescendo preciso e anche un po’ agghiacciante via via che dal palco e dalle dichiarazioni dei big venivano precise parole d’ordine. Come “Rai venduta”, “giornalisti piranha” e “capaci solo di occuparsi delle orecchie a sventola della Raggi”.
L’Unità, manco a dirlo, è tra i bersagli preferiti, oggetto di provocazioni sottili e costanti. Da non raccogliere, ovviamente. Alcune tristi, come negare al cronista il riparo dalla pioggia sotto un gazebo. Il punto è che le parole possono essere pietre. Soprattutto per il popolo.
E talvolta certi leader lo scordano. È stata una brutta scena vedere che intorno al piccolo set di In mezz’ora ricavato  sotto uno dei tanti gazebo, la clac si era organizzata per disturbare la giornalista e conduttrice Lucia Annunziata mentre intervistava Di Maio e Di Battista. È stato necessario un segnale del potente responsabile della comunicazione Rocco Casalino e una mano alzata dello stesso Di Maio per fermare i cori  “Venduta”, “fuori la Rai”. Alla claque non è piaciuto affatto essere interrotta, “noi facciamo come ci pare”. La fine del collegamento ha evitato altre tensioni. Perché quando scateni il branco poi è difficile riprendere le redini della situazione.
Il peggio accade alla fine. Quando Grillo torna sul palco per il saluto finale. Attacca i giornalisti, i titoli dei giornali sulla sua presa del potere. O ritorno al potere. “Non capiscono nulla, è una battaglia persa, sanno solo contare quanti peli ha la Raggi…”. Gli attivisti sul pratone si spellano le mani e ridono. E guardano di sottecchi i giornalisti sparsi tra loro. Qui a Palermo sono accreditate più di cento testate, una decina straniere (anche la TV coreana). La sala stampa sono tre gazebo per 25 posti a sedere. È chiaro che stanno in giro vagando dove possono.
Ma fin qui, ancora, sarebbe quasi sopportabile. Almeno, non degno di nota. Il problema, serio, arriva qualche minuto dopo. Grillo intervista via Skype Julian Assange, il fondatore di Wikileaks, da quattro anni costretto a vivere nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra per via del mandato di cattura internazionali per accuse di violenza sessuale dalla magistratura svedese. Gli americani lo vogliono per la colossale fuga  di notizie dei file riservati.  “Siete riusciti a sbaragliare la stampa corrotta grazie alla guida di Beppe” dice Assange. “Ora ci sono altre persone che stanno facendo qualcosa del genere, penso per esempio a Corbjin” ha continuato. “Il mestiere del giornalista è difficile delicato. Chi non lo fa bene, porta sulla coscienza almeno dieci morti”. E gli attivisti hanno applaudito. Sempre più convinti. Qualche coro: “Venduti, siete venduti”.
Ora, il punto è, tra l’altro, che siamo nella terra, in Sicilia, dove tanti giornalisti, da Peppino Impastato a Mauro Di Mauro passando per Giuseppe Fava e tanti altri, hanno dato la vita per la verità.
La verità è che  i giornalisti, anche in questi giorni, hanno cercato di fare le domande giuste.Che non riguardano i peli di uno o dell’altro. Ma, ad esempio perché dopo tre mesi Virginia Raggi non ha ancora una giunta. O perché il sindaco di Parma non è stato invitato. I giornalisti fanno domande. Sempre. E decidono loro cosa è più o meno importante. I 5 Stelle, però, dai leader agli attivisti, non amano rispondere.

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