venerdì 28 aprile 2017

La furia liberticida del Grillo e del Falso

Il Fattone
Beppe Grillo in occasione della prima del suo nuovo spettacolo  "Grillo vs Grillo" al teatro Linear Ciak di Milano, 2 Febbraio  2016. 
ANSA / MATTEO BAZZI
Loro sono la Verità e gli altri i corrotti: sta qui la radice dell’intolleranza
 
L’ossessione di Beppe Grillo per i giornalisti e in generale per l’informazione ha ormai definitivamente contagiato anche il suo cameriere più brillante, Marco Senza Ritegno Travaglio.
Il virus covava da tempo, lo sappiamo, ma è stato il rapporto annuale di Reporter senza frontiere sulla libertà di stampa a farlo esplodere: perché in quel rapporto, che pure segnala un miglioramento netto dell’Italia, si indica nei politici che “come Grillo non esitano a comunicare pubblicamente l’identità dei giornalisti sgraditi” un’oggettiva forma di intimidazione.
Gli attacchi e le minacce di Grillo ai giornalisti riempirebbero un volume: ieri su Repubblica Sebastiano Messina – naturalmente messo alla gogna, con altri colleghi non allineati, da Marco Senza Ritegno Travaglio nel suo editoriale odierno – ne ha stilato un elenco parziale quanto impressionante.
C’è Grillo che consegna a Bruno Vespa il plastico di un carcere, spiegando che lì saranno rinchiusi giornalisti, politici e imprenditori: “Le liste saranno rese pubbliche quanto prima e faremo un processo popolare che durerà almeno un anno”.
C’è Grillo che si offre di perdonare i “giornalisti pentiti”, i “Buscetta dell’informazione” i quali, in cambio della piena confessione, potranno godere di “un programma di protezione” e verranno inclusi nella “white list dei giornalisti della Terza Repubblica”.
C’è Grillo che graziosamente si rivolge ai cronisti chiamandoli “leccaculo”, “sdraiati e supini al potere”, “tromboni a libro paga”, “specialisti nel bacio della pantofola”, “incapaci, dilettanti, specialisti del nulla” nonché “morti che camminano”.
C’è Grillo che in piazza urla: “Io non dimentico niente, e un giorno gli faremo un culo così”. Che a chi chiede di intervistarlo risponde: “Prima dammi il telefono di tua madre”. Che ad un altro cronista replica: “Meno male che i vostri giornali stanno chiudendo. Cominci a cercarsi un altro lavoro”. Che di un terzo dice: “E’ un povero ragazzo frustrato che deve dire che ha sentito una cosa per sopravvivere”.
C’è Grillo che definisce i direttori dei Tg “gentaglia che la pagherà” e che vuol silenziare e cacciare i cronisti parlamentari (“Non devono infestare Camera e Senato e muoversi a loro piacimento”), garbatamente definendoli “folle di gossipari e di pennivendoli, mercanti di parole rubate”.
E c’è Grillo che ieri sera – Messina aveva già scritto il pezzo – nel corso del suo spettacolo fa accendere le luci, addita i giornalisti in platea e dice: “Estrapolano pezzi di frasi e fanno i titoli sui giornali. Guardateli in faccia e ricordatevi di loro”.
Se tutto questo piace al direttore del Falso Quotidiano, non abbiamo nulla da obiettare. La libertà di espressione include anche la libertà di condividere posizioni liberticide.
Ma il problema qui è un altro: e cioè la possibilità che, accanto alle opinioni di Marco Senza Ritegno Travaglio e del suo dante causa genovese, siano lecite e accettate anche le altre opinioni.
L’informazione libera è un ecosistema in cui coesistono (anche azzannandosi, naturalmente) voci e punti di vista diversi, nessuno dei quali però ha la pretesa di incarnare la Verità né l’intenzione di escludere o limitare gli altri.
Proprio qui sta la differenza inconciliabile, l’elemento liberticida: nella presunzione – condivisa dal Falso e dal M5s – di essere l’unica voce libera in un mondo di servi, di collusi, di corrotti. Siamo tutti, in un modo o nell’altro, legati a qualcuno: ma è precisamente la somma delle nostre personali servitù che fa la libertà di tutti.

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