lunedì 23 settembre 2013

Sempre gli stessi nomi. Sempre le stesse persone.


Da dieci anni al vertice di Enac

Riggio, l’eterno presidente degli aeroporti italiani

Dalla tutela di Alitalia e dell’equilibrio di sistema alla mancata adozione del Piano aeroporti 
Vito Riggio
Da giorni si aggira attorno ai palazzi del potere. Frequenta i bar che vanno per la maggiore fra parlamentari e giornalisti, varca l’ingresso di Montecitorio, e passeggia lungo il Transatlantico salutando a destra e a manca. Dal 9 settembre, giorno in cui il Consiglio dei Ministri ha approvato l’avvio della procedura di nomina a Presidente dell’Enac (Ente Nazionale aviazione civile), il siciliano Vito Riggio attende “con ansia” il parere della Commissione parlamentare Trasporti. Un parere che tarda ad arrivare perché sul nome di Riggio – sarebbe il terzo mandato all’Enac, che siede su quella poltrona dal 2003 – qualcuno starebbe storcendo il naso. Vincenza Bruno Bossio, componente Pd della Commissione Trasporti, minimizza: «Ci riuniremo la prossima settimana».
In realtà qualcuno ha già alzato il dito per sollevare dubbi sulla nomina di Vito Riggio. C’è chi l’ha fatto sotto traccia «perché Riggio è uno potente, ed è meglio nascondersi». E c’è chi come il parlamentare vendoliano (SeL) Sergio Boccadutri ha presentato l’11 settembre scorso un’interrogazione parlamentare. Un’interrogazione parlamentare che pone un problema di opportunità politica alla luce del rinnovamento che si evoca da più parti:
«La rotazione delle cariche pubbliche apicali è un principio che irrobustisce le istituzioni e che il governo dovrebbe tenere in alta considerazione nel procedere alle nomine di propria competenza».
Del resto, si legge nell’interrogazione del parlamentare di SeL, «il professore Vito Riggio era stato nominato commissario dell’Enac dal Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, ingegner Pietro Lunardi, il 10 aprile del 2003. Successivamente era stato nominato presidente con decreto del Presidente della Repubblica l’11 agosto 2003 e poi riconfermato il 27 settembre 2007». Insomma, «ove si procedesse ad ulteriore nomina, il professor Riggio otterrebbe un terzo mandato, per un ruolo complessivo tra ruolo di presidente e di commissario di reggenza dell’Enac di 14 anni».
Per dirla con un parlamentare renziano che si mostra esterrefatto di fronte alla nomina di Riggio, «Letta condanna il conservatorismo, predica il rinnovamento, e poi conferma Vito Riggio: siamo alle comiche finali. Ma non c’è un altro italiano  che può ricoprire il ruolo di Presidente dell’Enac?». Chiaro. 
Tuttavia Riggio gode di ottime entrature all’interno del Parlamento e della Commissione Trasporti in virtù della sua storia politica. Come vuole la tradizione dell’isola a trazione dorotea, nasce diccì e cresce nella sinistra diccì. A Palermo con Sergio D’Antoni, Luigi Cocilovo e Leoluca Orlando costituisce lo zoccolo duro degli studenti cattolici. Addirittura il quartetto provò a scalare l’ultimo congresso di Intesa Universitaria, candidando Sergio D’Antoni. Ma una sconfitta segnò la sua prima esperienza da attivista. «Nelle loro stanze – scrive Marco Damilano nel libro Democristiani immaginari – c’erano i poster di La Pira e Martin Luther King», ma Riggio & Company facevano riferimento a Forze Nuove di Carlo Donat Cattin e si ispiravano agli ideali di Livio Labor. E in Sicilia pendevano dalle labbra di Piersanti Mattarella. Secondo alcuni racconti palermitani, «D’Antoni e Cocilovo erano i frontman, mentre Riggio è sempre stato un tessitore di trame, un uomo ombra. Insomma la mente del gruppo». Al punto che in molti lo definiscono il “dottor Sottile di Sicilia”.
Ordinario di Diritto regionale all’Università di Palermo, Riggio vanta, soprattutto, un curriculum da uomo di Palazzo. A certificare la carriera politica il patto di ferro stipulato con i  “fratelli bandiera”, furono ribattezzati così D’Antoni-Cocilovo-Riggio: «Io in politica, e voi (Sergio e Luigi) nel sindacato». Detto, fatto. Nel 1987 varca per la prima volta l’ingresso di Montecitorio. Una carriera lampo, la sua. Grazie alle capacità relazionali, e alla preparazione giuridica, si distingue nel gruppo parlamentare della Democrazia Cristiana. Nel 1993 quando arrivò il governo Ciampi, l’amico Sergio (D’Antoni), lo fece nominare sottosegretario con delega alla Protezione Civile. Da membro del governo sceglie come consulente l’ingegner Pietro Lunardi, lo stesso ingegnere che qualche anno più tardi da Ministro lo nominerà prima  commissario e poi  Presidente dell’Enac. Nel 1994 quando dilagano Berlusconi e il berlusconismo lui in barba al conformismo opta per Mario Segni, e viene sconfitto. Emblematica la dichiarazione che rilascia in quelle ore: «Mi ritiro dalla politica».
Ma sette anni dopo cambia idea. Non può deludere l’amico Sergio D’Antoni, e si candida con Democrazia Europea, partito ideato e fondato dall’ex segretario nazionale della Cisl insieme a Giulio Andreotti. Ancora una sconfitta, ma a Vito da Barrafranca non importa. Da democristiano doc trova facilmente il modo di annodare i fili con il centrodestra del Cavaliere di Arcore. “Casca sempre addritta” (cade sempre in piedi), dicono di lui in Sicilia. Ed ecco il vertice dell’Enac, prima grazie al centrodestra di Berlusconi, poi con il centrosinistra di Prodi, poi ancora con il governo tecnico di Mario Monti, e oggi (probabilmente), manco a dirlo, con le larghe intese di Enrico Letta ed Angelino Alfano.
Del resto basta osservarlo in Transatlantico: Vito si trova a parlare con la stessa disinvoltura con la pdiellina Barbara Saltamartini, o con il sempre eterno amico Sergio D’Antoni. In politica «È nato Dc, e morirà tale», dice un bindiano che lo conosce da trent’anni. Nell’attesa frequenta il Palazzo, e, come dicono in molti, starebbe facendo “lobbying” per se stesso. 
Con il rinnovo il mandato Riggio arriverebbe a 14 anni, la durata di due settennati al Quirinale, qualcosa che pure al Presidente della Repubblica Giorgio Napoletano sembra un’enormità, giustificata da un’ emergenza che non lasciava altra scelta e che avrà fine appena la situazione politica e finanziaria del paese sarà più stabile. Perchè allora Vito Raggio dovrebbe restare alla Presidenza dell’ENAC per 14 anni? 
Di certo dieci anni di Riggio all’Enac non brillano di successi. Anzi. Alitalia è in coma profondo, salvabile solo da un generoso intervento straniero. Discorso analogo per Meridiana che sopravvive perché l’Aga Khan non si è ancora stancato di ripianare le perdite annuali, come i presidenti delle squadre di calcio di una volta. Blue Panorama è in concordato in continuità, e in questo modo si rischia la ripetizione del caso della siciliana WindJet, di cui proprio Vito Riggio cercò in tutti i modi di evitare la chiusura, anche permettendole di continuare a vendere biglietti ai passeggeri ignari dell’incombente fallimento.
I giornali di quei giorni ricordano che i passeggeri furono lasciati a terra nel pieno della stagione estiva 2012, e dovettero ricomprare dei nuovi biglietti per tornare a casa. Proprio la sorveglianza, perché si evitino ai passeggeri tali disavventure, è uno dei compiti dell’ ENAC. A ciò si aggiunge che la situazione finanziaria di WindJet era evidente, ma Vito Riggio decise di preferire alla tutela di chi viaggia la propria agenda politica: un salvataggio in extremis di WindJet da parte di Alitalia gli avrebbe permesso di figurare come “salvatore”.
E se oggi le compagnie aeree sono in ginocchio, come stanno gli aeroporti? Quello di Roma Fiumicino “fa schifo” a detta dei suoi stessi proprietari, quello di Milano Malpensa vive un momento di difficoltà. Ad onor del vero al Presidente-Commissario Vito Riggio si deve riconoscere di aver finalmente ottenuto la firma degli “accordi di programma” con cui i principali aeroporti italiani potranno, alzando le tariffe a livelli quasi europei, investire fino a offrire servizi di livello continentale. L’ altro grande merito che gli si sarebbe potuto attribuire, cioè l’ adozione dopo decenni di un nuovo Piano Nazionale degli Aeroporti, sta invece crollando sotto i colpi della peggiore politica e del peggior localismo, senza che Vito Riggio osi opporsi.
Il Piano Aeroporti, adottato dal Ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture ai tempi di Corrado Passera, aveva già raccolto un paio di anni di polvere sulle scrivanie da quando era stato originariamente consegnato da tre consulenti ad ENAC come Libro Bianco. Prevedeva finalmente una razionalizzazione dei troppi aeroporti, la fine degli sprechi a carico dello Stato per i doppioni, la concentrazione degli sforzi pubblici sui tre principali aeroporti di Fiumicino, Malpensa e Venezia, al prezzo di scontentare il sottogoverno clientelare delle periferie. Del resto con la gestione democristianissima del nuovo Ministro Maurizio Lupi, ben attento a creare consenso per gli sviluppi della propria carriera politica, siamo invece tornati al todos caballeros, tutti gli aeroporti inutili tornano indispensabili, e il Piano Nazionale degli Aeroporti si annacqua sempre di più.
E Vito Riggio, che fa? Tace, perché non vuole mettere a rischio il rinnovo del mandato. Un’altra ottima ragione per cui è necessaria aria nuova in cima all’ aviazione italiana. Ma il potere «logora chi non ce l’ha». “Mr Volare” vuole semplicemente continuare a dominare la scena. Da democristiano, strizzando l’occhio a destra e a manca.


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