martedì 24 settembre 2013

E' inutile precisare che sono le forze dell'ordine di Milano e i magistrati di Milano ad aver arrestato la figlia di Mangano. Bravi.


L'OPERAZIONE

Milano, in manette Cinzia Mangano

Arrestati la figlia e il genero dell'ex stalliere di Arcore. Tra le accuse, c'è l'associazione mafiosa.

Enrico Di Grusa e Cinzia Mangano, rispettivamente genero e figlia di Vittorio Mangano l'ex stalliere di Arcore, sono finiti in manette il 24 settembre nell'ambito di un'operazione sulla criminalità organizzata di stampo mafioso a Milano. Tra gli arrestati anche Giuseppe Porto, ritenuto suo uomo di fiducia nel capoluogo lombardo.
Le accuse vanno dall'associazione mafiosa all'estorsione, dalle false fatturazioni al favoreggiamento, fino all'uso di manodopera clandestina.
Vittorio Mangano era uno degli uomini di spicco di Cosa Nostra a Milano e Paolo Borsellino, che indagava su di lui, pensava fosse una sorta di 'chiave' del riciclaggio di denaro sporco in Lombardia.
COSPICUO FLUSSO DI DENARO. Le indagini hanno evidenziato un cospicuo flusso di denaro che serviva per mantenere latitanti ma che veniva anche investito in nuove attività imprenditoriali, infiltrando ulteriormente, quindi, l'economia regionale.
È stata individuata una complessa rete di società cooperative attive nella logistica e nei servizi che mediante false fatturazioni e sfruttamento della manodopera hanno realizzato profitti in nero dal 2007, un fiume di denaro che sarebbe servito a gestire la latitanza di esponenti di Cosa nostra e di operare nuovi investimenti imprenditoriali in Lombardia.
PERQUISIZIONI IN LOMBARDIA. Decine di perquisizioni sono state eseguite nel Milanese (a Peschiera Borromeo, Bresso, Corsico, San Donato Milanese, Brugherio, Trezzano sul Naviglio), in provincia di Varese, a Monza, a Lodi e a Cremona.
Le accuse ipotizzate vanno da associazione per delinquere di stampo mafioso e estorsione, a false fatturazioni, favoreggiamento e impiego di manodopera clandestina.
I provvedimenti di custodia cautelare sono stati emessi dal gip del tribunale di Milano, Stefano Donadeo, su richiesta del sostituto procuratore della Dda Marcello Tatangelo.
«UNA MAFIA IMPRENDITORIALE». Secondo quanto contenuto nel dispositivo, in Lombardia si è di fronte a una «mafia imprenditoriale», che cerca di fare affari, e non solo illeciti. L'osservazione è contenuta in un passo del dispositivo della Dda di Milano, che coordina l'operazione contro la criminalità organizzata che ha portato a otto arresti tra i quali la figlia e il genero di Vittorio Mangano.
«L'associazione contestata corrisponde alla mafia imprenditoriale», hanno detto i magistrati, «cioè a un'associazione che si avvale della forza della storia e della fama della realtà criminale a cui appartiene. Non per realizzare in via esclusiva evidenti azioni illegali bensì per entrare nel tessuto economico della zona d'appartenenza e trarne un beneficio economico».
Oltre alle otto misure emesse dal gip di Milano Stefania Donadeo (e non Stefano come riferito sulle prime) e alle perquisizioni, sono stati individuati beni e conti correnti ora al vaglio della sezione Misure di prevenzione del tribunale di Milano.

Da Palermo ad Arcore, la carriera dello stalliere

Mangano, scomparso a Palermo nel 2000, venne assunto come stalliere da Silvio Berlusconi nel 1973 tramite Marcello Dell'Utri. Lavorò ad Arcore fino al 1975, lasciando la villa un anno dopo. Nello stesso periodo il Cav si trasferì prima in Svizzera e poi in Spagna. Solo nel 1994 ammise in un'intervista al Corriere della Sera di aver avuto «rapporti con la mafia una volta soltanto», quando «tentarono di rapire mio figlio Pier Silvio che allora aveva cinque anni». Riferendosi poi a Mangano aggiunse che venne licenziato non appena scoprì «che si stava adoperando per organizzare il rapimento di un mio ospite, il principe di Santagata. E fu poco dopo che venne scoperto anche il tentativo di rapire mio figlio».
LA BOMBA A MILANO. Ma non è tutto. Il 28 novembre 1986, esplose una bomba nella villa di Berlusconi in via Rovani a Milano. I danni furono limitati, circostanza che fece pensare un avvertimento. Il Cavaliere, parlando al telefono con Dell'Utri, puntò il dito proprio contro Mangano che però si trovava in carcere per scontare una condanna. Il che però non escluse la matrice mafiosa dell'attentato.
LE DICHIARAZIONI DI BUSCETTA. Mangano venne inoltre definito «uomo d'onore» da Tommaso Buscetta e Totò Contorno durante il maxiprocesso di Palermo. Stando alle testimonianze, l'ex stalliere era affiliato alla famiglia di Pippo Calò che cotrollava Porta Nuova. Mangano, disse poi Gaspare Spatuzza, era un «capo mandamento di Porta Nuova» durante la stagione delle stragi del 1992-1993.
Condannato nel 2000 in primo grado dalla Corte di Assise di Palermo all'ergastolo per un duplice omicidio avvenuto cinque anni prima, Mangano morì poco tempo dopo la sentenza di tumore mentre si trovava agli arresti domiciliari lasciando il carcere dove stava scontatando un'altra pena.
DELL'UTRI: «A SUO MODO, UN EROE». Per il fatto di non avere mai tirato in ballo né Berlusconi né Dell'Utri anche se malato terminale e nonostante i benefici che questo avrebbe potuto portargli, il senatore del Pdl lo definì nel 2008 «a suo modo un eroe».
Sulla stessa linea anche Berlusconi che in più occasioni ribadì il giudizio di Dell'Utri. «Quando era in carcere ed era malato, i pm gli dicevano che se avesse detto qualcosa su Berlusconi sarebbe andato a casa e lui eroicamente non inventò mai nulla su di me», dichiarò il Cav aOmnibus, «i pm lo lasciarono andare a casa solo il giorno prima della sua morte. Mangano era una persona che con noi si è comportata benissimo, stava con noi e accompagnava anche i miei figli a scuola. Poi ha avuto delle disavventure che lo hanno portato nelle mani di una organizzazione criminale, ma non mi risulta che ci siano sentenze definitive nei suoi confronti. Quindi bene dice Dell'Utri nel considerare eroico un comportamento di questo genere».
Martedì, 24 Settembre 2013

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