Contrordine compagni. Il piano che il governo stava mettendo a punto per bloccare la presa di Telecom da parte di Telefonica sta perdendo pezzi. Il Pdl ha cominciato a picconare le misure pensate da Palazzo Chigi per bloccare la scalata spagnola. Prima è intervenuto il capogruppo Renato Brunetta, sparando ad alzo zero sulla “golden share”, i poteri speciali che il consiglio dei ministri dovrebbe riconoscere a breve al Tesoro, accusando il governo di voler far cessare “la certezza del diritto”.
Poi ci ha pensato il vice ministro con delega alle Comunicazioni, Antonio Catricalà, a minare il progetto di revisione delle norme sull’Opa, le offerte pubbliche di acquisto. E’ questo il punto più delicato. Non più tardi di ieri il sottosegretario all’Economia, Giancarlo Giorgetti, aveva annunciato l’intenzione dell’esecutivo di rimettere mano alla legge sull’Opa abbassando la soglia del 30% superata la quale gli acquirenti delle società quotate sono obbligati ad offrire pari condizioni a tutti i soci. Telefonica salirà al 22,5% comprando le quote di Mediobanca, Intesa e Generali, dunque se non si abbassa la soglia i piccoli soci non potranno incassare il prezzo di 1,1 euro (l’azione sul mercato vale 60 centesimi) che gli spagnoli riconosceranno al “salotto buono”.
La modifica delle norme sull’Opa, ha spiegato Catricalà, sono “possibili ma non probabili”. L’alternativa preferibile, secondo il vice ministro, sarebbe quella dello scorporo “volontario” della rete, da rendere obbligatorio solo nel caso in cui la società non procedesse. Il modello usato, insomma, per Snam e Terna. La posizione di Catricalà e di Brunetta, in pratica, spianerebbe la strada agli spagnoli rendendo inattuabile il piano di difesa del gruppo telefonico al quale stava lavorando Palazzo Chigi spinto dalla sollecitazione del Senato e del presidente della Commissione industria, Massimo Mucchetti.
Una difesa resa ancora più difficile dal delicato passaggio che da qui alla prossima settimana deve affrontare il governo Letta. Paradossalmente i tempi della crisi di governo e quelli della scalata Telecom stanno convergendo in un imbuto in cui si rischia l’ingorgo. Il quattro ottobre ci sarà il voto di decadenza di Silvio Berlusconi, la verifica di governo in Parlamento ci sarà uno o due giorni prima, il 3 ottobre c’è il consiglio di amministrazione di Telecom.
Qui ci sarà la prima vera battaglia della guerra su Telecom. Il confronto avverrà sul piano industriale. O meglio, sui piani industriali. Perché ormai è chiaro che sul tappeto saranno messe le due strade alternative illustrate dal presidente Franco Bernabé durante l’audizione al Senato. Da un lato ci sarà la proposta di vendere il Brasile (vera gallina dalle uova d’oro del gruppo) e avviare lo scorporo della rete. Dall’altra un aumento di capitale con l’arrivo, probabilmente, anche di nuovi soci.
La prima proposta è quella portata avanti dagli spagnoli con la sponda, probabilmente, dell’amministratore delegato Marco Patuano e l’assist politico del Pdl. La seconda proposta sarà perorata da Bernabé con l’appoggio dei consiglieri indipendenti, con il sostegno dei piccoli soci e l’assist esterno del Pd e della componente Dem del governo. Persino Susanna Camusso della Cgil è intervenuta per dire che con Telefonica Telecom "non ha futuro". Guglielmo Epifani poi, ha subito risposto agli attacchi di Brunetta spiegando che il problema non è l’italianità della rete, ma “i debiti di Telefonica”. Quest’ultima, del resto, non ha mai nascosto di voler relegare Telecom in Italia. Del resto nel suo stesso comunicato al mercato, gli spagnoli avevano scritto di voler rinnovare “l’impegno a contribuire allo sviluppo di Telecom sul suo mercato domestico”. Con molti saluti alle ricche attività in Brasile e Argentina.