E’ finito a schiaffi, spintoni e pugni lo scontro che da oltre una settimana si consuma a Trieste sullo striscione “Verità per Giulio Regeni“, rimosso dal Municipio dopo la decisione presa venerdì scorso dal sindaco di Forza Italia Roberto Dipiazza. Lunedì sera è scoppiata una rissa in Consiglio Comunale tra le forze dell’ordine e una decina di manifestanti (guarda) che protestavano contro la scelta del primo cittadino, adottata – aveva spiegato – per “evitare strumentalizzazioni politiche”.
Le tensioni in Aula sono cominciate durante la discussione di due distinte mozioni: una presentata dal gruppo del Pd, nella quale si chiedeva il ripristino dello striscione (sabato la governatrice Debora Serracchiani lo ha affisso sul palazzo della Regione in risposta a Dipiazza), e un’altra della maggioranza di centrodestra presentata da quattro consiglieri comunali di centrodestra secondo cui “è opportuno che la permanenza sulla facciata del Palazzo municipale abbia una tempistica contenuta“, così come è successo nel caso dello striscione di solidarietà con i marò Salvatore Girone e Massimiliano Latorresi legge nella proposta. E’ stata questa mozione a innescare la scintilla che ha scatenato le dure polemiche delle opposizioni e non solo, anche se di fatto venerdì scorso Dipiazza ha bruciato i tempi anticipando la discussione in Aula. Proprio durante l’esame del testo del centrodestra dal pubblico sono cominciati slogan, pesanti accuse agli amministratori comunali e riferimenti alle vicende dei marò. Sono seguite parolacce, tensioni, spintoni, schiaffi e qualche pugno, fino all’intervento degli uomini della Digos e della polizia municipale che hanno allontanato i manifestanti dall’Aula consiliare, con la successiva sospensione dei lavori, poi ripresi. E alla fine la mozione presentata dal Pd per ripristinare lo striscione è stata bocciata a maggioranza, con 25 voti contro e 15 a favore.
Prima della rissa in Aula, in piazza Unità (dove si affacciano sia il Municipio sia il Palazzo della Regione) si è svolta una manifestazione con centinaia di persone per protestare contro l’iniziativa di Dipiazza, che in un’intervista aveva così liquidato la discussione: “Mi sono tolto il dente cariato”.  La speranza di chi ha partecipato al presidio promosso da Amnesty International era che il Consiglio bocciasse la scelta del primo cittadino e che lo striscione venisse esposto nuovamente sulla facciata del palazzo.
In piazza nessun simbolo di partito, né bandiere, ma soli cartelli gialli con la scritta “Verità per Giulio Regeni”. Cittadini, giovani, persone comuni si sono susseguiti in brevi interventi e testimonianze. Pino Roveredo, lo scrittore vincitore del Premio Campiello 2005, non ha usato mezzi termini: “Ci fa ribrezzo questo gioco politico che va a colpire sicuramente persone che hanno sofferto. Io penso ai genitori di Giulio Regeni: quel ragazzo è statomartoriato e massacrato. Stiamo cercando una verità, non stiamo cercando dei martiri. Siamo qui per dare voce alla Trieste che non si riconosce in quella città degli amministratori, che fanno scelte che non sono assolutamente condivise da parecchie persone, anche di destra”.
Ed è vero che anche dal centrodestra la decisione di Dipiazza non è stata apprezzata. In mattinata Renzo Tondo, ex deputato forzista, ex presidente del Friuli Venezia Giulia e ora leader di “Autonomia Responsabile”, aveva chiesto che “a Giulio Regeni, autentico e giovane martire della Verità, sia intitolata una via o una stradanon solo a Fiumicello, suo paese natio, ma anche a Trieste”. Per Tondo, la tragedia di Giulio Regeni è talmente crudele da “gelare il sangue”, ma “è paradossale” che a chiedere la verità a un paese come l’Egitto sia “una nazione come l’Italia che da mezzo secolo non trova la verità sulle stragi e gli assassinii più orrendi”, come piazza Fontana, la strage di Bologna, l’assassinio di Aldo Moro o il caso “certamente meno intricato di Stefano Cucchi”.
Un appello era arrivato anche dal senatore Francesco Russo (Pd) affinché, fermo restando “il grave errore del sindaco di Trieste”, “la politica ritrovi unità”, “non usi strumentalmente vicende così terribili per dividersi e – conclude Russo – se c’è un modo per tornare indietro si trovi. Non trasformiamo anche questo in una campagna elettorale”.