ECONOMIA
Lo shock degli inglesi sterlina sotto un euro L’appello delle imprese
Il ceto medio scopre che sarà danneggiato da Brexit Gli industriali vogliono restare nel mercato comune
ENRICO FRANCESCHINI
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
LONDRA. Comincia con uno shock, per la Gran Bretagna, il giorno dopo la caduta a precipizio della sterlina. I cambiavalute degli aeroporti di Londra offrono meno di un euro per “pound” ai turisti in partenza per l’Europa: una soglia psicologicamente preoccupante per gli inglesi abituati ad andare in vacanza in Spagna, Italia o Francia con il sostegno di una moneta forte. Di colpo, la scelta per Brexit nel referendum del giugno scorso appare meno allettante a chi l’ha votata: la classe medio-bassa che varca la Manica sui voli a basso costo, come quelli da Southend, uno dei sei aeroporti della capitale, dove ieri l’International Currency Exchange consegnava 97 centesimi di euro per ogni sterlina, a cui togliere anche la commissione per chi cambia meno di 300 sterline. Il cosiddetto “popolino”, quello ha voluto l’uscita dall’Unione Europea dando agli immigrati la colpa del proprio disagio sociale, potrebbe avere qualche dubbio davanti al calo del 15 per cento negli ultimi tre mesi e mezzo della valuta con l’effige di Sua Maestà britannica.
Naturalmente il cambio ufficiale con cui la sterlina ha chiuso venerdì è più alto: 1 euro e 11 centesimi. Ma i cambiavalute praticano sempre un cambio inferiore a quello ufficiale. E la prospettiva di una parità nei cambi ufficiali fra sterlina ed euro, e perfino fra sterlina e dollaro, non viene più esclusa nella City. Confermando il giudizio degli economisti su chi sono i vincitori e vinti del calo del “pound”: le grandi aziende per ora ne approfittano per aumentare le esportazioni, ma a perderci sono le piccole aziende e soprattutto i consumatori, che si ritrovano con meno potere d’acquisto.
Nemmeno i presunti vincitori, tuttavia, sono contenti. Una lettera firmata dai leader delle maggiori imprese nazionali sarà inviata dalla Cbi, la Confindustria britannica, a Theresa May, per ammonire la premier che il crollo sofferto venerdì dalla sterlina (la perdita del 6 per cento del suo valore in due minuti, poi in parte recuperata), al di là dei contributi tecnici al fenomeno (un algoritmo impazzito, un errore umano), rappresenta un pericoloso campanello d’allarme sull’apprensione con cui mercati seguono i segnali inviati dal governo sulle intenzioni di compiere un “hard Brexit”, ovvero di uscire non solo dall’Unione Europea ma anche dal mercato comune, insomma di sacrificare i commerci senza frontiere per mettere limiti all’immigrazione. «Ogni piano di uscire dalla Ue senza mantenere legami con il mercato comune europeo dovrebbe essere escluso dal governo in qualunque circostanza», afferma la lettera, di cui il Financial Times anticipa la sostanza. Il messaggio esorta inoltre Downing street a stabilire un calendario di consultazioni su Brexit con le imprese affinché «queste complesse decisioni siano prese sulla base di una genuina comprensione delle loro implicazioni economiche». Un modo diplomatico per dire che May e i suoi ministri capiscono poco dei danni che un “hard Brexit” causerebbe all’economia nazionale.
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