Decadenza Silvio Berlusconi, il Cav teme l'arresto a Napoli: "Senza uno scudo su tutto non mi dimetto"
Pubblicato: 11/09/2013 20:14 CEST | Aggiornato: 11/09/2013 20:19 CEST
“Io non mi dimetto. Mi dimetto solo se Napolitano mi concede uno scudo su tutto, anche sulle inchieste in corso. Se mi dà assicurazioni su Napoli. Altrimenti non se ne parla di passo indietro ora che mi puntano la pistola alla tempia”. È quando dalla Giunta arrivano le notizie che l’accordo sul calendario è saltato che, al tempo stesso, saltano anche i nervi di Silvio Berlusconi. Perché la strategia dilatoria del Pdl non ha funzionato. E ora c’è una data certa. Vissuta come una ghigliottina. Un voto che non si può rinviare.
Martedì si saprà, e l’esito è scontato, se la relazione di Augello sarà bocciata dalla Giunta. Di fatto, è un voto sulla decadenza di Berlusconi. E’ la dimostrazione che il Pd sta accelerando per “cacciare dal Parlamento” il leader di “dieci milioni di italiani”. Che il "partito di Napolitano" ha perso contro i duri. E che è partita la macchina per farlo a pezzi. E' apparso come un segnale sinistro l'emendamento di Sel alla Camera per impedire ai "condannati di finanziare i partiti". Ecco perché l’ex premier chiede ad Alfano, la colomba, di spiegare bene, nel corso della sua intervista a Sallusti a Controcorrente, che di passi indietro non se ne parla: “Non si dimetterà e si farà sentire”. Anzi, Alfano aggiunge: “Non ce n’è ragione e non glielo chiederemo come partito, ha diritto di difendersi”.
Nessun passo indietro. È questa l’unica certezza, nell’ambito di una strategia che, semplicemente non c’è. La condizione è sempre la stessa. È inconcepibile, nell’ottica del Cavaliere, il ritiro dalla politica senza contropartite adeguate e senza un “salvacondotto” chiaro nei desideri ma di cui non si ravvisano gli estremi giuridici. Soprattutto ora che le antenne del Cavaliere hanno intercettato movimenti sinistri dentro certe procure.
L’incubo si chiama Napoli. E l’inchiesta sulla compravendita. Ghedini ormai lo ripete una volta al giorno: “Lì la richiesta di arresto è già scritta”. Scatterebbe il minuto dopo la “cacciata” dal Parlamento. Ma non è l’unica paura. Pare che anche Lavitola e Tarantini giorno dopo giorno diventino più loquaci e meno affidabili. Non è un dettaglio, la paura. Perché, nel cangiante umore del Cavaliere, che uno come Vittorio Feltri ha descritto come bollito in una perfida intervista al Fatto Quotidiano, la paura dell’arresto è uno dei pochi punti fermi. Ecco perché tocca proprio ad Alfano affermare, nell’intervista a Sallusti nella kermesse Controcorrente, che si resisterà a oltranza: “il nostro partito è un monolite compatto attorno al suo leader”. Qualunque decisione prenda.
E’ il ritorno della linea dura. Che le colombe continueranno a frenare, di qui a martedì, nella consapevolezza che “se non si rompe martedì non si rompe più e si va avanti con questo governo”. E’ la linea su cui Schifani sta facendo un grande lavoro per convincere quelli del Pd a non accelerare perché così salta tutto e invece, se si scavalla martedì, a quel punto il governo è salvo. È la partita feroce che, in questi giorni, si sta consumando attorno al capezzale del Cavaliere quasi interdetto. È un congresso tra due disegni. Con le colombe che suggeriscono un passo indietro, l’operazione statista, pensano che Napolitano possa aiutare Berlusconi e gli spiegano che altrimenti gli massacrano le aziende. E così si apre la strada un Ppe italiano senza Berlusconi, all’ombra della grande stabilizzazione del governo Letta. I falchi, quelli del “non ti fidare di Napolitano”, che suggeriscono la prova di forza, il ritorno all’opposizione, la rinascita di una Forza Italia di lotta all’insegna della lotta alla persecuzione del Capo. Ora c’è una data certa: “Se è così torniamo all’opposizione” ha ripetuto Berlusconi ai suoi. Certo che tutti i filistei seguiranno Sansone. Almeno per ora.