sabato 14 settembre 2013

Ecco chiarito da dove possiamo prendere i soldi.


"Si metta la testa sui beni confiscati alle mafie". Ecco come può arrivare la svolta
Venerdì, 13 settembre 2013 - 15:10:00

di Lorenzo Lamperti

@LorenzoLamperti

"Dare pieno impulso al riutilizzo dei beni confiscati alla mafia significherebbe dare concretezza alla lotta contro la criminalità organizzata. Ma forse non tutti questa concretezza vogliono darla". L'avvocato Ilaria Ramoni, esperta di temi antimafia, illustra il problema dei beni confiscati (affrontato insieme alla giornalista Alessandra Coppola nel libro "Per il nostro bene" edito da Chiarelettere) in un'intervista ad Affaritaliani.it: "Possono valere una piccola manovra finanziaria. Il loro corretto utilizzo può essere una soluzione per far fronte alla crisi economica". Che cosa manca per farli funzionare? "La spinta della politica. Troppo spesso questi beni restano inutilizzati o vengono occupati dai parenti dei mafiosi..."


PER IL NOSTRO BENE - CHIARELETTERE EDITORE
Un reportage dal fronte, tra le fortezze espugnate a quella mafia che ha fatto la storia, e che ancora soffoca il Paese. La villa di Tano Badalamenti a Cinisi, la reggia di “Sandokan” Schiavone a Casal di Principe, l’enclave dei Casamonica nella periferia romana, perfino una residenza principesca a Beverly Hills, proprietà di Michele Zaza, ’o Pazzo, re del contrabbando. E poi cascine di ’ndrangheta in Piemonte, tenute in Toscana, castelli, alberghi, discoteche, campi di calcio, maneggi. Trincee di ieri e di oggi. Questo libro racconta cos’erano e cosa sono diventate. Un patrimonio che vale una Finanziaria. Un’occasione che rischiamo di perdere. Scuole e uffici pubblici pagano l’affitto mentre migliaia di immobili restano abbandonati. Tra ostacoli di ogni tipo, terreni occupati, edifici distrutti, una legislazione carente, amministratori pavidi, funzionari di banca che concedono mutui ai clan per aiutarli a “salvare” il patrimonio: un terzo delle case sottratte ai mafiosi e non assegnate è gravato da ipoteche, inutilizzabile. Per non parlare delle aziende, quasi tutte, che nel passaggio dalla criminalità organizzata allo Stato falliscono. C’è un’Agenzia nazionale che gestisce e destina i beni sequestrati e confiscati: trenta dipendenti in tutto, zero risorse, rischia lo stallo. Tra le pieghe di un clamoroso insuccesso, questo libro racconta le vicende di tante persone che con intelligenza e straordinaria determinazione hanno tentato di far rinascere la vita là dove prima si predicava solo morte. Come dei partigiani, in questa nuova guerra di liberazione italiana.
Avvocato Ilaria Ramoni, quanto valgono i beni confiscati alle mafie?

È molto complicato dare un’entità al valore di questi beni confiscati per tutta una serie di motivi. A detta anche del direttore dell’agenzia si può parlare di una piccola manovra finanziaria. Una cifra molto elevata. È un punto cruciale perché in un momento di crisi come quello che sta vivendo il nostro Paese il corretto utilizzo dei beni confiscati potrebbe essere uno dei modi per far fronte alla crisi economica.

Nel libro viene citata una frase di Don Ciotti secondo il quale su questi temi “chi doveva metterci la testa non ce l’ha messa”. A chi alludeva?

È vero che ci sono dei problemi logistici e organizzativi per la gestione delle risorse in particolare per quanto riguarda l’Agenzia nazionale dei beni confiscati istituita nel marzo del 2010 però è anche vero che sembra quasi che sia mancata la spinta politica propulsiva che aveva avuto all’inizio dal ministro Maroni. Sembra che quella spinta politica iniziale molto forte utile a far funzionare il sistema dei beni confiscati sia andata scemando fino a diventare quasi del tutto assente.

L’Agenzia nazionale dei beni confiscati funziona in modo adeguato?

Va assolutamente rivista e potenziata. Ad oggi, sulla carta, dovrebbero lavorarci circa 130 persone ma nella sostanza sono molte di meno e per lo più si tratta di personale distaccato da altre amministrazioni. E comunque 130 è in ogni caso un numero esiguo per far fronte all’enorme mole di lavoro dell’agenzia. Ci vorrebbe anche una maggiore professionalizzazione. Non vuol dire che chi già ci lavora non abbia le competenze ma servirebbe una formazione specifica sulla valorizzazione in termini economici e sociali dei beni confiscati. Poi c’è il problema che, con cinque sedi in tutta Italia, c’è una minore presenza sul territorio rispetto a quando dominus della procedura erano le Prefetture. Ma l’elemento dirimente è la mancata volontà politica di far funzionare in modo efficiente tutto il sistema dell’aggressione ai patrimoni dei mafiosi e dunque anche l’agenzia.

Com’è possibile che alcuni beni confiscati restano inutilizzati e altri vengano addirittura occupati dai parenti dei mafiosi colpiti dal provvedimento?

Succede più spesso di quanto si possa immaginare. Quando un bene resta inutilizzato bisognerebbe andare a indagare caso per caso le problematiche specifiche. Alcuni sono gravati da ipoteche, altri confiscati pro quota e diventa più complicato poterli riutilizzare. Altri sono dei fortini che restano assediati dalle altre case dei familiari del boss, del prevenuto. In molti casi si verificano occupazioni di familiari dei mafiosi.

Con Cancellieri e Alfano al Viminale dopo Maroni è cambiato qualcosa?

Con Maroni c’è stata la nascita dell’Agenzia, fortemente voluta da più parti ma, come dicevo, questa forte spinta politica iniziale non è stata affatto costante nel tempo. E invece che metterci seriamente la testa si parla sempre della vendita dei beni come la panacea di tutti i mali. Il problema della vendita va approfondito e analizzato caso per caso. Molte volte la vendita potrebbe essere vista come una sconfitta ma altre volte si rende necessaria e in questo caso va effettuata utilizzando tutti gli strumenti necessari affinchè i beni non vengano riconquistati dai mafiosi. Ci vuole molta serietà e meno ideologia quando si parla di vendita dei beni confiscati.

In che modo si può scongiurare la sconfitta dello Stato?

Si può scongiurare, riprendendo le parole di Don Ciotti, mettendoci la testa e facendo ognuno il proprio dovere. L’aggressione dei patrimoni mafiosi è lo strumento principale del contrasto alla criminalità organizzata e tutto il procedimento va analizzato e ripensato in termini economici. I beni confiscati non sono un peso o un onere e sta a noi valorizzarli come elemento produttivo per il territorio affinchè possano offrire posti di lavoro e dare una spinta all’economia. Siamo a una terza svolta decisiva: dopo la legge Rognoni-La Torre del 1982 e il riutilizzo sociale dei beni confiscati con la legge 109 del 1996 bisogna rendere davvero produttivi questi beni confiscati. Devono diventare una reale risorsa per il territorio.

Il sospetto è però che spesso il mercato italiano punisca le aziende pulite?

È così, purtroppo. Nel caso delle aziende confiscate bisogna snellire le procedure e la burocrazia. I tempi imprenditoriali delle aziende non coincidono quasi mai con i tempi di attesa dettati dalla burocrazia. Si potrebbe anche ragionare su particolari incentivi per le aziende confiscate, una sorta di “avviamento alla legalità”, favorire la possibilità che le aziende confiscate interagiscano tra loro in termini produttivi o su degli sgravi fiscali per chi reimpiega la manodopera proveniente dalle aziende confiscate fallite o comunque chiuse. Delle 1708 aziende confiscate al 31 dicembre 2012 soltanto 60 risultano essere attive sul mercato, vale a dire con dei dipendenti. Di miglioramenti se ne potrebbero fare a migliaia, però ci vuole la volontà politica.

Prima si parlava del ruolo delle prefetture. Il riordino giudiziario previsto dal governo Letta è cosa buona e giusta?

Sicuramente alcuni tribunali andavano chiusi ma in altri territori, non solo quelli del Sud, sapere che c’è un tribunale disincentiva i crimini. Mi viene in mente il caso di Vigevano: anche per la forte presenza criminale su quel territorio togliere il tribunale sarebbe un errore. L’importante è che facendo le riforme non si usi l’accetta.

Com’è messa l’Italia in termini di legislazione antimafia?

Il nostro Paese ha una delle legislazioni antimafia più avanzate al mondo anche se da più parti si denuncia che con il codice antimafia del 2011 sono addirittura stati fatti passi indietro . Il nuovo codice non ha preso in considerazione troppe cose: la riforma dell’articolo 416 ter sullo scambio politico-mafioso, non si è introdotto il reato di autoriciclaggio, non si è detto nulla sui reati ambientali e non è stata riformata e armonizzata la normativa su testimoni di giustizia e vittime di racket e usura. Insomma, parrebbe esserci ancora molto da fare e questo anche in tema di confisca dei beni perché dare sostanza all’aggressione dei patrimoni mafiosi vuol dire anche dare concretezza all’antimafia. E forse non tutti questa concretezza vogliono darla.

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