Come in tutte le trame che si rispettino, il climax arriva alla fine. "Secondo lei, Napolitano può concedere la grazia a Berlusconi?", chiede Lucia Annunziata a Guglielmo Epifani come ultimissima domanda dell'intervista alla festa nazionale del Pd a Genova. La sala si abbandona ad un boato di "no!", un signore in seconda fila leva al cielo la Costituzione, Massimo D'Alema in prima fila guarda fisso davanti a sé, impietrito e imperscrutabile come al solito, Rosi Bindi di fianco a lui si mette le mani ai capelli. Il segretario del Pd se la cava con un: "Sta a Napolitano decidere, ho fiducia nel capo dello Stato". In questa difficile intervista, Epifani riesce a domare la platea, ma il tempo sta per scadere sulla pazienza del 'militante tipo' circa la pericolosa vicinanza dei guai giudiziari di Silvio Berlusconi al Pd.
È uno stato d'animo che si respira in più di un passaggio della chiacchierata alla sala Pertini. E se Schifani fa cadere il governo perché il Pd vota sì alla decadenza di Berlusconi in Senato? "Si!", urla la folla. Di nuovo, a Epifani il compito di riportare tutti a più miti consigli. Ci riesce. "Se non rispettiamo lo stato di diritto, diventiamo una repubblica delle banane: la legge è uguale per tutti". E detto questo, chiarito che il Pd non farà sconti in giunta immunità e non permetterà dilazioni nemmeno di fronte al ricorso in Corte europea preparato dal Pdl contro la legge Severino, una volta assolto questo compito, il segretario può chiarire: "È da irresponsabili legare il caso giudiziario di Berlusconi al governo, chiunque lo facesse se ne assumerebbe la responsabilità". Certo, "non si può continuare con fibrillazioni continue che logorano l'azione dell'esecutivo: si avvicina il tempo in cui Berlusconi deve decidere una volta per tutte cosa intende fare...". Ecco, cosa dovrebbe fare? Dalla platea arriva una chiara indicazione a gesti: smamma, dovrebbe dimettersi dal Senato e mettersi da parte. Epifani non si permette: "Sta a lui decidere", la folla Pd gliela perdona, comprende.
E lo concede perché percepisce da Epifani un certo senso di realismo. "Sul governo non scommetterei niente e invito tutti a non farlo". Può succedere di tutto e se crollasse il castello a Palazzo Chigi, allora bisognerebbe mettere in piedi un governo di scopo per riformare la legge elettorale, anche ricorrendo a intese con il M5s, seppure "Grillo ha detto che si potrebbe tornare a votare con il Porcellum e così contribuisce al degrado delle istituzioni...". È un Epifani che tenta di non lasciare zone d'ombra, anche sul congresso, dice la sua. "Vanno fatte due modifiche allo statuto: il segretario non può essere automaticamente candidato premier e poi vanno slegati i congressi locali dalle primarie per il leader". Su questo sarà battaglia in assemblea tra due settimane, ma Epifani convince anche su questo punto a Genova. Anche perché ad ascoltarlo in prima fila non a caso ci sono solo i dirigenti Dem che sono d'accordo sulla sua proposta: Massimo D'Alema, Gianni Cuperlo, Roberto Speranza, i bersaniani Nico Stumpo e Cesare Damiano (neo-sostenitori di Cuperlo). Insomma, c'è la vecchia 'guardia rossa' del Pd, quella del campo avversario rispetto a Renzi. Sul congresso si vedrà, in ogni caso Epifani non si sbilancia sulle sue preferenze tra i candidati. Fa niente. Quello che conta per il pubblico venuto a Genova - così sembra dal clima in sala - è il rapporto con Berlusconi: il militare Pd guarda l'orologio, la pazienza sta per scadere.