Renzi? Sì e no: perché le tante correnti che finora hanno appoggiato il segretario lo hanno stoppato sulle elezioni anticipate. I veri numeri che contano oggi nel PD sono questi
«C’è una brutta corrente», dicevano ne Il Divo per presentare quella andreottiana. Il Partito Democratico invece di correnti ne ha talmente tante che qualcuna bella ce ne dev’essere di sicuro. In attesa di individuarla, questa infografica di Repubblica le riepiloga mentre La Stampa ci spiega che la vittoria del no rischia di innescare un big-bang nel partito, le tante correnti, anche quelle che sostengono Matteo Renzi, hanno ripreso a muoversi. In ordine sparso, ma con un obiettivo comune: frenare la corsa al voto che Matteo Renzi e i suoi avevano immaginato, a caldo, per ripartire dopo la sconfitta di domenica. Come accadeva nella Dc, ieri è stata una giornata di riunioni di “area”, di colloqui a quattr’occhi nei corridoi del Parlamento tra gli ambasciatori delle varie anime, con Lorenzo Guerini impegnato a tessere la tela di un partito frantumato.
Nel quale, racconta ancora La Stampa, le truppe si scaldano in attesa della pugna che avverrà platealmente alle 17,30 in direzione, e surrettiziamente fino alla risoluzione della crisi di governo. Ci sono i renziani doc:
La galassia dei renziani doc è composita: c’è il ‘giglio magico’ dei toscani, Luca Lotti, Maria Elena Boschi, David Ermini, tutti convinti che a questo punto si debba tornare a elezioni al più presto, forzando le resistenze del resto del partito. L’idea di fondo è: capitalizzare i 13,5 milioni di sì ottenuti domenica, nonostante la sconfitta. «Nessuno – ragiona un renziano doc – può contare su un bacino di voti simile». Ma a gridare ‘al voto al voto’ sono anche parlamentari come Alessia Morani, ex Ds, che non era tra i renziani della prima ora, ma che ora è con il premier senza dubbi, come Anna Ascani o Simona Malpezzi. Ci sono poi i “cattorenziani” di Graziano Delrio, Matteo Richetti e Angelo Rughetti. E c’è il mediatore Lorenzo Guerini. Un’area che condivida l’idea del voto anticipato, ma che suggerisce di evitare strappi con il resto della maggioranza renziana nel Pd. L’idea di appoggiare un governo istituzionale può essere accettata solo se non diventa un «bis di Monti», ovvero niente governi che durino fino al 2018, con M5s e la Lega che sparano contro.
I primi pronti a tradire sono Areadem, ovvero i seguaci di Franceschini:
Di fatto, è l’area Pd con la più consistente pattuglia di parlamentari e della quale fanno parte anche i capogruppo alla Camera e al Senato Ettore Rosato e Luigi Zanda. Senza contare il fatto che Franceschini e Francesco Garofani, altro deputato di spicco della corrente, hanno ottimi rapporti con il capo dello Stato Sergio Mattarella. Proprio Franceschini e i suoi, in queste ore, hanno lavorato a fondo per convincere Renzi: «Va bene andare presto al voto, è ovvio che la legislatura è ormai esaurita. Ma bisogna fare prima una legge elettorale e per riuscirci serve un governo con pieni poteri, non un premier dimissionario», come invece sostenevano i renziani. Se eviti strappi, è il ragionamento fatto a Renzi, tu sei ancora il nostro candidato al congresso Pd e alla presidenza del consiglio per le prossime elezioni, che sarebbero comunque a breve. Ma, ammette più d’uno a nell’anonimato, «quando poi nasce un governo, nessuno può porgli un limite temporale». Renzi è avvisato, il suo principale alleato potrebbe sfilarsi.
Poi ci sono gli altri, che debbono schierarsi. E decidere dove conviene di più stare. Con un occhio alle urne. O meglio: a come verranno stilate le liste elettorali per le urne.
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