Il sindaco di Livorno e l’esposto sulla discarica: “Se ricevo l’avviso di garanzia non mi dimetto”
Un ricorso al Tar e un esposto in procura sono stati presentati per conto della famiglia Bellabarba, proprietaria della discarica del Limoncino
“Non ho ricevuto avvisi di garanzia e non ho passato alcun documento al comitato contro la discarica. Questi sono i fatti”. Con queste parole il sindaco di Livorno, Filippo Nogarin, ha commentato il servizio diffuso da RaiNews24 (guarda qui il video) che ricostruisce la vicenda della discarica del Limoncino e la querelle giudiziaria che vede contrapposta l’amministrazione comunale e la ditta della discarica. “Avevamo scritto nel programma elettorale che non avremmo mai consentito che aprisse la discarica e stiamo mantenendo la promessa. Perché noi abbiamo un vizio: fare ciò che diciamo. E su questo tema, come su altri, ho ricevuto il consenso da parte dei cittadini che mi hanno eletto”.
L’apertura della discarica è stata sempre osteggiata dalla giunta grillina, ma ora la battaglia diventa incandescente dal punto di vista legale. Si ipotizzano presunte irregolarità da parte della giunta guidata dal sindaco cinquestelle Filippo Nogarin sulle determinazioni assunte relativamente alla viabilità di accesso all’impianto, via del Limoncino. Così un esposto in Procura dell’impresa che da anni lavora alla realizzazione dell’impianto potrebbe far arrivare un avviso di garanzia al primo cittadino pentastellato che mettendo le mani avanti ha chiarito che non avrebbe preso in considerazione le dimissioni.
La ditta Bellabarba, proprietaria della cava, vuole invece portare avanti il progetto è ha presentato un ricorso al Tar con una richiesta di risarcimento danni al Comune di 54 milioni. L’accusa prefigurata dal ricorso al Tar di Bellabarba è di abuso di ufficio da parte del sindaco. In sostanza la ditta accusa la giunta di aver fornito le carte per la controversia legale al comitato dei residenti che negli anni ha presentato vari esposti anti discarica.
L’ex cava che dovrebbe raccogliere materiali inerti è rimasta sequestrata per 3 anni, ma il giudice ha assolto gli imputati dall’accusa che l’ok all’impianto fosse arrivato con un abuso d’ufficio.
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