giovedì 16 aprile 2015

Sono perfettamente d'accordo con Renzi. Poi vedremo come Civati spiegherà ai suoi elettori il non aver votato la legge

Italicum, l’ultimatum del presidente del Consiglio Matteo Renzi è arrivato. “Se non passa la legge nel voto alla Camera mi vedrò costretto a salire al Quirinale da Sergio Mattarella e rassegnare le dimissioni”. Insomma, per il premier è il momento delle parole grosse: Renzi è convinto di superare indenne il voto del gruppo del Partito Democratico alla Camera dei Deputati, ma se nonostante l’ok dei parlamentari il cammino della legge venisse ostacolato in aula, il segretario del Pd afferma di non poter fare altro che trarre le dovute conclusioni.

ITALICUM, L’ULTIMATUM DI RENZI: “PRENDERE O LASCIARE”

“Non stiamo giocando al Monopoli”, ha ripetuto ieri dopo le richieste di Area Riformista di riaprire la discussione sugli emendamenti alla legge elettorale: “Non è che si pesca la carta e si ritorna a vicolo corto. E’ il momento di andare fino in fondo”.
All’assemblea di oggi chiederà ai deputati di votare sulla sua proposta che contiene due punti precisi: l’immodificabilità dell’Italicum e la richiesta ai parlamentari del Pd di non presentare emendamenti sulla legge elettorale voluta dal governo. Prima della riunione il segretario ha in programma un colloquio con Roberto Speranza, che ha già rimesso il mandato di capogruppo a Montecitorio in Direzione e che potrebbe confermare le dimissioni. L’idea di Speranza è che, libero dai vincoli impostigli dal ruolo, potrebbe rafforzare la sua leadership nella minoranza
Indipendentemente dall’atteggiamento della minoranza, scrive in un retroscena Maria Teresa Meli sul Corriere della Sera, la strada della riforma, dice il premier, è segnata: o si approva o salta tutto. 
Per quel che riguarda invece il suo, di programma, il premier è più che sicuro: dl confronto è durato un anno, il testo della legge è stato modificato, se ora dico che non ci sono margini di manovra non lo faccio per forzare ma perché è arrivato il momento di decidere. Adesso si vota nel gruppo e l’esito di quel voto sarà vincolante per tutti». Renzi è convinto di avere i numeri. A suo giudizio «la maggioranza sull’Italicum è blindata, anche perché alla stessa minoranza non conviene esasperare i toni». E infatti Renzi dà per scontato che una grossa fetta di quell’area in Aula voterà «sì» alla riforma della legge elettorale: «Una decina voterà contro e qualche altro magari se ne andrà», sostengono nello staff del premier. Ma gli scrutini segreti rischiano di essere tanti. E segreto sarà, con tutta probabilità, anche il voto finale. Quindi il rischio di possibili imboscate trasversali è sempre dietro l’angolo. Eppure il segretario del Pd è ugualmente convinto che alla fine prevarranno le ragioni della prudenza. «Se la legge non passasse, io non potrei fare altro che trarne le inevitabili conseguenze e salire al Quirinale da Mattarella»

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ITALICUM, ARRIVA LA FIDUCIA? 

Quello delle dimissioni e della fine anticipata della legislatura è uno spauracchio che il premier agita davanti a chi, a parole, sembra pronto ad andare fino in fondo e che invece, a occhio, difficilmente farà seguire i fatti alle parole. Anche perché sul tavolo c’è un’altra arma per calmare “i bollenti spiriti” dei dissidenti che, scrive ancora il Corriere, stanno diventando in ogni caso sempre più tiepidi: la fiducia sull’Italicum.
La fiducia, in realtà appare assai improbabile, anche se i renziani difendono questo strumento e non accettano le critiche di chi dice che utilizzarlo per l’Italicum sarebbe una forzatura inaudita. Questo il ragionamento che viene opposto alle critiche: «La fiducia è un atto eminentemente politico e che cosa c’è di più politico di una riforma elettorale voluta dal governo?». Insomma, il premier non lascia più margini di mediazione. II suo è un «prendere o lasciare», posto in maniera urbana ma molto netta. La minoranza lo ha capito e non si fa troppe illusioni.
Eventualmente, sarebbe il Renzi-pensiero, si potrebbero accettare alcune modifiche al cammino della riforma della Costituzione sull’abolizione del Senato, perlomeno “nelle parti del testo che sono state cambiate dall’assemblea di Montecitorio, perché ciò che è già passato nella stessa versione sia al Senato che alla Camera non è più emendabile”.

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