sabato 18 aprile 2015

Boeri é la prima persona capace e competente messa all'Inps. Prima di lui solo sindacalisti nullafacenti. Riusciremo a cambiare questo paese.


Il presidente Inps vuole cambiare la legge vigente. Che porta 80 mld di risparmi. L'Ue si oppone. E i conti non quadrano. Assunzioni a tempo indeterminato +54%.

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16 Aprile 2015

Tito Boeri, presidente dell’Inps, è favorevole ad anticipare il pensionamento. Considera troppo rigida l’imposizione della legge Fornero, che dal 2018 porterà l’età del ritiro a quasi 67 anni.
Vede, nella stessa riforma, un aggravio alle condizioni di una generazione, gli ultra 50enni, già condannata dai datori di lavoro. La sua riforma prevede penalizzazioni sull’assegno a chi finisce di lavorare prima del tempo, l’istituzione di un “reddito minino” per questa fascia poco appetibile per le aziende e, soprattutto, una serie di contributi di solidarietà ai pensionati, che hanno potuto godere - a differenza di quelli ai quali è stata applicata la Dini - del sistema retributivo.
E in questo calderone il bocconiano mette insieme sia quelli andati in quiescenza con almeno l’80% dell’ultimo stipendio sia chi si ritrova con un assegno superiore ai 2 mila euro.
LE RESISTENZE DELL'UE. Giuliano Poletti, il ministro del Lavoro e colui che è deputato nel governo a fare la politica previdenziale, smentisce interventi sulle pensioni in essere ed è abbastanza freddo sull’idea di penalizzazioni.
Ma vuole modificare la Fornero, come il 90% dei partiti presenti in parlamento. Yoram Gutgeld, commissario alla Spending review che pure minaccia un repulisti nelle false pensioni d’invalidità, ricorda che la materia è delicata, sicuramente «non è un traguardo raggiungibile in pochi mesi», perché la Ue non gradisce interventi e «non è consentito dalle regole di contabilità europea in quanto crea deficit».
Dietro il suo schema c’è, in Boeri, la consapevolezza che il sistema – oggi stabile – potrebbe tornare a scricchiolare, visto l’invecchiamento galoppante del nostro Paese. Servono soldi, quindi meglio prenderli a chi ne ha avuti e ne avrà di più dall’Inps. Ed è per questo che Matteo Renzi - finora silente sul tema - se proprio deve scegliere, preferisce seguire l’approccio dell’economista mandato in via Ciro il Grande.
RISPARMI DI 80 MILIARDI. Nella scorsa legislatura, quando Cesare Damiano e Pier Paolo Baretta presentarono una proposta per anticipare il pensionamento a 62 anni con penalizzazioni fino all’8%, la Ragioneria generale dello Stato calcolò un costo per lo Stato di 4 miliardi l’anno. Troppo per un Paese che vede saldamente l’avanzo in primario sopra il 2% (meglio di quello tedesco) grazie ai risparmi pensionistici realizzati dalla Dini in poi.
È stato calcolato che gli interventi della Fornero faranno risparmiare fino al 2021 80 miliardi. Damiano, da presidente della commissione Lavoro, ha “strappato” a un funzionario della Ragioneria generale dello Stato che il sistema previdenziale sarà alleggerito di costi pari a 300 miliardi.

La proposta di un contributo di solidarietà sulle pensioni più alte

Un massa di denaro che fa chiedere all’ex ministro «se è ancora il caso di colpire ancora i pensionati», ma che spinge altri a segnalare che il prezzo delle salvaguardie agli esodati (17 miliardi dei quali soltanto 11 realmente spesi) in fondo è stato sostenibile.
Proprio da questi fondi non utilizzati vogliono partire i fautori di un intervento pensionistico per finanziare la riforma della Fornero, nella speranza di reintrodurre pensioni di vecchiaia o il sistema delle quote. Ma non basterebbe. Da qui la proposta, politicamente insostenibile, di Boeri di un contributo di solidarietà sulle pensioni più alte.
IL TETTO A 2.500 EURO. In quest’ottica è utile rifarsi al lavoro dell’ex commissario alla Spending review, Carlo Cottarelli. Prima di ritornare al Fondo monetario, l’economista aveva lasciato anche un piano per recuperare 1,7 miliardi in tre anni: ha suggerito un’una tantum a carico del 15% delle pensioni più alte (iniziando però dagli assegni sopra i 2.500 euro) per incentivare nuove assunzioni, la fine del cumulo tra lavoro parlamentare e quiescenza, una revisione dei criteri per ottenere la reversibilità, l’equiparazione sull’età di ritiro tra uomini e donne, una diversa indicizzazione.
Secondo i sindacati, la vera difficoltà sta nel capire come valutare se un assegno è alto o meno. Boeri fa intendere che il tetto scatta a 2.500 euro. Non a caso, dopo aver lanciato la sua operazione trasparenza, ha subito chiesto delle simulazioni per il ricalcolo con il metodo contributivo delle pensioni concesse col il retributivo.
Risultato? L'88% delle pensioni «incorpora un di più rispetto ai contributi versati e che in media gli assegni sono “maggiorati” del 23,4%», pari a una spesa in più di quasi 1 miliardo e mezzo di euro all’anno.
VERSO UN'OPERAZIONE DI RICALCOLO? Non tutti sono d’accordo con quest’approccio. Nel suo ultimo rapporto sul sistema previdenziale Alberto Brambilla, presidente dell’associazione Itinerari previdenziali e già presidente del soppresso Nucleo di valutazione sulla spesa previdenziale del ministero del Lavoro, ha spiegato che «il tasso di rendimento delle pensioni col retributivo è calato notevolmente oltre la soglia di 44 mila euro di reddito e che queste pensioni sono già state penalizzate con ripetuti interventi di blocco della indicizzazione ai prezzi e con l’imposizione di contributi di solidarietà».
Così c’è chi vede, dietro la campagna di Boeri, qualcosa di più bellicoso: dopo la fusione dell’Inpdap, le strutture di via Ciro il Grande sarebbero arrivate alla conclusione che l’ex istituto previdenziale era abbastanza “superficiale”, per non dire di peggio, nel fare i conteggi durante il passaggio dall’ultimo stipendio alla pensione. Che l’operazione trasparenza si trasformi in una reale (e non più virtuale) operazione di ricalcolo?
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