In difesa di Beppe, Travaglio torna all’anticomunismo
Tags : politica - italia - vita - partito - anni - grillo - politico - parlamento - italiano - democrazia
Non è bello vedere Travaglio così nervoso. Sentendosi ferito, nel suo punto più debole, si arrabbia di brutto e quindi per coprirsi spara a raffica. Con il tipico repertorio metaforico e politico di un uomo di destra, si rivolge a chi lo critica con queste formule: attaccando me, Prospero «si guadagna la pagnotta». Che raffinatezza, ragazzi. Travaglio vede solo una contropartita in denaro dietro ogni mossa. Si dà il caso però che la pagnotta uno se la guadagni in altro modo, e quindi stia pure tranquillo Travaglio: se uno lo critica, non lo fa certo per il pane. Se ne faccia una ragione.
Quanto al «volgare falsario», basta, per ripristinare il vero, riprodurre per esteso le frasi che Travaglio ha scritto di suo pugno e ora d’un colpo ritratta: «Chi non vi è portato, come la furbona che ha scoperto improvvisamente che il guaio di 5 Stelle è Grillo, o quell’altro genio che s’è iscritto al M5S per andare dalla D’Urso o i dissidenti sul nobile ideale della diaria, va semplicemente ignorato, o liquidato con una battuta, o affidato a un collegio dei probiviri che faccia rispettare le regole». Dov’è dunque la falsificazione? Irritato Travaglio nega ora anche di aver criticato il Parlamento. Basta però rileggerlo: «I capigruppo convochino iniziative di piazza per spiegare le porcate che scoprono in quell’ente inutile che ormai è il parlamento». Ente inutile, parole vergognose, ma sono le sue.
I giornali che non gli piacciono non meritano alcun rispetto. E quindi l’Unità per lui non è un foglio libero perché è un «giornale di partito». Eccola finalmente pronunciata l’altra parola terribile. La semplice espressione partito per Travaglio equivale infatti a un insulto. E dei peggiori. Cui segue a ruota un secondo affondo: è «un giornaletto». In tutte le cose non andate per il verso giusto, dalla chiusura dell’Unità alla bicamerale, Travaglio vede lo zampino degli «amici di Prospero». Troppa grazia, conduco una vita molto, molto appartata.
Ma il meglio di sé Travaglio lo dà ancora una volta su Togliatti. Mi chiama, con intenzione offensiva, «Palmiro Prospero» che «di recente ha additato al Pd come modello da seguire non Enrico Berlinguer, ma Palmiro Togliatti». E quando avrei contrapposto i due leader del comunismo italiano? Il discorso, si sa, è complesso. Ma Travaglio lo risolve alla sbrigativa e crede lecito separare un Berlinguer buono, letto alla sua maniera però (cioè come una sorta di padre nobile del giustizialismo), da un Togliatti cattivo, molto cattivo. Ma questa sua immagine è un oltraggio alla grande cultura politica di Berlinguer, rimasto sempre fedele non solo a Togliatti ma anche, se è per questo, a Lenin e alla vicenda storica e ideale del comunismo.
Ma mentre su un Berlinguer moralizzatore, l’anticomunista all’antica Travaglio transige, spacciandolo anzi per una sorta di produttore di Servizio Pubblico, su Togliatti va giù feroce. Il leader del Pci è per lui solo uno che «i dissidenti li lasciava crepare nel gulag», pronto a «perseguitare e ad ammazzare in Spagna». Repertorio cabarettistico da anni 50, che urta contro tutte le acquisizioni storiografiche, unanimi nel valorizzare, anche nell’esperienza spagnola, un Togliatti che opera nella tragedia come elemento di moderazione. Proprio in quei giorni mette a punto l’obiettivo di «una democrazia di tipo nuovo» (che dice no alla rivoluzione e alla conquista del potere, no alla collettivizzazione e alla persecuzione della Chiesa, e sì al ripristino immediato della vita religiosa) che tanta strada farà al suo rientro in Italia.
Il bello è che Travaglio scolpisce nel suo editoriale quale sua linea politica ispiratrice una semplice parola: la Costituzione. Che fa Travaglio, adesso, prende a modello proprio un documento che ha avuto per suo padre ispiratore, insieme a pochi altri, proprio il terribile Togliatti? Anche lui adesso è un «Palmiro Travaglio» con gli scarponi chiodati?
Quanto al «volgare falsario», basta, per ripristinare il vero, riprodurre per esteso le frasi che Travaglio ha scritto di suo pugno e ora d’un colpo ritratta: «Chi non vi è portato, come la furbona che ha scoperto improvvisamente che il guaio di 5 Stelle è Grillo, o quell’altro genio che s’è iscritto al M5S per andare dalla D’Urso o i dissidenti sul nobile ideale della diaria, va semplicemente ignorato, o liquidato con una battuta, o affidato a un collegio dei probiviri che faccia rispettare le regole». Dov’è dunque la falsificazione? Irritato Travaglio nega ora anche di aver criticato il Parlamento. Basta però rileggerlo: «I capigruppo convochino iniziative di piazza per spiegare le porcate che scoprono in quell’ente inutile che ormai è il parlamento». Ente inutile, parole vergognose, ma sono le sue.
I giornali che non gli piacciono non meritano alcun rispetto. E quindi l’Unità per lui non è un foglio libero perché è un «giornale di partito». Eccola finalmente pronunciata l’altra parola terribile. La semplice espressione partito per Travaglio equivale infatti a un insulto. E dei peggiori. Cui segue a ruota un secondo affondo: è «un giornaletto». In tutte le cose non andate per il verso giusto, dalla chiusura dell’Unità alla bicamerale, Travaglio vede lo zampino degli «amici di Prospero». Troppa grazia, conduco una vita molto, molto appartata.
Ma il meglio di sé Travaglio lo dà ancora una volta su Togliatti. Mi chiama, con intenzione offensiva, «Palmiro Prospero» che «di recente ha additato al Pd come modello da seguire non Enrico Berlinguer, ma Palmiro Togliatti». E quando avrei contrapposto i due leader del comunismo italiano? Il discorso, si sa, è complesso. Ma Travaglio lo risolve alla sbrigativa e crede lecito separare un Berlinguer buono, letto alla sua maniera però (cioè come una sorta di padre nobile del giustizialismo), da un Togliatti cattivo, molto cattivo. Ma questa sua immagine è un oltraggio alla grande cultura politica di Berlinguer, rimasto sempre fedele non solo a Togliatti ma anche, se è per questo, a Lenin e alla vicenda storica e ideale del comunismo.
Ma mentre su un Berlinguer moralizzatore, l’anticomunista all’antica Travaglio transige, spacciandolo anzi per una sorta di produttore di Servizio Pubblico, su Togliatti va giù feroce. Il leader del Pci è per lui solo uno che «i dissidenti li lasciava crepare nel gulag», pronto a «perseguitare e ad ammazzare in Spagna». Repertorio cabarettistico da anni 50, che urta contro tutte le acquisizioni storiografiche, unanimi nel valorizzare, anche nell’esperienza spagnola, un Togliatti che opera nella tragedia come elemento di moderazione. Proprio in quei giorni mette a punto l’obiettivo di «una democrazia di tipo nuovo» (che dice no alla rivoluzione e alla conquista del potere, no alla collettivizzazione e alla persecuzione della Chiesa, e sì al ripristino immediato della vita religiosa) che tanta strada farà al suo rientro in Italia.
Il bello è che Travaglio scolpisce nel suo editoriale quale sua linea politica ispiratrice una semplice parola: la Costituzione. Che fa Travaglio, adesso, prende a modello proprio un documento che ha avuto per suo padre ispiratore, insieme a pochi altri, proprio il terribile Togliatti? Anche lui adesso è un «Palmiro Travaglio» con gli scarponi chiodati?
1 commento:
Povero Travaglio.
Posta un commento