Il ruolo di Silvio Berlusconi nella vicenda dell'intercettazione Fassino-Consorte che gli è costato in primo grado una condanna a un anno di reclusione, fu decisivo. È il senso delle motivazioni in cui si legge che senza l' "apporto in termini di concorso morale" dell'ex premier "non si sarebbe realizzata la pubblicazione".
I giudici di Milano sottolineano "il ruolo precipuo del premier" nella vicenda della pubblicazione della telefonata Fassino-Consorte, in relazione al 'peso' politico che quella conversazione avrebbe potuto avere. "Deve ritenersi - scrivono i giudici - che Silvio Berlusconi abbia ricevuto, quella sera a casa sua, ad Arcore, la visita di Favata e Petessi (coloro i quali gli portarono materialmente il nastro registrato, ndr), insieme al fratello, essendo ben consapevole del motivo per cui si svolgeva quella visita, in parte destinata a fargli sentire la famosa telefonata, nella chiara prospettiva della sua pubblicazione, di peculiare interesse in quel periodo pre-elettorale, tenuto conto della già sottolineata portata politica di quella conversazione".
"Il ruolo precipuo del premier - continuano i giudici - era collegato, certamente, alla strenua richiesta di Raffaelli di incontrarlo per potergli presentare personalmente il suo progetto e ottenere l'appoggio, atteso che, secondo quanto lui stesso ha affermato, non avrebbe ceduto la chiavetta se non in quella occasione. Inoltre la sua qualità di capo della parte politica avversa a quella di Fassino, rende logicamente necessario il suo benestare alla pubblicazione della famosa telefonata, non potendosi ritenere che, senza il suo assenso, quella telefonata, che era stata per altro a casa sua, fosse poi pubblicata, a prescindere dalle espressioni di soddisfazione riferite da Favata a Petessi all'epoca dei fatti".
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Berlusconi e il processo Unipol-Bnl
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Ansa
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Nella ricostruzione fatta nella sentenza, la telefonata tra Fassino e Consorte, pubblicata in un delicato momento politico, rappresentò "un regalo di Natale" per l'allora premier. "Ritiene il tribunale - è scritto nelle motivazioni -. Che la vicenda in esame si sia rivelata quale emblematica espressione della spregiudicatezza con cui un incaricato di pubblico servizio, quale Roberto Raffaelli, titolare, in ragione del suo incarico, di delicatissimi compiti affidatigli dall'autorità giudiziaria, si sia reso disponibile a piegare il dovere di lealtà nei confronti della Pubblica Amministrazione".
"Violando - continuano i giudici - il dovere di segretezza imposto sui contenuti delle intercettazioni, persino secretate, come questa, trasformata in un regalo di Natale volto ad ingraziarsi l'appoggio del presidente del Consiglio al fine di ottenere la sua protezione". L'intercettazione, che non era stata nemmeno ascoltata dai pm, venne portata da Roberto Raffaelli, amministratore della società incaricata delle registrazioni per conto della Procura, la sera della vigilia di Natale del 2005 ad Arcore. In questo modo Raffaelli intendeva garantirsi l'appoggio del premier per una commessa in Romania. Cinque giorni dopo la telefonata, penalmente irrilevante, venne pubblicata su "Il Giornale".