mercoledì 30 gennaio 2013

Altro che lobby parliamo pure di atteggiamento mafioso. I PDL si nomina dirigenti sia ministeriali che regionali con criteri di appartenenza partitica. e noi ce li ritroviamo magari alla direzione degli uffici scolastici regionali. La sinistra vada avanti e spazzi via questi ruffiani dei partiti e dei sindacati che ormai sono i veri nemici dei lavoratori. Parola di Consigliere Comunale della lista civica per Voghera.


Le regioni provano a lottare contro le lobby, maglia nera alla Lombardia

Velia Iacovino
In Italia il lobbismo c’è, ma non si vede. Varie regioni hanno provato a fare le loro leggi in materia. Dal Molise, dove è stato istituito un registro per le lobby a cui non si è mai iscritto nessuno, all'Abruzzo del dopo terremoto passando per la Toscana, prima a dotarsi di una legge simile. Maglia nera? La Lombardia
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Galoppini in agguato, pizzini infilati a volo nel taschino della giacca del politico di turno, cene trasversali in remote masserie o ristoranti fuori mano, giri di telefonate, ammiccamenti e la solita catena di sant’ Antonio fatta di amici di amici.
Cambiano le location ma il copione di chi fa affari nel nostro Paese, da nord a sud, da est a ovest, isole comprese, a livello locale o nazionale, è sempre lo stesso. E il modello pure. Piccoli o grandi faccendieri si muovono così, nell’ombra e in barba a ogni tentativo di regolamentare in maniera trasparente il delicato rapporto che si instaura tra chi governa e legifera e chi è portatore di interessi.Altro che lobbisti professionisti senza macchia e senza peccato. Ci vorrà tempo prima di vederli al lavoro nei palazzi dei Consigli regionali, provinciali, comunali, con tanto di tesserino magnetico e look da colletto bianco. E se alcune regioni italiane hanno avvertito la necessità per lo meno di avviare un dibattito su questo fronte, e, in rari casi, persino di sperimentare normative, per il resto il quadro è desolante.
La maglia nera spetta senz'altro alla ricca Lombardia, che vanta un Pil di 300 mld di euro, il 20% di quello nazionale. Qui nessuno finora ha mai sentito neppure vagamente l’esigenza di regolamentare le relazioni tra gruppi di pressione e chi decide. Non solo non esiste una legge sulle lobby, ma non è neanche mai stato presentato in seno al Consiglio regionale ormai decaduto– come assicurano dalla segreteria generale – nessun pdl che possa per lo meno testimoniare che da parte di qualcuno ci fosse una pur vaga aspirazione a rendere più trasparente e corretto il rapporto tra politica ed economia. Perché questo totale disinteresse? La risposta forse la si può trovare nei tanti, troppi, scandali che hanno travolto il Pirellone. L’opacità serve, perché lascia campo libero al malaffare e impinguisce le parti interessate.
Meno arretrato su questo fronte, rispetto alla Lombardia, è il Veneto. Nel cassetto della prima commissione del Consiglio regionale almeno qualcosa c’è. Ed è un pdl sulle lobby, depositato il 30 giugno 2010, il secondo a firma del vicepresidente Franco Bonfante del Pd (il primo era datato 2008), che, comunque, differisce da altre normative analoghe, perché si prefigge di regolare non solo i rapporti tra lobbisti e legislatore, ma anche quelli tra lobbisti ed esecutivo, cioè presidente della giunta, assessori e dirigenti di alto livello con poteri di orientamento delle scelte.
In Friuli Venezia Giulia stessa situazione di stallo. Non ha fatto finora passi avanti il progetto di legge sulle lobby illustrato un anno fa – era novembre 2011– a Trieste dal consigliere regionale Antonio Pedicini insieme a Daniele Galassi e Franco Baritussio. In quell’occasione i tre puntarono con gran clamore il dito contro «lo squallore di certe attività gestite nell’ombra» che si consumano a «colpi di foglietti con richiesta di emendamenti» infilati nella giacca del politico prima del voto. Il loro j’accuse ebbe molta risonanza sui media e scatenò polemiche. Poi su tutto calò il silenzio. Anche la Calabria vanta di aver avuto un pdl sulle lobby. Fu presentato nel lontano 2004. Una certa volontà politica di regolamentare si riscontra anche in altre aree d’Italia, senza però esiti clamorosi. Mentre alcune regioni, all’istituzione di registri o al varo di leggi ad hoc, hanno preferito scegliere una strada diversa, recependo nei loro statuti il bisogno di trasparenza nel rapporto con i gruppi di pressione.
Questo lo scenario generale. Poi ci sono le cosiddette eccezioni, quelle regioni cioè almeno formalmente virtuose e spesso con troppa superficialità addirittura additate a esempio da seguire. A scavare e verificare si può ben dire che non è proprio tutto oro quello che riluce. Anzi.
È clamoroso il caso del Molise. Qui, dal 22 ottobre 2004 è in vigore una legge, la numero 24, in 5 articoli, dal titolo “Norme per la trasparenza dell'attività politica e amministrativa del Consiglio regionale del Molise”, che si prefigge di dare visibilità ufficiale “ai gruppi di interesse presenti nella società molisana”, consentendo loro di accreditarsi mediante iscrizione a un apposito registro, che la stessa legge istituisce, descrivendone il funzionamento in tutti i dettagli (sanzioni comprese) negli articoli 2,3,4.
Ebbene, al registro delle lobby molisano non si è iscritto mai nessuno e, se si chiede in giro, pochi sanno persino che esiste una normativa tra le più avanzate d’Europa. «Questa nostra bella legge è rimasta lettera morta. Ha vinto il lobbismo sotterraneo, quello peggiore» ammette lo stesso presidente del Consiglio Regionale, Mario Pietracupa, che è anche docente universitario di economia, un tecnico esperto di queste materie. «È incredibile, ma, in questi otto anni, da quello che mi risulta – riferisce – non ci è mai pervenuta alcuna richiesta di accreditamento. Un timido approccio iniziale venne fatto dall’Abi. Poi su tutto calò il sipario. È desolante. Forse a volte la politica accelera troppo. Forse da parte nostra c’è stata scarsa comunicazione. Comunque – promette – mi attiverò con ogni mezzo perché venga affrontato il problema. Ringrazio per avermi dato l’occasione di ritirare fuori dalle nebbie dell’oblio una legge importantissima, soprattutto in un momento come questo in cui c’e’ più bisogno che mai di strumenti di trasparenza».
La situazione non è più rosea in un’altra regione, l’Abruzzo, che, all’indomani dello scandalo della ricostruzione del dopo terremoto all’Aquila, su iniziativa del consigliere regionale del Pdl, Ricardo Chiavaroli, approvò una normativa dal titolo “Disciplina sulla trasparenza dell’attività politica e amministrativa e sull’attività di rappresentanza di interessi particolari”. Era il 14 dicembre del 2010. Da allora, sono passati due anni, ma la legge non è mai stata applicata e gli affaristi hanno continuato ad avere campo libero alla maniera di sempre. Motivo? Mancava il disciplinare contenente le regole per l'attuazione del registro, approvato soltanto il 28 dicembre scorso  scorso dall'Ufficio di Presidenza del Consiglio Regionale.
«Putroppo – spiega Chiavaroli – i tempi burocratici sono quello che sono. Da parte mia continuo a tenere moltissimo a questa legge, che nasce per mie esperienze culturali e politiche pregresse ma anche in relazione ai casi di presunte cricche a L'Aquila per la ricostruzione post-terremoto. Una legge che viene studiata anche in Parlamento. Penso davvero che possa essere un primo passo per separare il grano dal loglio, facendo emergere nella nostra società abruzzese i legittimi portatori di interessi specifici a detrimento delle cricche. L’attività di lobby non è un fatto negativo, anzi, se esercitata alla luce del sole e secondo norme precise, è un’opportunità, anche se non mi illudo che la sola legge possa evitare il rischio di malaffare o di ingerenza di certi gruppi nella vita politica regionale”.
«Il processo sarà graduale – prosegue – non sappiamo quanti aderiranno. Ma l’iniziativa aiuta i gruppi leciti a operare meglio e in trasparenza. Comunque – conclude Chiavaroli – serve assolutamente una norma nazionale anche in virtù della “riduzione” dei poteri delle Regioni e perchè solo una norma nazionale può comminare sanzioni più serie alle lobby illecite».
Mosca bianca sulla strada della trasparenza è invece la Toscana, la prima regione a dotarsi di una legge sulle lobby. Venne approvata il 18 gennaio 2002. Ed è l’unica normativa regionale su gruppi di interesse che ha avuto finora piena attuazione. Ha un suo spazio sul sito del Consiglio regionale e un registro al quale sono iscritti 126 gruppi di interesse accreditati presso le varie commissioni. Più che un esperimento ormai. Ma a dieci anni dal varo, Riccardo Nencini, che all’epoca era presidente del Consiglio Regionale della Toscana e tenne a battesimo la legge, è convinto che «andrebbe ritoccata».
«Certo all’inizio ha funzionato – dice – perché ha aiutato a dar voce anche a quella parte di associazioni lontane dalle relazioni con le istituzioni e perché ha diminuito l’attività di corridoio. E i controlli interni sono stati rigorosi. Ma certo oggi è un po’ datata e si possono fare cose migliori». Intanto in qualità di segretario del Partito socialista italiano Nencini, che è tra i più strenui sostenitori di regolamentazione nazionale delle lobby, ha annunciato, in occasione dell’assemblea a Roma di sostegno alla candidatura di Bersani per le primarie, che nel nuovo parlamento il Psi presenterà quattro leggi, una delle quali sarà appunto la legge sulle lobby. «Il testo – ha anticipato – è già pronto al 90 per cento».
Insomma, a livello locale, come a livello nazionale – vedremo cosa produrrà il registro dei gruppi di interesse attivato in novembre presso il Ministero dell’Agricoltura – la strada è ancora tutta in salita per l’altra metà del cielo dei lobbisti, quella cioè dei tanti professionisti che vogliono fare il proprio lavoro alla luce del giorno. Per il momento la palla è ancora nel campo della Spa dei traffichini e degli affaristi. A nord come a sud. 


Leggi il resto: http://www.linkiesta.it/lobby-abruzzo-molise#ixzz2JULYl9kW

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