sabato 5 marzo 2016

Un articolo straordinario da leggere immediatamente.

Cosa ho imparato dopo aver lavorato 4 anni da McDonald's

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MCDONALDS WAGESment
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Dai 18 ai 22 anni, ho passato 4 anni a lavorare da McDonald's. Ho lavorato sia part-fime che full-time non riuscendo a trovare nel frattempo un lavoro "migliore". Non ho mai fatto carriera, non sono mai diventata manager, non ho mai raggiunto nessun obiettivo significativo durante il mio periodo lì. 
In sostanza, ero lo stereotipo perfetto dell'impiegato fannullone di McDonald's. Pigro, stupido, senza spirito d'iniziativa. 
Con gli anni, mi sono calata nei panni di questo stereotipo diverse volte. Gli amici dei miei genitori facevano delle facce strane quando dicevo loro del mio lavoro. Sentivo commenti maliziosi : "Lavori ancora da McDonald's?" o "Non potrei mai lavorare in un posto del genere". Ascoltavo i consigli dei miei amici "Non andare al lavoro oggi!" (Perché non è un lavoro vero). 
Lo stereotipo si era infilato anche nella mia testa. Ero una dipendente terribile, troppo lenta, impacciata e risentita per le circostanze in cui mi trovavo. Avevo deciso che io valevo molto di più di un lavoro da McDonald's. Mi giustificavo dicendo : "è un lavoro orribile! Ma ho bisogno di soldi, ahahah!". Ero una brava studentessa, che amava le conversazioni intellettuali. Non ero fatta per quell'inutile fatica fisica. 
Non migliorai. E non m'interessava farlo. Perché dovevo provare ad essere brava in una cosa così inferiore alle mie reali capacità?
Ma dopo qualche anno, il mio atteggiamento ha iniziato a cambiare. Ho iniziato ad andare fiera del mio lavoro. Mi chiedevo quale fosse la differenza tra McDonald's e i lavoretti di basso livello degli altri studenti. Perché il mio lavoro era considerato più patetico degli altri? Forse perché si trattatava di una grande azienda? No, perché altrimenti anche i lavori da Starbucks o Target dovrebbero essere altrettanto imbarazzanti. O perché si tratta di una società poco etica? Sembra che anche H&M e Gaps ricorrano allo sfruttamento della manodopera. 
Forse perché lavoro in un fast food? Sì, ma un lavoro da Chipotle (catena di ristoranti americana) non è altrettanto orribile? Non si tratta di un lavoro intellettuale? No, invece un impiego nelle vendite o come receptionist sembrano andare bene. Poi ho capito. 
Le persone credono che McDonald's sia il posto dove lavora chi non può fare nient' altro. Ho notato che la maggior parte delle posizioni "di basso livello" non sono occupate da persone che somigliano a quelle con cui lavoravo io. Da McDonald's c'erano persone con disabilità, persone sovrappeso, persone che non erano "convenzionalmente" attraenti, persone che non sapevano parlare bene inglese, giovanissimi e molta varietà razziale. 
Queste persone formavano lo zoccolo duro del ristorante. Erano guardate con rispetto, perché erano tra i nostri migliori lavoratori. Poi entravo da Starbucks e, la maggior parte delle volte, vedevo persone che somigliavano proprio a me. Bianche, sulla ventina, attraenti, magre, dall'inglese perfetto. Ecco dov'era il preconcetto che sia io che gli altri attribuivamo al mio lavoro. Io soddisfo in tutto i criteri per avere un "buon" lavoro, in un negozio di abbigliamento ad esempio. Le persone che hanno un buon background non dovrebbero finire da McDonald's, insieme a chi non riuscirebbe a fare di meglio neanche se ci provasse. 
Se sei una ragazza bianca e hai poco più di vent'anni, sarai derisa se lavori da McDonald's. Ma non credo che la stessa cosa succeda con le persone disabili o con una donna di mezza età, immigrata ad esempio. I loro amici non stanno lì a dire sotto i baffi "Perché non ti trovi un lavoro vero?". Perché questo è il lavoro che riteniamo giusto per loro.
McDonald's è disgustoso. Ma la mia umiliazione e quella di amici e familiari non era dovuta al fatto che preparassi hambuger. Derivava dalla convinzione che io fossi migliore di quel mondo. Credevano fossi più intelligente, pronta a rimboccarmi le maniche e più talentuosa dei miei colleghi lì. Meritavo un "buon" lavoro. Avevo un'esagerata opinione di me, derivata dal fatto che sono una persona "privilegiata".
Ho capito che questo atteggiamento era molto più rivoltante che raccogliere patatine fritte. Perché io non sono migliore di un dipendente McDonald's. Certo, potrò avere delle capacità diverse. Non ho muscoli e quel tipo di pressione mi agita. Sarò sempre più adatta ad un lavoro da impiegata che al lavoro fisico. Ma non perché io sia più intelligente e preparata o perché valga di più di un bravo dipendente McDonald's. 
Ci sono diversi tipi di lavoro. Noi crediamo che il lavoro svolto da persone "ai margini" non abbia valore, ma non è così. Io non sono operosa come i miei colleghi, che a volte fanno turni di 20 ore per assicurarsi che nessun cliente rinunci al suo hamburger di mezzanotte. Non sono brillante come il nostro manager, all'occorrenza ingegnere. Aveva imparato a riparare tutte le strumentazioni così da non dover chiamare un tecnico. 
Non sono così organizzata come chi riesce a prevedere e ordinare gli ingredienti per migliaia di clienti ogni settimana, sapendo che se sbaglia non dovrà vedersela solo con un boss arrabbiato. I clienti sono lì, pronti ad urlarti addosso, a lanciare bibite e usare insulti razzisti perché manca il ketchup. Non sono abbastanza paziente per gestire una cosa simile. 
Tutte queste cose sono abilità. 
E se credete di essere migliori perché lavorate nelle vendite o come receptionist, vi sbagliate di grosso. 
Per me, il periodo trascorso da McDonald è inestimabile. Sì, non voglio più porzionare patatine fritte o fare hamburger di nuovo, ma ho imparato cose più importanti. Ho iniziato a mettere da parte la mia arroganza. Ho sfidato le mie convinzioni, quelle che mi portavano a disumanizzare le persone in base al loro lavoro. Ho smesso di accumunare l'avversione per queste grandi, disgustose realtà all'avversione per i "soldati" su cui queste aziende si fondano. Ho sviluppato una maggiore empatia. 
E non capisco perché questo dovrebbe rappresentare un imbarazzante "incidente" sul mio CV. 
Questo post è apparso per la prima volta su Medium, è stato pubblicato su HuffPostUsa ed è stato tradotto da Milena Sanfilippo.

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