Riforma Rai, Mentana: «È sempre lottizzata. Anche dai 5 Stelle»
Il direttore del TgLa7 parla al Fatto Quotidiano: «Si ritorna al 1975, l'amministratore delegato con pieni poteri è Palazzo Chigi. Il canone in bolletta che effetti avrà sulla concorrenza con le aziende private?»
«Non si può dire “Fuori i partiti da viale Mazzini” e poi approvare una legge del genere». Enrico Mentana ha le idee piuttosto chiare sulla riforma della Rai voluta dal governo Renzi e approvata ieri all’interno della legge di Stabilità. Il direttore del Tg di La7 che nel corso della passata estate era stato più volte avvicinato alla tv pubblica e che non lesinò critiche al premier già dopo l’elezione dei sette componenti del nuovo Consiglio di amministrazione - «Ora si chiama rottizzazione» (una discutibile crasi tra rottamazione e lottizzazione – ndr) - torna a parlare al Fatto Quotidiano in un’intervista a Luca De Carolis.
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La nuova riforma prevede che il numero uno della Rai – un super amministratore delegato, non più un semplice dg - sia nominato su proposta del ministero dell’Economia e decida sulle nomine dei direttori delle reti televisive, dei canali e delle testate e sui contratti fino a 10 milioni. Nel provvedimento confermato anche il canone in bolletta. Per Mentana un passo indietro:
L’amministratore delegato con pieni poteri è Palazzo Chigi. [...] Con questa riforma torniamo a prima del 1975, a una Rai che dipende dall’esecutivo. [...] Il nodo non è tanto Matteo Renzi, perché lui è un premier pro tempore. Il tema vero è che questa riforma schiaccia ancora di più l’emittente pubblica sotto il peso del potere politico, legandola al governo. E la dipendenza è rafforzata anche dal canone che verrà rastrellato inserendolo in bolletta. Una misura che crea una chiara distorsione nel mercato. [...] Che effetti ci saranno sulla concorrenza con le aziende private?
Il rischio insomma è di avere una Rai troppo forte:
Non ho mai creduto che le tv decidano l’esito delle urne. In questi anni lo schieramento politico che controllava la Rai ha regolarmente perso le elezioni. E anche la Dc che governava a Viale Mazzini perse il referendum sul divorzio. La questione principale è che non si può permettere che la tv pubblica sia l’ultimo brandello della comunicazione governata dalla politica
Per l’ex direttore del Tg5, tutto è partito con la nomina del Cda:
In quell’occasione tutti i partiti hanno accettato una logica lottizzatoria. [...] Spiace dirlo, ma sì, tutti quanti. Anche i Cinque Stelle.
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