Virginia paga il conto elettorale: dopo i premi ai dirigenti Atac ecco l’aumento ai netturbini
L’Ama applica l’aumento salariale ai lavoratori, ma senza applicare il nuovo orario che prevede 2 ore lavorative in più alla settimana e la distribuzione dei turni anche di domenica
L’Ama e l’Atac, rispettivamente la società che si occupa dei rifiuti e la società che si occupa del trasporto pubblico a Roma, in questi giorni sono sotto la lente d’ingrandimento. Pochi giorni fa la notizia del riconoscimento dei premi -anche quelli retroattivi – ai dirigenti Atac per un totale di 1,8 milioni di euro, mentre oggi la notizia dell’aumento salariale ai 7800 dipendenti Ama, senza che questi lavorino 2 ore in più e la domenica, come previsto dall’accordo nazionale firmato nel luglio 2016.
La situazione della raccolta rifiuti a Roma non è proprio idilliaca: la città versa in condizioni non degne di una capitale europee – questo accade in particolar modo nelle giornate di domenica e lunedì – ma comunque la dirigenza Ama, unica in Italia, decide di applicare l’aumento salariale previsto senza chiedere in cambio le 2 ore aggiuntive e la distribuzione dei turni anche di domenica.
Una decisione inaspettata, perché solo un mese fa – il 15 dicembre – il direttore generale dell’Ama Stefano Bina, arrivato dalla Lombardia e stimato da Casaleggio e dall’assessore Massimo Colomban, aveva avvertito per iscritto i sindacati “dell’assoluta necessità di dare seguito alle reciproche obbligazioni dal primo gennaio”. Pochi giorni fa, invece il direttore generale è stato smentito dall’amministratrice unica Antonella Giglio – nominata direttamente da Virginia Raggi – che dopo aver parlato con i sindacati ha deciso di applicare l’aumento senza applicare il nuovo orario, prolungando la trattativa almeno di due mesi per approfondire imprecisate esigenze della città. Oltre all’approfondimento, la trattativa sarà allargata ad altre richieste – magari un aumento salariale – e molto probabilmente il nuovo orario non entrerà in vigore prima di aprile.
Come scrivono oggi su La Stampa Iacopo Iacoboni e Giuseppe Salvaggiulo: “L’Ama, che aveva voluto e difeso il contratto, sotto Natale ha cambiato linea, vantando l’appoggio del Comune azionista, di cui è sindaco Virginia Raggi, e arrendendosi ai sindacati interni. Tra questi l’Usb, che in campagna elettorale sosteneva la Raggi a colpi di battaglieri volantini interni“.
Forse Virginia Raggi inizia a pagare quei “debiti” elettorali e l’appoggio “condizionato” di alcune categorie. Niente di nuovo sotto il cielo di Roma, ma in molti credevano che l’amministrazione grillina – come più volte ribadito dai M5S – fosse immune da questi giochi di corporazioni.
Intanto le altre aziende del settore sono preoccupate da questa decisione che rischia di far saltare il contratto nazionale.
Ma quanto quanto costa all’Ama questa decisione? Secondo l’articolo della Stampa, “all’Ama (quindi all’azionista Comune, quindi ai cittadini attraverso la tassa rifiuti) il ritardo nell’applicazione del nuovo orario di lavoro costa almeno un milione di euro al mese, tra retribuzioni e straordinari. Possibili ricorsi per danno erariale“.
Un bel costo, considerando anche che l’assessore alle partecipate Colomban era venuto a Roma per portare tagli e efficienza, mentre questa decisione va nella direzione opposta.
Il deputato Pd Andrea Romano accusa: “I 5 Stelle hanno consolidato l’abitudine di far pagare ai cittadini romani i pagherò politici firmati alle scorse amministrative. Dopo il pedaggio versato ad Alemanno con i vari Marra e Muraro, ora siamo allo scandalo Ama-Comune–Sindacati”, e si domanda ” dove risiede la legittimità di un tale atto che scarica sui cittadini un aumento dei costi tramite la tassa sui rifiuti e una diminuzione dei servizi?” chiedendo alla sindaca di “rispondere su questo nuovo scandalo”.
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