sabato 28 maggio 2016

Il flop-show di Grillo a Roma, comico annoiato che fa ridere solo in politica

Tra il comico e il grottesco, non esiste fenomeno politico e mediatico che sia stato preso tanto sul serio come quello dei grillini
di Giuliano Ferrara | 26 Maggio 2016 ore 06:04
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Beppe Grillo (foto LaPresse)
Un sindaco e la sua constituency che scappano perché arrivano i vigili e loro hanno posteggiato tutti le auto in doppia fila sembra un numero del flop-show del vecchio comico annoiato alla conquista della città di Roma. O almeno un tentativo, alla Alberto Sordi, di far saltare la congiura per affidare la capitale nelle mani dei grillini, vasta cospirazione già denunciata da uno o una dei loro. A teatro non più, ma con Grillo in politica si ride.

Va detto però che non esiste fenomeno politico e mediatico che sia stato preso tanto sul serio. L’ex ambasciatore degli Stati Uniti li ricevette pensando fossero la nota di cambiamento decisiva (ma in questo senso valgono una mezza unghia di Trump). L’ex capo del Pd si incontrò con loro sperando di guidare con il loro voto il governo del cambiamento, sorbole. I gay hanno sperato in loro per la politica dei diritti civili. Varie specie di studiosi hanno dedicato analisi compunte a questo straordinario fenomeno dello sberleffo di successo e della formazione in rete di una nuova classe dirigente che basta guardare le facce per capire tutto. I giornalisti li hanno idoleggiati, scrutati, ingigantiti, con i loro direttòri lillipuziani, con le loro ridicole beghe interne, con il bloggone commerciale del loro guru, con la compagnia delle opere rousseauviane e il suo staff che dà le direttive, con i suoi sindaci da Quarto al Volturno. La società civile masochista si è lasciata intimidire da questa nuova forza di massa che avanzava.

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Ma se non lo diventasse, il che è anche probabile? Chissà se si riuscirebbe a finirla di impressionarsi, di stupirsi, di sentirsi à la page nel registrare questo grande fatto nuovo che è l’elettorato che alla fine, con le sue liste, arriva sempre due o tre. La sociologia della crisi italiana potrebbe riconvertirsi e fare a meno delle perdite di tempo? Tutti sappiamo e vediamo quanto siano ridicoli, e talvolta grotteschi, i rampolli del grillismo. Quanto siano comiche le vicende interne, le espulsioni, le mail, i regolamenti dello staff, le pretenziose configurazioni dell’utopia democratica radicale nuova ed elettronica. Quando leggo un titolo sull’onorevole Di Maio penso sempre alla sua faccia, al suo sorrisetto, a quella sua aria di politico nuovo tirato a lucido come e più del vecchio, ma senza l’aria di uno che abbia davvero lavorato, faticato, costruito sull’esperienza e sul dolore qualcosa di sensato. Di Maio è l’emblema vivente della legge di Lucio Colletti: dopo una certa età ciascuno è responsabile della propria faccia. Niente di lombrosiano, per carità, ma si può dire che credere nello sguardo dell’onorevole è un gesto surrealista e insieme autolesionista?

Poi c’è il resto del collegio. I ragazzotti e le ragazzotte, gli Ale le Ale e i Fico. Non sono nemmeno antipatici. Se li incontri in formazione che cenano in qualche trattoria romana, seduti e disciplinati come coorti che si difendano dai complotti, ti fanno perfino simpatia. Ma se poi la Raggi sindaco non va, che se ne prenda atto è il minimo sindacale. Si erano viste anche nella vecchia classe dirigente figure di prima e di seconda fila, mai figure in doppia fila inseguite dai vigili fino al Campidoglio.

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