Federico Pizzarotti sospeso da M5S sui quotidiani. Autogol, autolesionismo, boomerang, bocciata la scelta
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Autogol, autolesionismo, boomerang. Così sui principali quotidiani italiani viene analizzato lo scontro fra Federico Pizzarotti e i vertici del Movimento 5 Stelle, che ha portato alla sospensione – e quasi certa prossima espulsione - del sindaco di Parma, protagonista del principale successo nella storia di M5S a livello nazionale. Le voci critiche sono pressoché unanimi e appartengono tanto a firme considerate particolarmente critiche quanto a quelle solitamente più vicine alle corde del Movimento fondato da Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio.
“Il Movimento 5 Stelle dimostra di non riuscire a risolvere le sue ambiguità. Da una parte la ricerca forsennata di una purezza ontologica e dall’altra l’incapacità di rispettare le regole della democrazia” scrive Claudio Tito su Repubblica, evidenziando il diverso trattamento riservato dai vertici di M5S al sindaco di LivornoFilippo Nogarin, anch’egli indagato ma tuttora sostenuto dall’alto. La sospensione di Pizzarotti viene letta come conseguenza di “una forma di integralismo che non accetta dissenso o anche soltanto opinioni articolate”. Dentro M5S “quando l’unica strada che si segue è quella fondamentalista della superiorità morale e politica, tutto si trasforma in una caccia alle streghe”.
Sul Corriere della Sera l’analisi è affidata a una voce solitamente molto critica verso il Movimento 5 Stelle, Pier Luigi Battista. Anche lui vede nella disparità Pizzarotti/Nogarin “criteri elastici, arbitrari, disancorati da regole certe”. Dentro M5S il “morbo forcaiolo che replica i fasti forcaioli del 92 e li declina con un furore incontenibile si sta trasformando in un clamoroso boomerang” e diventa un “crampo settario al punto che il giudizio su un amministratore indagato finisce per dipendere dall’eventuale violazione delle regole del Movimento e non dalla eventuale violazione della legge”. Per Battista M5S si comporta da “setta” con “l’arbitro che diventa esso stesso norma”.
Marcello Sorgi firma l’editoriale per La Stampa e sottolinea che “le contraddizioni fra le prime affermazioni dei vertici del Movimento, da Di Maio a Fico, che sulla caduta delle teste dei sindaci prendevano tempo, e la durezza della decisione anonima dello “staff” di Grillo, si spiegano con i cigolii della catena di comando dopo la scomparsa di Casaleggio e il rallentamento del lavoro sulla rete, che serviva a indirizzare i militanti”.
Sul Manifesto, che apre il quotidiano con la foto di Beppe Grillo e il titolo "L'inceneritore di Parma", Norma Rangeri parla di "sguardo corto dei 5 Stelle". Nel suo fondo, la direttrice scrive di una "sentenza di espulsione su un caso inesistente" decisa senza discussione, senza confronto e senza valutazione di merito. Si tratta della "plateale rappresaglia nei confronti di un sindaco con il grave difetto di svolgere il mandato ricevuto dai cittadini. È così evidente la pretestuosità della motivazione usata per risolvere i conti in sospeso tra Pizzarotti e Grillo che la scelta di buttarlo fuori dal Movimento si riveli alla fine un boomerang destinato a colpire proprio chi lo ha lanciato".
Sul Messaggero, Mario Ajello scrive che “questo episodio contiene una serie di brutte morali. Una è quella dell’esemplarità. Ovvero, il primo vincitore nella storia grillina, quello che fu il simbolo della nuova politica contraria alla classica politica e che ha conquistato una città importante dell’Italia artistica e produttiva e da molti non viene neppure considerato un cattivo amministratore, diventa l’esempio più eloquente di come il Dio della Purezza Pentastellata non guarda in faccia a nessuno quando deve castigare”. C’è poi “la doppiezza” per cui quello che vale per Pizzarotti non vale per Nogarin. “L’epurazione non è mai un sacrificio necessario – conclude Ajello – e può diventare invece un micidiale boomerang”.
Marco Travaglio firma il fondo sul Fatto Quotidiano, che ospita poi più opinioni sul caso Pizzarotti. “Come trasformare una scelta di per sé sacrosanta – la sospensione dal Movimento di un amministratore indagato – in una plateale ingiustizia e in un clamoroso autogol. Ingiustizia perché il sindaco di Livorno Filippo Nogarin, indagato anche lui e per bancarotta fraudolenta (reato, sulla carta, più grave dell’abuso di ufficio contestato al suo collega parmigiano) non è stato sospeso. Autogol perché è ampiamente prevedibile che l’inchiesta su Pizzarotti, scaturita come atto dovuto dalla scombiccherata denuncia di un avversario politico (un senatore Pd) finirà nel nulla”. Secondo Travaglio sospendere solo Pizzarotti “è un regalo ai vecchi partiti che a Parma hanno portato il Comune al fallimento”. Oltretutto Pizzarotti è il simbolo della vittoria grillina e “una bandiera storica non andrebbe ammainata, ma anzi sventolata con orgoglio”.
Sempre sulle pagine del Fatto Quotidiano Andrea Scanzi vede “una sorta di autocondanna alla zavorra”, per cui “ogni volta che sono lanciatissimi verso grandi traguardi, si sabotano da soli”. Secondo Flavia Perina “è il doppio taglio della parola onestà gridata in piazza”, un doppio taglio “affilatissimo, talvolta mortale”: M5S non dà un bello spettacolo anche “per lo stalinismo 2.0 delle 5 righe anonime con cui “lo Staff” ha chiesto conto a Pizzarotti delle indagini”. Per Antonio Padellaro “la sospensione adottata dai vertici rischia di assumere gli sgradevoli contorni di una ritorsione nei confronti di un iscritto troppo indipendente”; così si finisce per dar “ragione agli avversari quando li definiscono come una setta intollerante e forcaiola”.
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