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PERUGIA - C'è chi si esalta per le potenzialità della rete e chi, come Evgeny Morozov, misura i buchi e avverte il mondo che non c'è gara, stravincono i buchi. Intellettuale di riferimento per tutta l'area critica rispetto ai macrofenomeni prodotti da internet (Google, Facebook e compagnia), l'ospite più atteso dell'ultima giornata di Festival del Giornalismo ha cercato di smascherare i meccanismi che convogliano fiumi di denaro in queste regalie telematiche, determinando - a suo dire - nuove povertà in ogni angolo del pianeta.

"Un tempo - afferma il giornalista bielorusso laureato ad Harward - alimentavamo con le tasse servizi come la posta o la biblioteca. Oggi gli Stati delegano per necessità questi compiti a chi li svolge gratuitamente. E noi accettiamo questo patto in cambio dei nostri dati personali".

Qui comincia la grande rapina, secondo Morozov. L'appalto delle nostre vite, dei nostri comportamenti, tutto questo cibo a disposizione di algoritmi più potenti della nostra immaginazione, finisce per condizionarci la vita a beneficio di una cerchia esclusiva e raffinata di attori che intorno a queste informazioni costruiscono e impongono il nostro modello sociale. "Com'è possibile - si chiede Morozov - che una start up di mocciosi riceva milioni di dollari mentre un padre di famiglia che tarda di qualche giorno il pagamento di una bolletta non può permettersi di comprarsi casa? Ed è così ovunque nel mondo, ormai".

"Non si tratta di essere tecnofobi ma di organizzare una risposta efficace", insiste Morozov, spesso accusato di essere un nostalgico passatista (una sorte toccata a diversi profeti contemporanei, come insegna Pasolini). Qui, però, cominciano i problemi. Serissimi. Pensare di educare all'anonimato un'umanità che si sbraccia disperatamente sulle pagine di Facebook, che fotografa l'ultima delle polpette mangiate al fast food pur di raccontarsi al mondo, appare un tentativo a dir poco velleitario.

Appaltare lo scoop. A Greenpeace
Succede che anche i grossi network, oggi, appaltino le inchieste più scottanti. Gli inviati costano, il giornalismo investigativo, con i suoi tempi inevitabilmente lunghi, è ancora più caro. Greenpeace ha deciso di investire le proprie risorse per creare un team di reporter desiderosi di scoperchiare diversi pentoloni putridi. Tra i primi ingaggi figurano Damian Kahya (già alla Bbc), Lucy Jordan (in passato al New York Times e a Vice) e Maeve McClenaghan (già nel team del Bureau of Investigative Journalism e presente a Perugia, insieme al presidente di Greenpeace Italia, Andrea Purgatori).

Nel palmares del team ambientalista la recente inchiesta, ripresa gratuitamente dai media di mezzo mondo, sulla corruzione di alcuni professori universitari, pronti a seminare dubbi sul pericolo dei cambiamenti climatici. Fingendosi rappresentanti di aziende con interessi in campo petrolifero, il team di Greenpeace ha offerto loro soldi ricevendo in cambio grandi accoglienze e dubbiosissime relazioni. Il team è coordinato da Meirion Jones (a sua volta ex-Bbc) e si farà appoggiare anche da un network di freelance ed esperti.

A Greenpeace spetta infine il compito di chiudere la rassegna perugina, con il ricordo delle prime, temerarie e spettacolari azioni datate 1971. "How To Change the World. The Revolution Will Be Not Organized" recita il titolo del documentario. La cronaca dell'assalto di un piccolo gruppo di attivisti, che salpa da Vancouver su una vecchia barca da pesca per fermare i test atomici statunitensi ad Amchitka, un'isola di fronte all'Alaska. L'inizio di una lunga e ribelle avventura.

Quel conturbante vedo non vedo
A dispetto di quello che passa la tv (Mediaset più di altri), l'Italia è uno dei paesi meno trasparenti del mondo, al 94esimo posto in una lista di 102 paesi. Chi vuole conoscere un'informazione in mano allo Stato, 7 volte su 10 non ottiene ciò che chiede. A Perugia è stato presentato "Fino in fondo", il primo crowdfunding che sostiene giornalisti, cittadini e attivisti a cui viene negato l'accesso ai documenti e alle informazioni di interesse pubblico.

In Italia, sostiene l'avvocato Ernesto Belisario, abbiamo una delle normative più restrittive in materia di trasparenza e diritto d'accesso all'informazione: le norme sono ambigue e scritte male, lasciando troppo spazio alla libera interpretazione, e le amministrazioni spesso le applicano in modo strettamente burocratico.

Il fondo, che punta a raccogliere 15 mila euro da qui al 30 settembre, cercherà di privilegiare i casi con maggiore impatto sociale, dove l'amministrazione pubblica si è comportata peggio e a beneficio di quei soggetti che non hanno mezzi sufficienti per sostenere le spese (piccoli media, giornalisti freelance e cittadini). E in tutto questo, magari, ricevendo ulteriori contributi dall'approvazione del FOIA (Freedom Of Information Acts), ovvero l'insieme di norme che regolano, a livello internazionale, il diritto di accesso all'informazione. Anche di questo si è parlato ieri a Perugia.

Finale col gancio
Ultimo dibattito, come sempre accade alla fine di questa lunga tirata, con l'organizzatrice
Arianna Ciccone, sul palco con Enrico Mentana e Marco Damilano, tutti insieme a parlare della crisi del giornalismo e della politica. Come dire tutto e niente. In fondo un gancio per la prossima edizione, nello stile dei romanzi a puntate. E qui, tutto sommato, siamo solamente alla decima.