martedì 22 novembre 2016

Quando la Cgil era contro il bicameralismo paritario

Referendum
Il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, a un convegno sulla 'carta universale dei diritti dei lavoratori' che si svolge a poche centinaia di metri dal corteo di operai dell'Ilva che da stamani sta paralizzando il traffico a Genova, 26 gennaio 2016 a Genova. ANSA/ LUCA ZENNARO
Il confronto tra la riforma Boschi e la mozione approvata a larghissima maggioranza dal XVII congresso della Cgil l’8 maggio 2014
 
Quello che segue è il quinto capitolo della mozione a prima firma di Susanna Camusso, segretario generale, approvata a larghissima maggioranza dall’ultimo congresso nazionale della Cgil a Rimini due anni or sono: l’8 maggio 2014. Il suo contenuto corrisponde in modo molto preciso e puntuale al contenuto della riforma costituzionale approvata dal Parlamento nell’arco del biennio successivo e oggi sottoposta al vaglio referendario.
In particolare, la mozione indica la necessità di superare il bicameralismo simmetrico, istituire una Camera delle autonomie a elezione indiretta, ridefinire incisivamente la ripartizione di competenze tra Regioni e Stato rafforzando la funzione regolatrice e di controllo attribuita a quest’ultimo, adottare un quorum mobile per la validità dei referendum, in relazione alla percentuale dei votanti nelle ultime elezioni politiche.
Come si può agevolmente constatare, la coincidenza con i contenuti essenziali della legge Boschi, approvata in sei letture dal Parlamento, è pressoché assoluta. Così stando le cose, la presa di posizione della Cgil a sostegno del No nel referendum non può che basarsi su motivi contingenti, estranei al contenuto della riforma sulla quale siamo chiamati a votare. Ma come può la Confederazione sindacale maggiore sacrificare le ragioni di una riforma costituzionale, cui essa stessa ha attribuito importanza cruciale per le sorti del Paese, a esigenze di posizionamento politico contingente?
Dalla mozione approvata a larga maggioranza dal XVII congresso della Cgil
[…] 5. Assetto istituzionale e pubbliche amministrazioni. I principi ed i valori fondamentali della Costituzione debbono essere difesi ed attuati. La Cgil conferma la propria contrarietà verso ogni ipotesi di riforma della Costituzione che rompa l’indispensabile equilibrio tra potere esecutivo e potere legislativo, o che porti al superamento del sistema parlamentare come avverrebbe con il (semi)presidenzialismo o il premierato, contro cui ci batteremo anche con il referendum. L’esigenza prioritaria è restituire centralità al Parlamento, riqualificando la sua attività, riducendo la decretazione d’urgenza e disciplinando in senso restrittivo la possibilità di porre la questione di fiducia su qualsiasi provvedimento in esame. 
Per la Cgil sono necessari alcuni interventi di riforma da attuarsi secondo le procedure costituzionalmente previste dall’art. 138:
1) Il superamento del bicameralismo perfetto con l’istituzione di una Camera rappresentativa delle Regioni e delle Autonomie Locali.
2) Il riordino delle competenze di Stato e Regioni disciplinate dall’articolo 117 della Carta, riportando, nell’ambito della riforma del Titolo V, a competenza esclusiva statale alcune materie oggi di legislazione concorrente e rafforzando la funzione regolatrice nazionale, sia in tema di garanzia dei livelli essenziali delle prestazioni, concernenti i diritti civili e sociali, sia in tema di esercizio delle materie concorrenti. 
3) La definizione di un disegno organico che, a partire dalla non più rinviabile istituzione delle aree metropolitane, porti ad un sistema integrato dei livelli istituzionali con il quale superare sovrapposizioni e confusione di ruoli tra le amministrazioni centrali e il sistema delle autonomie, e che valorizzi e sviluppi le autonomie funzionali della Repubblica (a partire dall’istruzione e dalla ricerca) come luoghi di esercizio dei diritti di cittadinanza. Tale disegno deve superare ogni ambiguità in relazione alla necessaria esistenza su tutto il territorio nazionale di un ente di area vasta, finanziato con adeguate risorse, che svolga le funzioni proprie di un livello intermedio tra comune e regione con la finalità di garantire lo svolgimento di quelle funzioni amministrative, quali l’edilizia scolastica, la tutela dell’ambiente, la viabilità di livello provinciale, la protezione civile, i servizi per il lavoro e formazione professionale, e altre, che i comuni, per quanto organizzati in unioni, non sarebbero in grado di assolvere. In questo percorso è prioritaria la garanzia del mantenimento dei servizi pubblici ai cittadini attualmente erogati dalle province e dell’occupazione esistente, compresi i lavoratori precari, valorizzando e non disperdendo le professionalità esistenti. 
[…] 6) Approvare una legge nazionale sulle forme di democrazia partecipativa e una riforma dell’istituto referendario che introduca il quorum mobile (legato all’affluenza registrata nell’ultima elezione dell’organismo che ha legiferato. […]

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