Elogio di Angela Merkel, l’unica leader che non si piega di fronte ai populisti
Di fronte a lei crollano tutti i quattro luoghi comuni della cosiddetta avanzata populista: è una professionista, non è nuova, non è social, e soprattutto non è succube della finanza. Fa una politica che, quando deve funzionare, funziona. In barba ai timori, spesso esagerati, delle élite europee
22 Novembre 2016 - 08:30
Davanti alla crisi di follia della politica europea e americana viene naturale fare l’elogio di Angela Merkel, che si ricandida per la quarta volta nel nome dei risultati ottenuti alla guida del suo Paese, con il 55 percento dei tedeschi che applaudono la scelta e si augurano sia rieletta (fonte: Bild). La Germania da quando governa lei, cioè dal 2005, non solo è diventata più ricca e più autorevole, ma ha finora tenuto a bada la rivolta contro le élite che serpeggia in Occidente: la Afd, cioè il partito euroscettico e anti-immigrazione di Frauke Petry, ha visto crescere il suo consenso in quattro elezioni regionali (dal 12% della Renania al 20% del Meclemburgo) ma difficilmente toccherà i successi maggioritari dei suoi partiti-cugini e il suo destino – qualunque siano i risultati – è di rimanere movimento di opposizione e protesta, a differenza di quanto accaduto alle forze anti-establishment in Gran Bretagna, Spagna, Grecia e di quanto potrebbe accadere in Italia e in Francia.
La Merkel smentisce tutti e quattro i luoghi comuni delle analisi sulla cosiddetta “avanzata populista”. Primo, la demonizzazione del professionismo politico: non esiste professionista della politica più professionista di lei, formata alla scuola politica del socialismo realizzato, già a vent’anni agit-prop dei giovani comunisti della Germania Est all’interno dell’Accademia delle Scienze e poi sempre in politica con una formazione costruita attraverso milioni di assemblee, collettivi, tavoli, relazioni cucite ad una ad una, che è quanto di più lontano si possa immaginare all’imprinting dei nuovi Masaniello della società civile che agitano l’Europa e l’America. Secondo, l’importanza della Rete e della propaganda in rete come elemento centrale del consenso: la pagina della Merkel su Facebook, un paio di milioni di seguaci, è un tetro elenco di conferenze stampa e dichiarazioni pubbliche prive di qualsiasi appeal mediatico e senza alcuna concessione al gusto dei social, al clickbaiting, alla dichiarazione che stupisce e accattiva lo spettatore. Terzo, il “nuovismo”. Angela governa cose da una vita, è nella sfera del potere dall’età di trent’anni, fu addirittura l’ultimo portavoce dell’ultimo governo della Germania Est prima della riunificazione, ma se ne frega del giovanilismo che sembra altrove obbligatorio, non vuole né essere né sembrare “nuova”.
La Merkel non nuota controcorrente rispetto al populismo. Nuota controcorrente rispetto alle altre élite europee, che dal populismo sono terrorizzate e pensano di batterlo mutuandone gli atteggiamenti, convinte come sono che la questione risieda in dati marginali
Il quarto punto su cui la signora Merkel sfata tutto ciò che ci raccontiamo sull’avanzata dei populismi è il più importante e riguarda la politica “ancella dei mercati”, succube dei medesimi, obbligata a servirli e quindi incapace di guardare all’interesse dei popoli e dei territori che governa. Angela Merkel è molto attenta ai mercati, il che non gli ha impedito di introdurre in Germania istituti “forti” di difesa del lavoro e delle retribuzioni, a cominciare dal salario minimo di 8.50 euro l’ora (che sarà portato a 8.84 nel 2017) del quale hanno beneficiato cinque milioni e mezzo di tedeschi, in maggioranza donne (2,5 milioni), dipendenti da aziende nelle quali non si applicano i contratti nazionali. Oppure la riforma degli asili nido, che obbliga i Comuni a trattarli come servizi essenziali: se non trovi posto, hai diritto a chiedere un risarcimento. O ancora la difesa del sistema pensionistico, dove la Cancelliera ha fatto muro contro la richiesta della Bundesbank e del Comitato dei Saggi di ulteriori aumenti dell’età pensionabile. Insomma, si possono rispettare i mercati senza scodinzolare davanti alla loro porta o gettarsi nel fango per evitare che si sporchino le scarpe.
La Merkel non nuota controcorrente rispetto al populismo. Nuota controcorrente rispetto alle altre élite europee, che dal populismo sono terrorizzate, e pensano di batterlo mutuandone gli atteggiamenti, gli stili, le parole d’ordine, convinte come sono che la questione di Trump, di Grillo, di Tsipras, della Le Pen, risieda in dati marginali – il loro essere “inediti”, il saper parlare “alla pancia”, l’uso della rete – anziché in un dato sostanziale: l’emergere di un diffuso ribellismo contro classi dirigenti incapaci di garantire equità e sicurezza sociale e di produrre una decisione politica che “non sia ostaggio della dittatura finanziaria”, per usare un’espressione di Franco Berardi detto Bifo in un articolo che gira molto sui social. Angela Merkel decide, e nel nome di interessi diffusi è capace di gestire conflitti anche di altissimo livello, sfidando i sondaggi quando serve (vedi l’accoglienza ai profughi siriani), andando allo scontro frontale con gli Usa quando esagerano (vedi Datagate), mettendo in riga le istituzioni finanziarie del Paese quando pretendono l’impossibile e l’ingiusto.
Forse anche per questo la signora Merkel non è molto amata, al di là delle carinerie di circostanza, dai capi di governo che le si affollano intorno nei vertici europei: lei è la riprova che un altro tipo di leadership è possibile, ed efficace, e duratura nel tempo, persino amata dagli elettorati, e possiamo solo immaginare la naturale invidia di chi deve misurarsi con una così. Per giunta donna, smacco non da poco per la vanità maschile dei premier del Vecchio Continente, tutti piuttosto sgallettanti nel cortile di casa, tutti obbligati all’inchino quando varcano i confini.
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