E in Sinistra italiana Zedda è già visto come traditore
Il sindaco di Cagliari orientato sul Sì, Smeriglio: “Caccia alle streghe contro di lui, inaccettabile”
È arrivata da Cagliari la bufera su Sinistra Italiana. Il nuovo soggetto della sinistra sta perdendo pezzi importanti prima ancora di nascere, provocando divisioni interne. L’ultimo è stato Massimo Zedda, giovane sindaco di Cagliari che ha messo nero su bianco in una nota insieme al senatore Luciano Uras la decisione di non far parte di Sinistra Italiana.
Una scelta che corrisponde già a due visioni diverse e che scuote la sinistra in cerca di nuova definizione. Perché Zedda, proveniente da Sel, come l’ex sindaco “arancione” Giuliano Pisapia fa tesoro dell’esperienza di governo nel centrosinistra, tanto da aver già raccolto adesioni al suo progetto «Per continuare», ma sempre «nell’area democratica e progressista, in relazione positiva con tutte le forze del centro sinistra», piuttosto che “chiuder si”in un ennesimo partitino -nicchia.
L’uscita del sindaco di Cagliari non è stato un fulmine a ciel sereno, ma si è intrecciato con il Sì al referendum sembra propenso a votare. Anche su questo terreno Zedda, come Pisapia, non si schiera pubblicamente né fa campagna elettorale, ma sicuramente andrà a votare e potrebbe essere un Sì.
E gli è bastato dire quel «se votassi No subito dopo mi dovrei dimettere», perché «non posso realizzare un pezzo di riforma con la Città Metropolitana, per poi esprimermi con il No», spiegato poco dopo aver siglato con Renzi il patto per Cagliari (con la promessa boccata d’ossigeno di 168 milioni di euro per la città), per “beccarsi” una pioggia di commenti astiosi sui social: da “venduto” al “traditore”. E anche un gelo eloquente da parte dei vertici di Sel-Si.
Adesso il suo no a Sinistra Italiana è «un colpo durissimo per la credibilità del nuovo progetto politico», afferma Massimiliano Smeriglio, vicepresidente della Regione Lazio, molto colpito dalla virulenza dei «commenti sprezzanti» e dal «grande giubilo dei supposti quadri intermedi della classe dirigente per questo abbandono», dice a l’Unità. Un atteggiamento che non dovrebbe far parte della sinistra, spiega, e che rivela «la tentazione stalinista che si risolvano i temi politici per via burocratica o mettendo le stigmate alle persone».
Smeriglio, fermamente convinto per il No al referendum, ricorda «la caccia alle streghe che abbiamo subito nel 2008», quando Rifondazione ruppe con il centrosinistra, «allora Vendola era la strega e ora sento odore di bruciato». Preso atto che in ogni forza, «tranne nelle “sette” come i 5 Stelle, ci sono i sostenitori del Sì e del No, non si possono cacciare i primi, perché allora dobbiamo dire che nel Pd di Renzi non viene cacciato nessuno».
Al di là del 4 dicembre, il problema di Sinistra Italiana è che nasce senza una leadership definita (Vendola ha assunto la posizione da padre nobile, mentre fa il padre vero) e già con due tendenze: una che guarda a un centrosinistra unito con una vocazione “di governo”, forte delle esperienze, nate da Sel, di Pisapia a Milano, di Zedda a Cagliari e di Doria a Genova, e poi in Puglia, in comuni della Lombardia e della Sardegna e nella convivenza con Pd nel Lazio.
Una visione che accomuna Arturo Scotto, capogruppo di SI-Sel alla Camera, preoccupato per la faticosa genesi di SI, Marco Furfaro e anche l’ex dem Alfredo D’Attorre. L’altra anima più radicale non prevede alcuna possibilità di confronto con il Pd, almeno quello renziano, e si può ricondurre a Nicola Fratoianni e a Stefano Fassina, che dopo aver lasciato i dem ha posizioni “radicali”: dall’uscita dall’euro alla sovranità nazionale all’equidistante giudizio su Trump/Hillary.
Il tormentoso percorso a sinistra può essere smosso ancora nel caso in cui Pier Luigi Bersani e soprattutto Massimo D’Alema dovessero uscire dal Pd per fare un nuovo partito. Un’altra valanga che potrebbe travolgere la palla di neve di Sinistra Italiana.
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