sabato 11 aprile 2015

Nel mondo a difendere l'ISIS è rimasto solo il Movimento a cinque stelle grazie agli interventi del politologo di fama internazionale chiamato Di Battista. Insieme alla Ruocco rappresentano il top della incapacità politica. Viva l'Italia che si tiene in parlamento gente come questa e come Salvini.

Isis: Ismail Haniyeh, leader di Hamas: "A Yarmouk è in atto un massacro, le forze sono sproporzionate" (FOTO)

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“Non assisteremo inermi al massacro dei nostri fratelli a Yarmouk. Siamo a loro fianco e chiediamo alla Lega Araba, all’Oci (Organizzazione della Conferenza Islamica, ndr) e al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite di agire per porre fine al massacro in atto nel campo profughi a opera dell'Isis. Quella che è in atto è una vile aggressione contro una popolazione che non ha alcuna responsabilità nella guerra in Siria”. A parlare è la figura più rappresentativa della leadership di Hamas nei Territori occupati: Ismail Hanyeh, leader di Hamas a Gaza, già primo ministro, capo dell’ufficio politico del movimento islamista. “Le notizie che ci giungono da Yarmouk – dice Haniyeh all’Huffington Post – sono sempre più drammatiche. L’acqua, il cibo, i medicinali scarseggiano e gli abitanti sono presi tra due fuochi. La resistenza dei martiri è eroica ma le forze sono sproporzionate”.
A Yarmouk è in atto una mattanza. Si parla di esecuzioni sommarie, di decapitazioni, di una popolazione ridotta allo stremo. La gente di Yarmouk si sente abbandonata a se stessa.
”La situazione è terribile, la popolazione è allo stremo. Ma noi non abbiamo lasciato soli i fratelli di Yarmouk. Di fronte alla vile aggressione in atto, le forze della resistenza hanno superato vecchie divisioni e combattono fianco a fianco contro gli assalitori. Tra le vittime c’è anche Yahia Hawrani, il referente di Hamas a Yarmouk, uno “shahid” (martire, ndr) che aveva scelto di non lasciare Yarmouk e fino all’ultimo momento della sua vita si è impegnato nel sostenere la popolazione del campo: Hawrani era un medico, non un combattente, ed è stato assassinato a freddo. E come lui sono tanti i martiri di Yarmouk”.
A Yarmouk si stanno sperimentando nuove alleanze in quella guerra siriana entrata ormai nel suo quinto anno. Ad aprire le “porte” di Yarmouk ai miliziani dello Stato islamico sembrano essere stati i qaedisti del Fronte al-Nusra, un tempo avversari dell’Isis. Questo vuol dire che per contrastare le forze del “Califfato”, Hamas può riavvicinarsi al regime di Assad?
”La gente palestinese di Yarmouk come degli altri campi profughi in Siria o in Libano devono essere escluse da questa guerra, perché ne sono estranee. Questa è la nostra posizione. Quanto all’Isis, nulla può giustificare i crimini che stanno commettendo a Yarmouk. Quello che conta oggi è di raggiungere una tregua e fare di Yarmouk zona “neutrale”. Su questo esiste un accordo, che va però realizzato. E per quanto ci riguarda, siamo disposti a sostenere chiunque si muova in questa direzione”.
I riflettori sono accesi oggi su Yarmouk e sulla tragedia umanitaria in atto. Ma questa drammatica vicenda ripropone la questione delle condizioni di vita, improntate all’emarginazione e alla sofferenza, dei profughi palestinesi che popolano i campi in Siria e in Libano.
”E’ questa una delle ragioni fondamentali per le quali continuiamo a insistere sull’attuazione del diritto al ritorno. Non si tratta solo di riconoscere una verità storica che Israele ha sempre negato: vale a dire che centinaia di migliaia di palestinesi sono stati scacciati a forza dalle loro case, dai loro villaggi dalle forze sioniste. Il loro diritto al ritorno non è per noi materia negoziabile, perché quella ferita non può essere rimarginata col tempo e perché non accetteremo mai che i palestinesi che vivono in quei campi in Libano o in Siria si sentano merce di scambio per un accordo con Israele. Non sono palestinesi di serie B, hanno gli stessi diritti di noi che viviamo a Gaza o di quanti vivono in Cisgiordania o ad Al-Quds (Gerusalemme, ndr)”. La storia ci deve servire da lezione. 
E la storia dei nostri fratelli costretti a vivere da profughi senza diritti né identità nei campi profughi fuori dalla Palestina, è una storia macchiata di sangue, di stermini, di una oppressione quotidiana. Oggi accade a Yarmouk, ma in passato migliaia di palestinesi, civili inermi, donne e bambini, sono stati massacrati a Sabra e Chatila, a Tell al Zaatar e Nahr al Bared. Anche allora il mondo ha chiuso gli occhi di fronte a quei massacri, assolvendo Israele dalle sue responsabilità. Spesso si parla di diritto umanitario, di legalità internazionale, salvo poi far finta di dimenticare che il diritto al ritorno dei rifugiati palestinesi del ’48, è contemplato da una Risoluzione delle Nazioni Unite, la “148”, una delle tante che Israele ha calpestato in tutti questi anni. Ciò che sta avvenendo a Yarmouk rafforza la nostra convinzione che i rifugiati palestinesi possono essere al sicuro solo in Palestina”.
Nei giorni scorsi, in risposta alle uccisioni perpetrate a Yarmouk dai miliziani dell’Isis, le forze di sicurezza di Hamas avrebbero compiuto diversi arresti di imam e militanti vicini ai gruppi salafiti nella Striscia. C’è chi sostiene che Hamas teme una penetrazione dell’Isis in Palestina, e la capacità di attrazione esercitata da Abu Bakr al-Baghdadi nei confronti dei giovani palestinesi che vedono in lui un “nuovo Saladino”.
”La resistenza palestinese non ha bisogno di “modelli” a cui ispirarsi o di “condottieri” improbabili. Quando i nostri martiri combattevano uno degli eserciti più agguerriti e meglio armati al mondo, al-Baghdadi non esisteva. Lo ripeto: nessuno può darci lezioni, tanto meno pensare che Hamas e la resistenza palestinese possano essere eterodirette o piegate a logiche che nulla hanno a che vedere con il nostro obiettivo che era e resta la liberazione della Palestina”.
Insisto su questo punto: anche lo Stato islamico fa riferimento alla Sharia (la legge islamica) così come Hamas.
"Così come sul piano militare, anche su quello dottrinario non pendiamo dalle labbra di un autoproclamato “Califfo”. Certo, Hamas non ha mai nascosto la sua identità e il riferimento all’Islam. Ma questo non vuol dire accettare che ci sia qualcuno che rivendichi un monopolio dottrinario. Tante volte in passato, la propaganda sionista ha dipinto Hamas come la lunga mano ora dell’Egitto, poi del Qatar, ovvero della Siria o dell’Iran… La verità è una: Hamas non disdegna alleati, ma non sarà mai asservito ad essi. E poi vorrà pure dire qualcosa che lo Stato islamico sia più interessato a far fuori altri arabi piuttosto che combattere Israele…”.
Hamas è per la Jihad globale?
”No, Hamas è per la liberazione della Palestina. E’ per questo che combattiamo, ed è per realizzare questo sogno che migliaia di palestinesi hanno sacrificato la propria vita. Hamas è parte di un movimento di resistenza che ha sempre combattuto il nemico sionista e non ha mai “esportato” la resistenza fuori dai confini della Palestina”.
Allargando lo sguardo all’intera Regione, si vede un Medio Oriente in fiamme. Stati che esistono sulla carta ma che hanno perso il controllo su buona parte del proprio territorio nazionale – Iraq, Siria, Yemen, Libia -. Qual è la sua lettura di questa destabilizzazione, e un Medio Oriente in fiamme non rischia di “bruciare” anche la “questione palestinese”?
”Ciò che sta avvenendo è la conseguenza della politica dei due pesi, due misure, portata avanti dall’Occidente nella Regione e il sostegno dato a regimi corrotti e dispotici che invece di fare gli interessi dei loro popoli svolgevano il ruolo di cani da guardia degli interessi americani in Medio Oriente. Ma sopra di ogni altra cosa, c’è l’avallo, la complicità sempre garantiti alla politica espansionista d’Israele. L’Occidente si è illuso di poter perpetuare il vecchio status quo in Medio Oriente, difendendo ciò che non era più difendibile. Anche da questo nasce la forza di attrazione dello Stato islamico, dai disastri provocati dalle guerre americane in Iraq e dagli effetti che esse hanno provocato in tutta l’area. Quanto alla Palestina, fino a quando esisterà la resistenza, non potrà mai essere cancellata. E, mi creda, la resistenza palestinese è uscita rafforzata dalla stessa guerra di Gaza (estate 2014, ndr)”.
Per la verità, i governanti israeliani hanno sempre sostenuto il contrario.
”Questa è propaganda, cattiva propaganda. Basta rileggere le dichiarazioni di quelle settimane di Netanyahu e dei suoi ministri: spazzeremo via Hamas una volta per tutte, riconquisteremo Gaza… Le cose sono andate diversamente. La resistenza non ha smobilitato, e Hamas non è isolato nel mondo arabo e islamico. Israele non riuscirà mai a liberarsi di Hamas, e non perché siamo dei super eroi invincibili, ma perché Hamas è parte della società palestinese, del popolo di Palestina. E per quanto sforzi faccia, Israele non riuscirà ad annientare un intero popolo”.
Il che ci porta alle recenti elezioni in Israele, dalle quali è uscito vincitore Benjamin Netanyahu. Poche ore prima dell’apertura dei seggi, il premier israeliano aveva affermato che con lui a capo del governo uno Stato palestinese non nascerà mai. A vittoria raggiunta, a modificato la sua posizione…
”Netanyahu è il re delle menzogne, un manipolatore di parole. Non c’è un atto compiuto dal suo governo che non sia andato nella direzione della negazione del diritto dei palestinesi a un proprio Stato, anche se entro i confini del 1967. L’assedio di Gaza, il Muro in Cisgiordania, la pulizia etnica messa in atto ad al-Quds, con la cacciata di centinaia di famiglie palestinesi dai loro quartieri, dalle loro case: cos’altro deve accadere perché il mondo riconosca che in Palestina c’è un oppresso e un oppressore, una vittima e un carnefice! Per Netanyahu e i falchi che lo circondano, ogni palestinese è un potenziale terrorista, ogni arabo appartiene a una razza inferiore, e per costoro non esiste una pace che non sia una resa da parte nostra. Ma questo non avverrà mai, mai”.
Cosa ne è della tregua di Gaza?
”Tutto è bloccato. Per quanto ci riguarda, abbiamo rispettato gli impegni assunti, cosa che invece non sta facendo Israele. Come denunciato da organizzazioni umanitarie internazionali, la ricostruzione di Gaza non ha avuto inizio e questo soprattutto per responsabilità israeliana. Una cosa deve essere chiara: non c’è nessun legame tra l’avvio della ricostruzione e il disarmo della resistenza palestinese preteso da Israele! Queste armi servono per difenderci dall’occupante sionista, un diritti di difesa sancito anche dalla Convenzione di Ginevra. La tregua non significa che viene meno la nostra determinazione a battersi per spezzare l’assedio di Gaza”.

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