venerdì 26 luglio 2013

Ogni tanto una bella notizia.Forse lo cambiamo questo paese.


PROFILO

Franco Roberti, una vita contro la camorra

Le sue indagini sono state lo spunto per Gomorra. Chi è il nuovo procuratore antimafia. Nemico giurato dei Casalesi.

di Gabriella Colarusso
Era il 1992. Franco Roberti, allora magistrato presso la procura di Napoli, stava indagando sulle attività della criminalità organizzata nella provincia di Napoli e Caserta. Ricevette una telefonata, si precipitò nel carcere vicentino. Nunzio Perella, tra i primi pentiti di camorra, voleva parlargli. «Dotto', non faccio più droga. No, adesso ho un altro affare. Rende di più e soprattutto si rischia molto meno. Si chiama monnezza, dotto'», gli disse il boss.
LA SCOPERTA DEL BUSINESS DEI RIFIUTI. Quella conversazione cambiò il corso delle indagini antimafia in Campania, e non solo. L'inchiesta che ne derivò, rivelò come i clan lucravano sullo smaltimento illegale dei rifiuti grazie ad amministratori corrotti dalle tangenti, controlli inesistenti, connivenze sul territorio.
E Franco Roberti - che ancora oggi racconta quasi incredulo quell'episodio: «Ci spalancò una finestra su un mondo assolutamente sconosciuto. Quando mi spiegò che per lui era diventato più conveniente trattare la spazzatura che la droga, rimasi sbalordito» - fu il primo a capire che i clan cresciuti e radicati nel Casertano stavano diventando tra i più potenti d'Italia. E che la monnezza era per loro un affare d'oro, più della droga, più del traffico d'armi. Il vero punto di forza dei Casalesi, insomma, era il fiuto per gli affari, la loro capacità imprenditoriale.
L'ESPERIENZA ANTIMAFIA A NAPOLI. Ventuno anni dopo, il pm Roberti è arrivato alla guida della direzione nazionale antimafia, la super-procura voluta da Giovanni Falcone per coordinare a livello nazionale le indagini contro la criminalità organizzata. Ci aveva già lavorato Roberti, dal 1993 al 2001. Prima di essere nominato procuratore aggiunto a Napoli e assumere successivamente la guida del pool antimafia nel capoluogo partenopeo.
«È una vittoria di squadra più che un successo personale», ha dichiarato subito dopo la nomina, fissando già i suoi obiettivi: «Rilanciare l'azione importante della procura nazionale nel solco già tracciato dai predecessori e di confrontarsi con le nuove sfide della criminalità organizzata transnazionale, dei mercati globalizzati, dei mercati finanziari offshore e dei traffici di droga, rifiuti e, purtroppo, essere umani».

Da Borgo San Lorenzo all'Irpinia: il percorso del pm «moderato»

Sessantacinque anni, napoletano, ex esponente di Unicost, la corrente moderata della magistratura, e poi passato ai Verdi, i togati democratici di sinistra, Roberti ha cominciato la sua carriera nel 1976 come pretore a Borgo San Lorenzo, in Toscana. Le ossa, però, se le è fatte in Irpinia, dove, arrivato nel 1979 come giudice al Tribunale di Sant'Angelo dei Lombardi, portò avanti alcuni dei più importanti processi sul post-terremoto del 1980. Processi per i crolli e le ruberie nella ricostruzione. Intrecci tra politica, impresa e camorra.
Poi sono arrivate le indagini contro il clan Nuvoletta, le faide a Scampia, la nuova camorra che diventava sempre più internazionale.
LA GUERRA ALLA CAMORRA. Tra gli Anni 80 e 90, Roberti si è dedicato alla guerra contro la criminalità organizzata campana, gestendo collaboratori di giustizia del calibro di Carmine Alfieri e Pasquale Galasso, coordinando le inchieste sulla faida tra i clan Di Lauro e gli scissionisti, inseguendo i superboss della camorra napoletana della Nuova Famiglia che aveva dichiarato guerra a Raffaele Cutolo.
Contro i Casalesi, che forse conosce meglio di qualunque altro magistrato italiano, Roberti ha ottenuto insieme con la sua squadra importanti successi, come la cattura di Giuseppe Setola, il capo dell’ala stragista. Non a caso, ampi stralci del bestesller di Roberto Saviano, Gomorra,sono stati scritti proprio sulla base delle indagini condotte dal pool di Roberti.

Le prese di posizione nei confronti della politica

Uomo di Stato, serio, discreto, per nulla incline al chiacchiericcio da talk show, molto in voga tra i suoi colleghi, Roberti è però anche uno che non le manda a dire.
In occasione della cattura di Setola, all'allora ministro dell'Interno, Roberto Maroni, che si complimentava per i successi ottenuti nella lotta ai clan, rispose: «Per favore, con riferimento ai successi e ai risultati positivi conseguiti da magistratura e forze dell'ordine in Campania non cambiamo per legge il rapporto tra pm e polizia giudiziaria. Perché così com'è va molto bene visti quali sono i risultati».
IL CONFRONTO CON ALFANO.Un'analoga determinazione la dimostrò in uno scambio di battute con Angelino Alfano. Era il 2009 e l'allora Guardasigilli aveva bacchettato i magistrati per l'eccessivo presenzialismo nei salotti televisivi. «La mafia», disse Alfano, «si può combattere senza andare in tivù o a fare convegni».
«È opportuno che i magistrati mantengano la massima riservatezza», rispose Roberti, «ma quanto affermato dal ministro non c'entra con l'efficienza o l'inefficienza della giustizia. Il suo giudizio non è condivisibile. I magistrati non devono essere certo degli opinionisti in tivù ma credo abbiano il dovere di contribuire alla corretta informazione in tema di giustizia. Anzi, devono farlo e gli stessi cittadini hanno il diritto di sapere».
CONTRARIO AI MAGISTRATI IN POLITICA. Sul tema dei magistrati in politica, invece, Roberti ha di recente e in più di una occasione auspicato una separazione più netta tra i due ruoli. «È vero che le leggi le fa la politica», ha sottolineato, «ma mi sembra necessario stabilire un dialogo per riflettere sul ruolo del magistrato e raccogliere le sfide che l’attualità della crisi pone anche alla magistratura».
LA POLEMICA SULLE INTERCETTAZIONI. Meno moderati i suoi interventi in materia di intercettazioni, seppur nel rispetto delle prerogative del legislatore. «Spesso le indagini di criminalità organizzata nascono da indagini sulla criminalità comune e attraverso le intercettazioni si evidenziano elementi che riconducono al contesto della criminalità organizzata», spiegò nel 2009 quando si discuteva la modifica della legge sulle intercettazioni.
«Restringerle per i reati di criminalità comune significa indirettamente ridurre anche possibili sviluppi nei confronti della criminalità organizzata, un depotenziamento generale delle indagini nel cui ambito le intercettazioni hanno un'importanza assolutamente primaria. Ma questa è una scelta del legislatore».
Giovedì, 25 Luglio 2013

1 commento:

Unknown ha detto...

Gli uomini sono importanti. Altro che uno vale uno.

dipocheparole     venerdì 27 ottobre 2017 20:42  82 Facebook Twitter Google Filippo Nogarin indagato e...