Lega nord, la bufala della macroregione
Maroni vuole trattenere il 75% di tasse in Regione. Ma la percentuale è già del 66%. L'ex ministro snobba Albertini.
di Ulisse Spinnato Vega
Il segretario lombardo della Lega nord, Matteo Salvini, va in televisione e spara cifre in libertà: «Se la mia Regione dà 10 allo Stato e si vede restituire tre allora vuol dire che c’è qualcosa che non va».
La bocca si apre solo per prendere aria: la proporzione infatti è sballata. Su un gettito fiscale totale nazionale che nel 2011 è stato pari a 411 miliardi di euro (e nel 2012 è già a 378 miliardi tra gennaio e novembre), i lombardi versano circa il 21%, ossia 86 miliardi. Percentuale che collima con quella della ricchezza, visto che la più popolosa regione italiana produce circa un quinto del Pil nazionale.
IL BALLETTO DELLE PERCENTUALI.Se Salvini avesse ragione, vorrebbe dire che in termini di trasferimenti, compartecipazioni e servizi, la sua regione ottiene indietro solo 25 miliardi di euro. Mentre in realtà i lombardi vedono rientrare il 66% delle risorse prodotte, dunque una percentuale non lontanissima dal 75% evocato nei proclami del Carroccio come la panacea di tutti i mali.
LA SOLIDARIETÀ NAZIONALE. La differenza fa circa 8 miliardi. Non i 20-25 miliardi di cui favoleggia il segretario federale Roberto Maroni. E comunque rappresenta una porzione di quella quota di trasferimenti da Nord a Sud (circa 50 miliardi) che giustificano la solidarietà nazionale e costituiscono il collante necessario per l’esistenza stessa di uno Stato unitario.
Certo, è naturale che poi i soldi elargiti al Meridione vadano usati meglio di quanto accaduto finora, ma questo è tutto un altro discorso.
La bocca si apre solo per prendere aria: la proporzione infatti è sballata. Su un gettito fiscale totale nazionale che nel 2011 è stato pari a 411 miliardi di euro (e nel 2012 è già a 378 miliardi tra gennaio e novembre), i lombardi versano circa il 21%, ossia 86 miliardi. Percentuale che collima con quella della ricchezza, visto che la più popolosa regione italiana produce circa un quinto del Pil nazionale.
IL BALLETTO DELLE PERCENTUALI.Se Salvini avesse ragione, vorrebbe dire che in termini di trasferimenti, compartecipazioni e servizi, la sua regione ottiene indietro solo 25 miliardi di euro. Mentre in realtà i lombardi vedono rientrare il 66% delle risorse prodotte, dunque una percentuale non lontanissima dal 75% evocato nei proclami del Carroccio come la panacea di tutti i mali.
LA SOLIDARIETÀ NAZIONALE. La differenza fa circa 8 miliardi. Non i 20-25 miliardi di cui favoleggia il segretario federale Roberto Maroni. E comunque rappresenta una porzione di quella quota di trasferimenti da Nord a Sud (circa 50 miliardi) che giustificano la solidarietà nazionale e costituiscono il collante necessario per l’esistenza stessa di uno Stato unitario.
Certo, è naturale che poi i soldi elargiti al Meridione vadano usati meglio di quanto accaduto finora, ma questo è tutto un altro discorso.
Il Cav: «Al Nord rimane già il 75% delle tasse»
La Lombardia, peraltro, può contare su ben 11,5 miliardi di entrate dovute a tributi propri (bilancio di previsione 2012). E su 7,3 miliardi di tributi erariali e compartecipazioni attesi nel 2013. Senza dimenticare 1,2 miliardi di assegnazioni dallo Stato (parte corrente e conto capitale) nella previsione di competenza per il 2012.
I CASI DI VENETO E PIEMONTE. Tra l’altro, se si allarga il discorso alla vagheggiata macro-regione del Nord, il Veneto si riprende già oggi il 72% di quello che elargisce e il Piemonte arriva addirittura all’86%. Dunque, in base ai numeri, non si comprende in cosa consista questo presunto scippo ai danni dei poveri «padani».
LA RETTIFICA DI BERLUSCONI. In fondo, pochi giorni fa era stato lo stesso Silvio Berlusconi a smontare il giocattolo e a ridimensionare con gaffe forse involontaria la presunta portata storica del nuovo mantra leghista. In sede di accordo con il Carroccio, l’ex premier infatti aveva detto: «Il 75%? Al Nord rimangono già ora le stesse somme, se si intende questa percentuale come comprensiva delle spese di tutte le istituzioni situate al Settentrione quindi anche le Province, i Comuni e tutte le società o articolazioni che amministrano servizi pubblici».
Insomma, Maroni invoca la liberazione di schiavi che hanno già perso le catene. E a dirlo è il suo primo alleato in persona.
Mentre il problema vero è che l’Italia nel suo complesso ha una pressione tributaria troppo alta (nel 2013 sarà del 45,3%) e una spesa per gran parte inefficiente.
IL NODO DEL FEDERALISMO FISCALE. Ma cosa ne è stato del federalismo fiscale leghista? Un ballon d’essai rimasto nel limbo delle incompiute.
Nel frattempo nemmeno la ricca Lombardia copre il suo settore chiave d’intervento con risorse proprie. Secondo dati Copaff (la Commissione tecnica per l’attuazione del federalismo fiscale), il Pirellone nel 2010 ha speso 17,5 miliardi per la sanità e solo il 64% è stato foraggiato in modo autonomo. La precentuale scende al 52% per il Veneto e addirittura al 43% in Piemonte, poco meglio delle neglette regioni meridionali.
I CASI DI VENETO E PIEMONTE. Tra l’altro, se si allarga il discorso alla vagheggiata macro-regione del Nord, il Veneto si riprende già oggi il 72% di quello che elargisce e il Piemonte arriva addirittura all’86%. Dunque, in base ai numeri, non si comprende in cosa consista questo presunto scippo ai danni dei poveri «padani».
LA RETTIFICA DI BERLUSCONI. In fondo, pochi giorni fa era stato lo stesso Silvio Berlusconi a smontare il giocattolo e a ridimensionare con gaffe forse involontaria la presunta portata storica del nuovo mantra leghista. In sede di accordo con il Carroccio, l’ex premier infatti aveva detto: «Il 75%? Al Nord rimangono già ora le stesse somme, se si intende questa percentuale come comprensiva delle spese di tutte le istituzioni situate al Settentrione quindi anche le Province, i Comuni e tutte le società o articolazioni che amministrano servizi pubblici».
Insomma, Maroni invoca la liberazione di schiavi che hanno già perso le catene. E a dirlo è il suo primo alleato in persona.
Mentre il problema vero è che l’Italia nel suo complesso ha una pressione tributaria troppo alta (nel 2013 sarà del 45,3%) e una spesa per gran parte inefficiente.
IL NODO DEL FEDERALISMO FISCALE. Ma cosa ne è stato del federalismo fiscale leghista? Un ballon d’essai rimasto nel limbo delle incompiute.
Nel frattempo nemmeno la ricca Lombardia copre il suo settore chiave d’intervento con risorse proprie. Secondo dati Copaff (la Commissione tecnica per l’attuazione del federalismo fiscale), il Pirellone nel 2010 ha speso 17,5 miliardi per la sanità e solo il 64% è stato foraggiato in modo autonomo. La precentuale scende al 52% per il Veneto e addirittura al 43% in Piemonte, poco meglio delle neglette regioni meridionali.
Il miraggio dell'autarchia secessionista
In più, la proposta leghista del 75% delle tasse ai lombardi ha un sapore di autarchia secessionista che gran parte degli osservatori bolla come eticamente discutibile, antistorica e persino tecnicamente impraticabile.
LA GEOGRAFIA DEI RICAVI. Se si considera la ricchezza imponibile, per esempio quella delle imprese, su cui viene impostata la rivendicazione delle camicie verdi che sottrarrebbe risorse allo Stato centrale per mantenerle sul territorio, va detto che in gran parte si tratta di ricavi che non scaturiscono da quello stesso territorio, ma derivano da vendite nel resto d’Italia o magari all’estero. Un fatturato che spesso viene realizzato da filiali che si trovano al Sud o in Europa e nel mondo. Allora sorge una domanda: perché un flusso di ricchezza che viene creato in Campania o in Sicilia, e ha in Lombardia solo la sede legale di riferimento, deve rimanere a beneficio esclusivo dei lombardi?
MEZZOGIORNO PRIMO MERCATO. Il Mezzogiorno d’Italia è il primo mercato per i prodotti delle regioni settentrionali. La sola Lombardia ricava più di 50 miliardi di euro l’anno dalla vendita dei suoi prodotti da Roma in giù.
Su chi ricadrebbe il peso di una fantomatica autarchia fiscale del Nord che provocherebbe ostracismi e una qualche, pur informale, ritorsione protezionistica da parte delle altre regioni d’Italia? Ha senso vellicare pulsioni secessionistiche totalmente anacronistiche?
L'OSTACOLO COSTITUZIONALE. Infine c’è il nodo istituzionale che lascia facilmente intendere come la promessa del «75% ai lombardi» sia mera propaganda.
I leghisiti evocano quale esempio da seguire il regime delle regioni a statuto speciale. Per trasformare la Lombardia in qualcosa di similie alla Sicilia o al Trentino, però, bisogna modificare il Titolo V della Costituzione, passando attraverso l’iter parlamentare lungo e difficile della procedura aggravata di riscrittura della Carta.
LA RIFORMA DEL TITOLO V. L’eventuale riforma con doppia lettura degli articoli 116, 117 e 119 avrebbe bisogno dei due terzi di maggioranza per evitare il referendum confermativo. La Lega pensa davvero di raccogliere numeri del genere in parlamento? O anche solo di raggranellare una maggioranza assoluta?
Il Carroccio minoritario e frontista del 2013 ritiene davvero di riuscire laddove ha fallito il partito bossiano che era in maggioranza e al governo nel 2008-2011?
Dopo il federalismo fiscale, ecco un altro ballon d’essai lanciato in cielo dalla dirigenza di via Bellerio.
LA GEOGRAFIA DEI RICAVI. Se si considera la ricchezza imponibile, per esempio quella delle imprese, su cui viene impostata la rivendicazione delle camicie verdi che sottrarrebbe risorse allo Stato centrale per mantenerle sul territorio, va detto che in gran parte si tratta di ricavi che non scaturiscono da quello stesso territorio, ma derivano da vendite nel resto d’Italia o magari all’estero. Un fatturato che spesso viene realizzato da filiali che si trovano al Sud o in Europa e nel mondo. Allora sorge una domanda: perché un flusso di ricchezza che viene creato in Campania o in Sicilia, e ha in Lombardia solo la sede legale di riferimento, deve rimanere a beneficio esclusivo dei lombardi?
MEZZOGIORNO PRIMO MERCATO. Il Mezzogiorno d’Italia è il primo mercato per i prodotti delle regioni settentrionali. La sola Lombardia ricava più di 50 miliardi di euro l’anno dalla vendita dei suoi prodotti da Roma in giù.
Su chi ricadrebbe il peso di una fantomatica autarchia fiscale del Nord che provocherebbe ostracismi e una qualche, pur informale, ritorsione protezionistica da parte delle altre regioni d’Italia? Ha senso vellicare pulsioni secessionistiche totalmente anacronistiche?
L'OSTACOLO COSTITUZIONALE. Infine c’è il nodo istituzionale che lascia facilmente intendere come la promessa del «75% ai lombardi» sia mera propaganda.
I leghisiti evocano quale esempio da seguire il regime delle regioni a statuto speciale. Per trasformare la Lombardia in qualcosa di similie alla Sicilia o al Trentino, però, bisogna modificare il Titolo V della Costituzione, passando attraverso l’iter parlamentare lungo e difficile della procedura aggravata di riscrittura della Carta.
LA RIFORMA DEL TITOLO V. L’eventuale riforma con doppia lettura degli articoli 116, 117 e 119 avrebbe bisogno dei due terzi di maggioranza per evitare il referendum confermativo. La Lega pensa davvero di raccogliere numeri del genere in parlamento? O anche solo di raggranellare una maggioranza assoluta?
Il Carroccio minoritario e frontista del 2013 ritiene davvero di riuscire laddove ha fallito il partito bossiano che era in maggioranza e al governo nel 2008-2011?
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