M5S, da non-partito a partito
Come è cambiato il Movimento dalle sue origini a oggi? E come è destinato a cambiare ancora? Ne discutiamo con Sara Bentivegna, Peter Gomez, Corrado Formigli, Massimiliano Panarari, Francesco Maesano, Erasmo D’Angelis e Mario Lavia
Nella redazione di Unità.tv abbiamo organizzato la prima tavola rotonda di un ciclo che abbiamo chiamato UNITalk. Come primo argomento abbiamo scelto di parlare del Movimento Cinquestelle, per cercare di capire quali sono le novità di un fenomeno politico che presenta caratteristiche abbastanza diverse da quelle delle sue origini (da qui il titolo).
Abbiamo chiamato a discuterne colleghi e specialisti che conoscono benissimo la materia: Sara Bentivegna, studiosa di comunicazione, Peter Gomez, direttore de ilfattoquotidiano.it, Corrado Formigli, conduttore di Piazzapulita su La7, Massimiliano Panarari, docente universitario e politologo, Francesco Maesano, de La Stampa e Erasmo D’Angelis, direttore dell’Unità.
Il dibattito, coordinato da Mario Lavia, di Unità.tv, è stato ricchissimo di spunti analitici che il lettore ricaverà dal testo che qui pubblichiamo.
LAVIA – Il M5S appariva in origine un movimento effimero, ma oggi si sta dimostrando invece una forza che persiste e si candida a governare il Paese. Da questo punto di vista, assomiglia più alla ‘prima’ Lega che all’Uomo qualunque di Giannini, ma con un numero di elettori perfino più elevato. Quali sono le ragioni di questa durata?
Per me, una è la caratteristica di ‘partito della nazione’, trasversale, in grado di parlare a sinistra come a destra, anche a settori estremi. Questo funziona finché si è all’opposizione, ma se andrà al governo questo aspetto potrà entrare in crisi.
Un secondo elemento è il rapporto con il territorio: il M5S continua a essere in periferia un partito gassoso, mentre a livello nazionale si ha la sensazione di un accentramento verticistico delle decisioni. E questo appare come un passo indietro rispetto al primo periodo.
Infine, il rapporto con la televisione e la rete. Nato come partito anti-tv (“tanto parla di noi lo stesso…”), adesso questa opposizione si è affievolita, perché si è affievolita la leadership di Grillo. Per questo hanno avuto bisogno di costruire personaggi televisivi, come Di Maio e Di Battista. È cambiato anche il rapporto con la rete? Ho l’impressione che soprattutto sui social ci sia da parte loro una forte organizzazione: la loro risposta agli attacchi o anche solo alle notizie che li riguardano non può essere solo spontanea, e i toni sono diventati ancora più astiosi rispetto alle origini.
Abbiamo chiamato questo forum “M5S, da non partito a partito” perché crediamo che il Movimento si stia trasformando, con una istituzionalizzazione che prelude a un obiettivo più alto: la conquista del governo. Ma così finiscono per somigliare di più ai partiti tradizionali.
FORMIGLI – Non mi scandalizza il fatto che adesso il M5S frequenti con assiduità i talk show. Inizialmente l’avversione era dovuta al considerare la tv come ancillare alla politica, peraltro con qualche ragione. Poi hanno prevalso due pragmatismi. Il primo era dovuto alla saggezza di Casaleggio, che ha voluto tutelare questi giovani parlamentari da una macchina televisiva che rischiava di schiacciarli, così sono potuti crescere finché hanno capito bene come funzionava il mezzo. Allora ha prevalso il secondo pragmatismo, cioè la necessità di partecipare ai programmi tv.
Per certi versi, oggi il M5S sui confronti televisivi è più laico rispetto ad altri partiti, compreso lo stesso Pd. C’è una timida apertura sul fatto di accettare che confrontarsi anche in tv fa parte del gioco della democrazia. Da questo punto di vista, il M5S sta diventando un partito più tradizionale.
Sul piano comunicativo, loro hanno in questo momento una forza e un limite. La loro forza è imporsi fuori dagli schemi dei partiti: per questo spesso usano un collegamento dall’esterno in tv, per associarsi maggiormente alla gente piuttosto che al teatrino della politica che c’è in studio. In questa fase, poi, c’è una comunicazione di sbarramento. Loro stanno facendo tutta la campagna sul tema della corruzione e questo rischia di mangiarsi gli altri temi più propositivi, sui quali avevano lavorato in origine. Questo è un rischio perché un movimento del 25% dovrebbe rendere più chiara la propria piattaforma. Pensioni, spending review, ambiente: argomenti che inizialmente avevano una loro forza ora appaiono in regressione.
È vero anche che questi sono i motivi per cui il M5S non è stato un fuoco di paglia, perché la persistenza della corruzione gli permette di pescare anche negli strati sociali più consapevoli della popolazione, questa è una loro forza. Inoltre la persistenza della voragine che divide garantiti e non garantiti legittima la loro forza e la penetrazione negli strati sociali più disagiati, sia a destra che a sinistra.
BENTIVEGNA – Quando sono stata invitata a questo forum, mi è tornato in mente Movimento e istituzione di Francesco Alberoni, che può essere assunto come riferimento per capire cosa sta succedendo al M5S. L’irrigidimento si rintraccia bene a partire dalla comunicazione del Movimento.
Possiamo individuare due fasi: dapprima il rifiuto della tv, che serviva a difendere i parlamentari e a identificare Grillo come leader unico, e il prevalere della rete e quindi del rapporto diretto con la cittadinanza; quindi è arrivato l’uso della televisione, con una diversità che si prova sempre ad affermare, insieme a una lettura più pragmatica del web, che serve a dare una struttura a un movimento che deve diventare istituzione-partito, recuperando un’organizzazione che non avevano.
Ho guardato con attenzione la piattaforma Rousseau: questo pragmatismo si capisce bene studiandone le funzioni già attive e quelle previste, nonché la selezione fatta nell’accesso (che non è solo riservato agli iscritti, ma bisogna anche dichiarare un profilo come eletti/non eletti e la zona di residenza). Loro hanno 1.796 eletti, che sono tanti, e questo strumento aiuta a gestirli.
Quello che mi ha stupito, però, è soprattutto la dimensione comunicativa pubblica prevista, che poi porta al meccanismo della deliberazione. Noi che ci occupiamo di comunicazione, riteniamo che il confronto sia un momento per poi arrivare a una deliberazione comune. Invece in Rousseau questa discussione rimane privata, io da osservatore o da cittadino non posso osservare la discussione, e questo conferma che si tratta di un meccanismo opaco. A me, da studiosa, interesserebbe conoscere gli elementi di riflessione, le soluzioni proposte, potendo accedere anche alla discussione (naturalmente anche senza poter partecipare o votare) anche in regioni diverse dalla mia. Invece se risiedo in Emilia Romagna non posso sapere come pensano di risolvere il problema dei rifiuti in Campania, la piattaforma mi impedisce di accedere, anche se sono un iscritto. Questo fa emergere che anche Rousseau rimane principalmente un strumento con una funzione organizzativa e non veramente di confronto.
Si assiste a un irrigidimento molto forte in questo passaggio da movimento a partito e gli elementi di chiusura della piattaforma lo sottolineano. È una infrastruttura organizzativa interna che non dialoga con i cittadini che ne rimangono al di fuori, ma che potrebbero avere interesse a diventare un giorno interni al Movimento. Questo è un forte limite.
PANARARI – Si tratta di un Movimento pieno di contraddizioni. È il primo caso di post partito, come direbbe Paolo Mancini. È la stessa cosa che si diceva all’epoca della discesa in campo di Berlusconi e infatti ci sono elementi di contatto con la prima Forza Italia.
Anche il M5S è un partito-azienda, per la presenza dietro il Movimento della Casaleggio Associati. Per di più questo tipo di azienda è una società di pubbliche relazioni, un aspetto essenziale per la presenza del M5S sul web e più in generale per la sua comunicazione. Inoltre è post-ideologico, a vocazione pigliatutto, che vuole pescare voti ovunque, producendo aporie che portano a contraddizioni interne. Il loro vero tema ideologico è il rifiuto della democrazia rappresentativa, della delega. Infatti, tiene insieme persone di destra e di sinistra sulla base dell’idea che la delega porti alla costituzione di un ceto di eletti, che si allontanano dagli elettori e si confinano in una condizione di privilegio.
Un’ulteriore difficoltà che si riscontra nell’istituzionalizzazione del Movimento è anche il fatto che non sia stata chiarita in maniera esplicita e trasparente la linea di comando. I cittadini-portavoce, come si definiscono i parlamentari, non andavano in tv anche per quello, perché non potevano autonomizzarsi, avere un profilo con idee proprie, distinte da quelle dei cittadini.
Per quanto riguarda il rapporto con la televisione, mi pare che la diffidenza iniziale sia riconducibile anche a questa visione ideologica e al fatto che il M5S, non avendo una sua narrazione precostituita, sia molto permeabile all’idea diffusa, alle suggestioni circolanti nell’opinione pubblica. Nell’ultima fase, invece, sono stati presenti per sottrazione, spesso in collegamento, come si è detto prima. Permane un elemento di diffidenza, che è molto presente nel Paese, cioè il timore che il conduttore possa tirarli in una trappola oppure la possibilità di essere pescati dalle telecamere mentre si fa qualcosa di inappropriato.
Mi pare che in parte i militanti del M5S siano ascrivibili al paradigma del “vero credente” di Eric Hoffer, eredi del militante ideologizzato. E in questo caso è un credente “contro”, con l’idea che la politica sia il male e l’opzione etica sia l’unica in grado di ripulirla. L’istituzionalizzazione di questa fase si confronta inevitabilmente con questa antinomia con la base anti-istituzionale. È un processo che potrebbe portare a un accentramento ulteriore oppure a una separazione interna. Ma dipende dai cambiamenti interni che si verificheranno in questo Movimento dallo stato gassoso.
GOMEZ – Secondo me il M5S ha la stessa caratteristica di chi si occupa di web: credi di avere soluzioni, le metti in pratica e in un breve periodo capisci se funzionano o no. Loro con l’arrivo di Renzi si sono resi conto di aver sbagliato qualcosa, avendo trovato uno che si presentava come innovatore ma riusciva anche a rassicurare le mamme, cosa che Grillo non sapeva fare. Così Grillo viene sostituito dalla faccia più rassicurante di Di Maio. Ma in più, essendosi formati da poco tempo, hanno il vantaggio di poter dire che “noi le mani pulite le abbiamo davvero”, cosa che il Pd solo parzialmente è in grado di fare.
Sull’idea del partito-azienda, quella che aveva Casaleggio in realtà è un’aziendina. È ancheridicola la polemica di chi dice che fanno i soldi con il blog: con la pubblicità sul web non si fanno i soldi. Questo la base cinquestelle lo sa, perché sulla rete ci sta davvero e ne capisce, a differenza di chi li accusa, e si arrabbia di più perché si vede raccontare balle dagli altri.
È vero che i Cinquestelle non sono radicati sul territorio e infatti per me alle amministrative andranno peggio di quanto pensano. Ma essendo il loro un voto di opinione, non devono sporcarsi mani con il consenso, non hanno bisogno di avere a che fare con aziende amiche per la gestione delle piscine di Lodi.
Sul ruolo di Casaleggio e Grillo, loro hanno fatto veramente da garanti, anche sbattendo fuori la gente. Quando qualcuno attacca Grillo perché è un pregiudicato, l’aderente cinquestelle risponde facilmente che infatti lui non è in parlamento.
Rispetto al rapporto con la tv, inizialmente si sono posti il problema di chi mandare, essendo tutti inesperti, e infatti hanno sottoposto i parlamentari a dei test. Nulla di strano, è quello che fanno anche gli altri partiti: chi fa tv sa che gli ospiti delle trasmissioni spesso li scelgono i partiti, non i conduttori.
Quanto durerà il M5S? Non lo so. Se non andrà al ballottaggio alle prossime elezioni politiche, perché se il centrodestra si presenterà unito sarà probabilmente davanti, cosa accadrà nei cinque anni successivi? Questo è il vero interrogativo. Quello che cambierà tutto sarà il limite dei due mandati, vediamo se riusciranno a sostenerlo. Del Movimento capiremo tutto dopo il 2018: visto che non potrà più ricandidarsi, Di Maio come preparerà la sua successione? Sarà in grado di farlo?
Onestà è l’unica parola d’ordine importante per m5s. In rete vale credibilità personaggi, loro hanno degli esempi.
Infine, io non credo che loro siano etero organizzati sul web. Lo so perché li ho studiati bene. C’è una base estremistica in ogni partito, anche il Pd ha i suoi che intervengono in maniera forte sui social.
FORMIGLI – È vero, le pattuglie esistono per tutti.
MAESANO – Io non credo che il M5S sia post-ideologico, quanto semmai cross-ideologico: sono gli elettori, non i partiti ad aver superato le ideologie. La comunicazione “contro”, poi, ce l’hanno tutti i movimenti di opposizione nel mondo.
Credo che il M5S e il Pd si somiglino molto più di quanto non vogliano sentirsi dire.Rousseau rappresenta le mura del Movimento: in questo momento se noi fossimo ospiti del M5S saremmo dentro Rousseau invece siamo al Nazareno in una sala, con un tavolo e le sedie.
A livello locale loro litigano tantissimo, tanto è vero che alle amministrative di giugno si presentano solo nel 20% dei comuni che vanno al voto.
Sono partiti da uno stato gassoso, come diceva Lavia, ma adesso si stanno solidificando. A partire dalla leadership di Di Maio, che ormai appare indiscussa. Per chi viene dalla scuola del Pci, Davide Casaleggio può essere paragonato al responsabile organizzazione, ma la leadership è demandata a Di Maio. Il quale ha anche stretto un accordo, almeno per il momento, con le opposizioni guidate da Di Battista e Fico. Di Maio crede che il pragmatismo sia l’unico modo per vincere, perché si rivolge a persone non di destra o di sinistra, ma di centro. Questo aspetto Di Maio lo interpreta alla perfezione.
Da qui al 2018 quello che deve fare, però, è riuscire a garantire alcuni punti programmatici, oltre al reddito di cittadinanza, che è la proposta più riconoscibile. Se riuscirà a tirare fuori queste idee, la sua leadership non sarà in discussione.
Viene contestato perché gli si ricorda che è stato eletto con una manciata di voti alle loro primarie, ma quelle sono primarie chiuse, se anche il Pd facesse primarie chiuse avrebbe volumi di voti molto inferiori. I Cinquestelle non possono organizzare primarie aperte, perché pretendono – anche in modo eccessivo – le analisi del sangue di chi si iscrive.
GOMEZ – Sono molto rigidi perché temono infiltrati: se 10-15 persone si iscrivessero in un comune e poi combinassero guai, per loro cadrebbe tutto. Prendete il caso Quarto: per fare stessa eco che ha avuto nel M5S, ci vorrebbero 15 casi del genere nel Pd. Per loro ogni piccolo problema di questo tipo rischia di essere deflagrante.
D’ANGELIS – Senza dover aspettare il 2018, penso che già in questo passaggio delle amministrative sapremo se i grillini possano essere considerati una forza credibile di governo locale, perché questo farà anche la differenza. Perché dico questo? Perché le sedici prove locali di governo in sedici comuni sono state abbastanza mediocri o imbarazzanti.
Il caso Quarto non si può liquidare dicendo che hanno fatto muro. Non hanno fatto muro, perché la prima cosa che ha detto Grillo è stata giustificare il voto di scambio, una dichiarazione francamente inaccettabile. Dopodiché è successo di tutto, a dimostrazione che non c’è nessuna analisi del sangue, non c’è lo sbarramento per essere pochi ma buoni. Se vogliamo fare anche un confronto matematico con gli indagati del Pd, probabilmente potremmo anche arrivare al paradosso che i Cinquestelle sono più inquinati del Pd. Il comune meglio governato è Parma, dove il sindaco Federico Pizzarotti è praticamente sull’uscio, c’è un conflitto aperto.
Le città che dovevano essere il trampolino di lancio per dimostrare e spianare la strada alle ambizioni di governo, sono state finora un fallimento. Quindi sapremo ora, e lo vedremo a Roma, dove la situazione è più contendibile, se gli italiani sono d’accordo o si sono stufati dell’essere sempre contro e di sponsorizzare sempre il fallimento di tutto e di tutti e se a quel punto la fase si chiude e se ne apre un’altra. Il punto vero è che si può anche diventare un fenomeno elettorale inatteso e raccogliere il voto contro ma poi devi anche confrontarti con il governo. Ed è questo il punto debole.
GOMEZ – Sei sicuro che la tua analisi non risenta del fatto assolutamente legittimo che tu sei un militante del Partito democratico? Non sei d’accordo sul fatto che questo è un movimento di opinione e per questo il banco di prova per loro sono le elezioni nazionali? Certo, se governano Roma e per due anni fanno disastri saranno un disastro anche le politiche. Ma stiamo facendo un’analisi: io non vorrei, se domani per caso le amministrative per il Pd dovessero andare bene, che voi diceste “perfetto, l’abbiamo aggiustata con il M5S”, perché se questo è il ragionamento, è molto pericoloso per voi.
D’ANGELIS – È speculare al ragionamento che fai tu, che non vedi tante cose o comunque le nascondi e invece fai emergere il dato mio.
GOMEZ – La differenza è che tu sei un militante di un partito politico e io no.
D’ANGELIS – Siamo tutti militanti.
GOMEZ – È legittimo essere militanti, ma io non lo sono. Il Movimento 5 Stelle ha letto dei libri che ho scritto io e certamente si rifà a dei valori miei, ma la differenza è che io non mi rifaccio a un partito. Un domani, se andassero al governo, e lo dico perché mi è già capitato di essere stato attaccato personalmente sul blog di Grillo, io mi ritroverò nella stessa condizione di quando c’era Berlusconi, perché questi sono gli italiani.
D’ANGELIS – La grandezza di Casaleggio è quella di aver scommesso su almeno tre dati fondamentali.
1) Le società moderne non sono più bipolari. Ci sono forze indipendenti, “contro”, che in qualche modo raggiungono percentuali interessanti e sconquassano il sistema politico. Casaleggio ha scommesso su questo e ha vinto, perché effettivamente in Italia è accaduto questo: dopo 60-70 anni di onorata carriera la politica è stata devastata dall’irruzione dei Cinquestelle.
2) La crisi delle forme della politica. Nel corso degli anni, siamo passati da partiti pedagogici come il Pci e la Dc, a quello mediatico di Berlusconi, poi al partito del leader con Di Pietro, Vendola, Prodi, fino al partito che elegge un leader nelle primarie, il Pd. Queste forme della politica, essendo tutte in crisi, alla fine hanno consentito a un prodotto nuovo di conquistare un terreno.
3) Considerare come una zavorra tutta la parte organizzativa dei partiti: i congressi, in qualche modo la trasparenza, i dibattiti interni, le segreterie, le direzioni. Tutta questa parte, che il Pd si porta ancora dietro, per una fetta dell’elettorato è oggettivamente un peso.
Sono tre intuizioni che hanno prodotto un movimento di opinione.
FORMIGLI – Ne aggiungo un’altra, che abbiamo trascurato in questa discussione: coincide con l’arrivo dei Cinquestelle la battaglia sacrosanta contro i privilegi della casta. Se da un certo momento in poi politici e amministratori hanno iniziato a provare un certo senso di vergogna per esempio nell’utilizzo delle auto blu, che non era necessaria, questo lo dobbiamo al Movimento Cinquestelle. Se Renzi si è avviato su questa strada e ha capito quanto fosse importante questa intuizione – e l’ha portata avanti e l’ha battuta – è perché prima è stata introdotta dai Cinquestelle. Se siamo a questo punto è perché sono arrivati i Cinquestelle e questo è un merito e un punto di non ritorno della società italiana.
D’ANGELIS – Ora la sfida vera qual è? Un movimento così omogeneo (comunque è un partito nazionale con percentuali simili in tutta Italia) può reggere una cosa del genere gestita dalla Casaleggio Associati, cioè da un server come Rousseau? L’eredità di Casaleggio non sono le teorie, il libro o un video: è Rousseau. Questo è un tema e questo rappresenta anche il modo in cui individui un percorso democratico di selezione della classe dirigente. In parte si sta selezionando, in parte no: lo vedremo nel corso delle amministrative, nel gioco politico. Questo significa che i Cinquestelle apriranno in qualche modo anche a una politica delle alleanze? Perché da soli non governano, almeno che non pensino di arrivare al 51 per cento.
FORMIGLI – Con l’Italicum però non ne hanno bisogno.
GOMEZ – Non lo faranno mai.
D’ANGELIS – La seconda domanda parte da una considerazione di Formigli: Grillo ha vinto perché il campo era apertissimo. E quindi il tema della legalità e dell’onestà. Dopodiché è arrivato Renzi, ha fatto proprie alcune battaglie dei Cinquestelle, sta riformando il Paese: la stessa riforma costituzionale, tanto avversata, vede il taglio di un terzo dei parlamentari, che è stata ed è una battaglia storica che appartiene a Beppe Grillo e ai Cinquestelle.Perché l’immagine che invece proiettano all’esterno i Cinquestelle è quella dei difensori dell’ancien régime? Si oppongono a tutto, non partecipano, mentre potrebbero fare tanto e potrebbero anche migliorare le riforme. Invece non danno alcun apporto e c’è uno scontro totale nei confronti del Pd e di Renzi. Ai Cinquestelle conviene oggi stare sul fronte che si oppone?
GOMEZ – L’ultima volta che ho intervistato Matteo Renzi, eravamo prima delle elezioni europee, lui mi disse: “Sai, Peter, se c’era ancora Letta, i Cinquestelle alle europee prendevano il 40 per cento”. E questo si ricollega al discorso che stai facendo. Il messaggio radicale che ha dato Renzi agli occhi di una parte importante del suo elettorato non è più credibile ed è qui che torna la forza dei Cinquestelle.
Anche io all’inizio mi chiedevo perché i Cinquestelle non avessero permesso al governo Bersani di partire. Adesso ho capito perché: perché sarebbe finita la carica rivoluzionaria dei Cinquestelle. Loro dicono “noi governeremo se avremo il 51 per cento”. Quella percentuale non la raggiungerà mai nessuno, però è anche vero che adesso abbiamo l’Italicum: essendo simile alla legge elettorale dei sindaci, potrebbe permettere al M5S di guidare un governo. Qualunque compromesso con gli altri partiti farebbe perdere la loro forza.
Alle amministrative si candideranno in pochi posti perché hanno paura della replica di casi Quarto e sanno benissimo di non poterli evitare perché statisticamente qualcuno che si metterà d’accordo con la criminalità organizzata ce lo avrai. Prima tu [D’Angelis, ndr] facevi riferimento a questa dichiarazione di Grillo sul voto di scambio che io che faccio il giornalista non ricordavo, ma quello che rimane è che la sindaca è stata mandata via.
FORMIGLI – Secondo me c’è un problema serio sulla selezione della classe dirigente, per il quale non hanno ancora trovato una soluzione. È difficile costruire una grande squadra di professionisti, candidare persone che sono radicate e hanno una storia nel territorio perché qualunque storia precedente li sottopone a un ricatto possibile. Guardate quello che è esploso per la Raggi per una cosa a mio parere insensata: è andata a fare la stagista da Previti. Anche quella piccola storia, o qualunque altro trascorso, sottopone il candidato a un attacco, perché più la persona è importante, più è un professionista affermato e più ha una storia alle spalle che lo sottopone a un ricatto. Questo ti porta all’assurdità di dover candidare una persona che non ha nulla alle spalle, ma che poi ha dei limiti nell’affontare i problemi.
GOMEZ – Però c’è una domanda non secondaria: se, non a queste ma alle precedenti elezioni, la Raggi avesse reso palese il praticantato presso lo studio di Previti, sarebbe stata eletta come consigliera? Difficilmente, questo è oggettivo, anche se non significa che lei abbia fatto nulla di male.
BENTIVEGNA – Riguardo alla formazione della classe dirigente, sulla piattaforma Rousseau c’è una funzione che verrà attivata che però è davvero una funzione a ribasso: quella dell’e-learning. Lezioni sulle strutture in cui sono inseriti gli eletti e sul loro funzionamento: come funziona il Parlamento italiano, come funziona il Consiglio regionale… Ma questa non è la formazione della classe dirigente, questa è la formazione di chi è stato selezionato e che deve essere poi utilizzato per una funzione. La formazione politica o anche la discussione di alcune tematiche è un’altra cosa: cos’è importante oggi e cosa emergerà domani nella società che cambia? Questo problema non se lo pongono proprio. È singolare, perché loro invece avrebbero le caratteristiche per poter dibattere seriamente su questi temi anche su questa piattaforma. Però evidentemente loro hanno un problema nell’immediato di preparazione del soggetto che deve ricoprire una carica e non di formazione di classe dirigente del Paese.
GOMEZ – Rousseau equivale alla vita che facevi una volta nelle sezioni. C’è chi vive nella rete come parte del reale. Rousseau è semplicemente una infrastruttura, se non funziona poi verrà cambiata. Anche negli organi del Pd si partecipa a riunioni e assemblee, ma i cittadini non sanno veramente cosa avviene lì. Ai loro occhi, i partiti sono opachi per natura, così come le istituzioni. Pensate al Consiglio dei ministri come si svolge adesso: si fa la riunione, si illustrano i risultati in conferenza stampa, poi il testo del provvedimento arriva 15 giorni dopo e spesso c’è scritto altro rispetto a quanto anticipato.
PANARARI – C’è un’evoluzione dell’idea del partito tradizionale, che è completamente scomparsa, che rende simili da molti punti di vista nella trasformazione M5S e Pd. Reintroduco il concetto di partito azienda perché le lezioni di e-learning di cui parlava Bentivegna sono l’equivalente di un corso aziendale. All’inizio, nel M5S c’era addirittura un provino, l’equivalente di un casting, che è un concetto assolutamente post-moderno. Il partito azienda è applicabile anche in termini di format al Movimento Cinquestelle, perché l’organizzazione strutturale della post-modernità è l’impresa. Il M5S non è un partito neopatrimonialistico, ma è partito-azienda nel senso del modello organizzativo.
D’ANGELIS – Non è contendibile, come il cda di un’azienda. È leninista.
MAESANO – Secondo me è contendibile. Lo dimostra quello che è successo a Roma, dove c’è stato un vero e proprio congresso, anche se sotto altre forme. Marcello De Vito era il candidato della Lombardi e ha perso, mentre ha vinto la Raggi.
PANARARI – Maesano diceva che il Movimento Cinquestelle è un partito trasversale e tiene insieme il giovane precario, la cui vita è sfinita dal problema degli stage, ma anche la signora plasticata dell’élite, vestita come una corteggiatrice di Maria De Filippi. Questo è importante, perché il famoso elettore moderato berlusconiano non è mai esistito, era solo un estremista di centro. E di nuovo c’è un elemento per cui senza berlusconismo non si possono pensare le trasformazioni.
GOMEZ – La criptonite del Movimento Cinquestelle sono il Pd e gli altri partiti. Perché il Pd da una parte parla della questione etica e delle leggi fatte – tutto vero – poi si presenta con De Luca, che è stato sì assolto, ma che rimane nell’immaginario dell’elettore in modo negativo. De Luca vince in Campania, ma ti fa perdere altrove. Prima di quelle elezioni scrissi che sarebbe stato meglio per Renzi decidere di perdere la Campania, perché De Luca se lo sarebbe portato dietro per tutta la vita. L’immagine è importante in politica. Un elettore d’opinione su questo si fa delle domande e si ricorda anche di De Luca.
D’ANGELIS – Il tema della legalità è trasversale. Quello che vedo è che è un movimento che non riesce a inserirsi in una dinamica politica anche nella fase costruttiva.
FORMIGLI – I numeri, però, ad oggi gli stanno dando ragione.
GOMEZ – La prova vera però restano le elezioni politiche. Li pesi solo sulle politiche.
D’ANGELIS – Al di là delle elezioni politiche, se a Roma i Cinquestelle non riescono nemmeno ad arrivare al ballottaggio, dopo tutto quello che è successo con Mafia Capitale, per loro sarà una sconfitta.
(Testo raccolto da Silvia Gernini e Rudy Francesco Calvo)
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