Invia per email
Stampa
ROMA - Le indagini condotte dal Noe dei Carabinieri su un capitolo almeno del caso Consip, su quello che ne era diventato il cuore perché merce ad alto rendimento politico — il padre del Presidente del Consiglio Tiziano Renzi — si rivelano un verminaio di infedeltà e manipolazioni. In cui sprofondano definitivamente il capitano Gianpaolo Scafarto e il colonnello Alessandro Sessa, vicecomandante del reparto ora indagato per depistaggio. E che promette di inghiottire altri protagonisti di questa vicenda. Non fosse altro perché apre uno squarcio sinistro su quanto accaduto tra l’estate 2016 e il gennaio 2017 al Comando Generale dove, chi manipolava l’inchiesta (Scafarto e Sessa) sapendo di farlo, giustificava le proprie mosse storte con l’urgenza di «arrestare Tiziano Renzi».

Di più: concionava sulla necessità di intercettare — non è dato sapere in forza di quale autorità — il Comandante generale Tullio Del Sette e il Capo di Stato Maggiore Gaetano Maruccia, sospettati di essere le talpe che avrebbero dovuto far deragliare l’indagine della Procura di Napoli a vantaggio del Presidente del Consiglio. Nel dettaglio.

“DOBBIAMO ARRESTARE RENZI” Alle cinque del pomeriggio di mercoledì scorso, di fronte al Procuratore di Roma Giuseppe Pignatone, all’aggiunto Paolo Ielo e al sostituto Mario Palazzi, l’interrogatorio di Scafarto si trasforma in un calvario, durante il quale all’ufficiale vengono contestate evidenze documentali — una chat whatsapp tra lui e gli uomini della squadra investigativa su Consip — che fanno piazza pulita della favoletta che voleva la stanchezza e l’enormità del materiale istruttorio da gestire i responsabili dell’errore di attribuzione (a Romeo invece che a Bocchino), nella memoria conclusiva consegnata ai pm di Napoli, di una conversazione intercettata. Quella che si voleva provasse gli incontri tra Romeo e Tiziano Renzi e che, agli occhi del capitano Scafarto, avrebbe reso possibile l’arresto del padre del Premier.

A Scafarto, i pm mostrano i messaggi scambiati in quella chat tra lui e suoi uomini tra il 2 e il 3 gennaio di quest’anno. I giorni immediatamente precedenti la consegna della memoria ai pm. Si legge il 2 gennaio:
Scafarto: «Per favore, qualcuno si ricorda se Romeo ha mai detto a qualcuno di aver visto, anche una mezza volta, Tiziano (Renzi ndr.)?»
La richiesta diventa frenetica il giorno successivo, il 3.
Scafarto: «Buongiorno a tutti… Forse abbiamo il riscontro di un incontro tra Romeo e Tiziano Renzi. Ieri ho sentito a verbale Mazzei, il quale ha riferito che il Romeo gli ha raccontato di aver cenato o pranzato (non ricordava) con Tiziano e Carlo Russo».

È una circostanza per la quale va trovato un riscontro. Che Scafarto individua in una conversazione ambientale di cui dà gli estremi ai suoi uomini.
Scafarto: «Remo, per favore, riascoltala subito. Questo passaggio è vitale per arrestare Tiziano (Renzi ndr.). Grazie. Attendo trascrizione».

“BOCCHINO? ASCOLTA BENE” Passano delle ore e Scafarto non riceve quello che ha chiesto. Scafarto: «Remoooooooo, hai trovato quel passaggio che dicevo?».

Il carabiniere risponde con sincerità: «Sto trascrivendo. Ho trovato quel passaggio e sembra che sia Bocchino che dica quella frase». A Scafarto è una risposta che non piace affatto. Che a incontrare Tiziano Renzi sia stato Bocchino non ha nessun significato. Conta solo che lo abbia fatto Romeo e lo confessi parlandone. Dunque, insiste: «Ascolta bene e falla ascoltare pure a qualcun altro». Il militare rincula: «Già fatto e siamo giunti alla conclusione che c’è Bocchino che, abbassando il tono della voce, dice quella frase».

Scafarto non si rassegna. Chiede di inviargli il file audio con l’intercettazione. Che avrà. E che, come ormai sappiamo, ignorerà, attribuendo a Romeo le parole di Bocchino. Perché, se non per manipolare consapevolmente la genuinità di una prova?, chiedono a Scafarto i Procuratori che lo interrogano. Il capitano risponde con parole che equivalgono a un’ammissione di colpa: «Non ricordavo questi messaggi, né di aver ricevuto il file audio. Non riesco a darmi una spiegazione di quanto è accaduto».

“INTERCETTIAMO DEL SETTE” Ma, come si diceva, il calvario di Scafarto non finisce qui. Tra le evidenze acquisite dalla Procura di Roma ci sono anche i messaggi che l’ufficiale scambia con il suo superiore gerarchico, il colonnello Alessandro Sessa. Con cui, almeno a partire dal giugno del 2016, condivide ogni informazione dell’inchiesta Consip, avvisandolo dell’opportunità di interrompere ogni flusso di informazioni verso la catena gerarchica superiore. In particolare, al capo di Stato Maggiore Gaetano Maruccia e al Comandante generale Tullio Del Sette, che per altro Sessa disprezza («Fichissimo», gongola, quando Scafarto lo informa che l’ad di Consip Luigi Marroni lo accusa di essere stato l’uomo che gli ha rivelato l’esistenza di un’indagine a Napoli).

Perché — ricostruiscono le evidenze raccolte dalla Procura — così gli ha chiesto il pm Woodcock, minacciando di «far passare un guaio» a chi dovesse fare uscire qualcosa. Anche Sessa incontra Woodcock. E anche lui ne esce catechizzato ma, soprattutto, convinto che l’indagine abbia appunto
due “nemici interni”. Maruccia e Del Sette. Al punto di discutere con Scafarto dell’opportunità di intercettarli con delle ambientali nei loro uffici al comando Generale. Non è chiaro se “abusivamente” o con l’autorizzazione di un pm o di un gip.