Davigo smentito dall’intera magistratura italiana. Ma il Fatto nasconde la notizia
Vorremmo ricordare agli amici del Fatto che l’organo di autogoverno dei giudici – non il signor Legnini – ha seccamente preso le distanze dal neopresidente dell’Anm
Oggi dobbiamo essere delicati e caritatevoli nel rivolgerci a Marco Travaglio: per lui è un giorno di particolare sofferenza. Il brillante Piercamillo Davigo è stato smentito, criticato, isolato e costretto ad un’imbarazzante smentita dall’intera magistratura italiana. E, come se non bastasse, non per l’autointervista di giovedì al Fatto firmata dal suo segretario Travaglio, che nessuno s’è filato, ma per quella di venerdì al Corriere firmata da un giornalista vero, Aldo Cazzullo. Insomma, un completo disastro.
Per rimediare, che c’è di meglio di una sistematica falsificazione dei fatti? Così, in prima pagina il giornale di Travaglio e Davigo titola bellicoso: “Il re è nudo: il leader Anm ricorda che i politici rubano ancora. Legnini e i renziani contro Davigo”. Giovanni Legnini, vorremmo ricordare agli amici del Fatto, non è un passante intervistato per strada, ma il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, e le sue dichiarazioni (le parole di Davigo “rischiano di alimentare un conflitto di cui la magistratura e il Paese non hanno alcun bisogno”) sono state concordate con il Capo dello Stato, nonché presidente del Csm. La notizia, dunque, è un’altra e ben più forte: l’organo di autogoverno dei giudici – non il signor Legnini – ha seccamente preso le distanze dal neopresidente dell’Anm.
Quanto ai “renziani” additati al pubblico ludibrio nel titolo di prima pagina, fatichiamo a individuarne i nomi. È forse renziano Edmondo Bruti Liberati, ex procuratore di Milano? (“Non esiste una magistratura buona contro un’Italia di cattivi: vederla così è in linea di principio sbagliato. È essenziale è che l’Anm non esca dal suo ruolo. Non ci siamo quando si dice o si fa capire che può essere la magistratura a risolvere questioni di costume o di etica pubblica”). O è renziano Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità anticorruzione? (“Non si rivolve tutto con le manette. Anche la magistratura ha le sue colpe. Dire che tutto è corruzione significa dire che nulla è corruzione”). O magari è renziano Nicola Gratteri, neoprocuratore di Catanzaro? (“Se si dice che sono tutti ladri, facciamo il gioco dei ladri”). Oppure il renziano è Luca Palamara, ex presidente dell’Anm? (“Le generalizzazioni non mi piacciono”).
La Caporetto dei giustizialisti non poteva essere più clamorosa. Ai lettori del Fatto la notizia purtroppo è stata nascosta: ma è anche vero che sono sempre di meno.
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