sabato 28 novembre 2015

Quando l'Europa usa il pugno di ferro contro la Russia, secondo Salvini sbaglia. Quando il democratico Putin dell'ex KGB usa il pugno di ferro contro la Turchi va bene. Complimentai Salvini per la competenza nel giudicare la politica internazionale.

Pugno duro di Putin contro Ankara: stop a charter e lavoratori

 ESTERI
  
Pugno duro di Putin contro Ankara: stop a charter e lavoratori
(Afp)
Cancellati i voli charter fra Russia e Turchia, bando all'impiego di cittadini turchi a partire dal primo gennaio(i turchi che lavorano in Russia sono 87mila secondo i dati ufficiali del governo), bando o restrizioni sulle importazioni a prodotti turchi e bando o restrizione all'attività di compagnie turche (è il governo a definire gli elenchi dei prodotti e dei settori colpiti), rafforzamento dei controlli nei porti sul Mar Nero, sui trasporti su gomma turchi che operano in Russia e sugli aerei turchi diretti in Russia, bando alla vendita, da parte di tour operator russi, di pacchetti turistici per la Turchia. E dal primo gennaio viene sospeso l'accordo bilaterale sui viaggi dei turchi in Russia, il regime di esenzione dai visti.
Sono le misure "per la sicurezza nazionale e per la protezione dei cittadini russi da azioni criminali e illegali e l'applicazione di misure economiche straordinarie nei confronti della Turchia", contenute nel decreto che il presidente russo Vladimir Putin ha firmato questa sera, di cui danno notizia le agenzie russe, in risposta all'abbattimento del Sukoi 24 sui confini siriani da parte delle forze turche.

In Italia non conta proprio il merito. O si va avanti per dinastie o con una tessera di partito o con una tessera di sindacato. Al nord come al sud.

110 e lode a 28 anni non serve a nulla? Nemmeno a 21, in Italia

Poletti: «Meglio laurearsi con 97 a ventun anni». Certo, ma anche in quel caso la laurea è un investimento a perdere

THIERRY CHARLIER/AFP/Getty Images

26 Novembre 2015 - 18:46
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«Prendere 110 e lode a 28 anni non serve a un fico, è meglio prendere 97 a 21». Parole sante, quelle del ministro del lavoro Giuliano Poletti rivolte agli studenti. Peccato però, che si sia fermato lì, nella sua analisi. Perché i dati del rapporto Ocse, Education at a Glance 2015, cui Linkiesta ha dedicato un'ampio commento dell'ottimo Thomas Manfredi, raccontano qualcosa di più.
Ad esempio, che anche laurearsi con 97 a ventun anni non è che sia un grande affare, visto che il tasso di occupazione dei nostri laureati - tutti i laureati - è di venti punti più basso a quello di Francia e Germania e inferiore addirittura rispetto a quello greco. 
O, ancora, che l'Italia è uno dei pochi Paesi europei - anzi, l'unico tra i Paesi sviluppati - in cui il tasso di occupazione dei diplomati è più alto di quello dei laureati. 
O, di nuovo, uno dei pochi Paesi in cui essere giovani vuol dire avere salari quasi sicuramente più bassi rispetto a quelli di un lavoratore anziano, nonostante si ripeta a ogni convegno che oggi è più importante possedere saperi innovativi, anziché avere una grande esperienza.
Insomma, se Poletti non si fosse fermato lì, a quella piccola verità da genitore infastidito dal figlio fuoricorso, forse avrebbe compreso che il problema è anche un po' suo. Perché se in Italia avere una laurea - e tantomeno un voto alto di laurea, cosa che peraltro avviene quasi sempre: il voto medio di una laurea magistrale in Italia, Paese di geni, evidentemente, è di 107,5 - non vale nulla, è colpa anche di un mercato del lavoro che non premia la conoscenza. Che attrae soltanto figure sotto-istruite e sotto-qualificate. Che dà scarso peso e altrettanta importanza ai saperi innovativi. E che quando glieli dà, li sottopaga.
Probabilmente ha ragione, ministro Poletti. I giovani italiani sono dei bamboccioni che amano i libri e rifuggono quanto più possibile il lavoro. Però, d'altro canto, è anche vero che - a torto o a ragione - il mercato del lavoro che rifugge quanto più possibile i laureati. E questo non è un problema dei fuoricorso, ma di chi governa il Paese.

Salvini avrebbe detto: "Prima gli italiani".

Un italiano investe una 22enne senegalese e scappa. E la notizia non c’è. Facciamo schifo

24/11/2015 - di 

Un italiano investe una 22enne senegalese e scappa. E la notizia non c'è. Facciamo schifo
Non abbiamo speranza. Inutile sperare di essere un paese civile, o di diventarlo, inutile immaginare un futuro migliore, se anche di fronte alla violenza, a una vita che si sta spegnendo, siamo così cinici, faziosi e intellettualmente scorretti.
E lo dico da giornalista. Perché questa volta sono i media i primi – cronologicamente – ad aver tradito la loro missione. Già perché proprio giornali e affini hanno pensato bene di ignorare – escluse un pugno di testate locali – un atto criminale. Una giovane donna è stata investita da un uomo di mezza età. Con un camper. Lui l’ha lasciata agonizzante sul ciglio della strada e per 15 ore quel corpo agonizzante non è stato notato da nessuno, perché lui ha compiuto uno dei delitti più imperdonabili, l’omissione di soccorso e perché non ci sono luci su quel tratto di strada. E ora S.F., 22 anni e residente a Osnago, che sulla provinciale 55 a Robbiate, sempre in provincia di Lecco, ha trovato un colosso a quattro ruote che l’ha abbattuta, combatte per rimanere in vita.
Era sabato, l’orrore è stato scoperto solo domenica mattina. Ma oggi, sfogliando i giornali non lo troverete. Non nelle prime pagine, di sicuro. Merita un trafiletto o poco più, al massimo. Oggi, nessuna marcia leghista contro i pirati della strada. Oggi, nessun politico indignato che chiede di rivedere la legge sull’omicidio stradale. Niente, il silenzio. Eppure c’è tutta la narrazione adatta per indignarsi: la giovane vita quasi recisa, mentre tornava a casa dal lavoro, il cinico guidatore che la investe colpendola in pieno con lo specchietto e che poi scappa. Lasciando lì quell’appendice letale con cui la polizia lo ha rintracciato (già, il bastardo neanche si è costituito). Ma nulla. Ci sono corpi su cui neanche gli avvoltoi della tv del dolore, del giornalismo che si eccita all’odore del sangue, della politica intrisa di demagogia e populismo, si fiondano.
Perché sono corpi di serie B. 
Non ci siete arrivati? Vi diamo un indizio. Il maledetto assassino non è straniero. Non è un rom. Non è un “neggher”. Non è un immigrato clandestino. Neanche un rifugiato. Non viene neanche da un paese comunitario, magari sfigato.
E’ un italiano. Un brianzolo, di Cornate d’Adda (per 24 ore i carabinieri gli hanno dato una caccia serrata, loro almeno non l’han considerata una vittima di secondo piano, S.F.). E vi pare che Libero possa titolare, che so, “bastardi brianzoli”? E poi Belpietro spiegarci che non ce l’ha con Monza e dintorni, ma solo con i figli di nessuno di quella provincia. Ve lo vedete Salvini urlare in tv contro i lombardi senza cuore? E infine i Tg lanciare il primo servizio con un urlato “Brianzolo investe una giovane donna e scappa”. Voi mi direte, cosa c’entra la provenienza? Cercate su google: in caso di non italiani, gli assassini vengono SEMPRE definiti con la loro nazionalità.
Bene, ma il fatto che sia uno dei “nostri” non basta. Il nostro non è diventato un mostro per un motivo ancora più semplice: lei, pur avendo parenti e amici a Lecco e provincia, è di origini senegalesi. Ecco il segreto. Lei è di colore, è un’africana. C’è chi, sui social, ha persino osato scrivere “sei nera, di notte, in una strada buia: non poteva vederla”. 
Che razza di paese siamo? Neanche i morti sono tutti uguali. ‘A livella di Totò: pensavamo, un tempo, fosse la poetica constatazione di un genio del fatto che l’unica uguaglianza si raggiunge da cadaveri. Ma proprio il Principe della risata, in quella meravigliosa opera d’arte, chiudeva con l’amara ammissione che no, neanche lì, siamo tutti uguali. Questo fatto di cronaca è stato ignorato perché quella povera donna che rischia di morire non vale abbastanza nell’economia politica, mediatica e umana di quest’Italia. Uno dei maggiori quotidiani ha titolato “Investe ragazza col camper e fugge. Trovata dopo 15 ore: preso pirata”. Sì, non ci sono gli aggettivi brianzolo e senegalese. Una lezione di giornalismo, se non fosse che in caso fosse stato il contrario, lo spazio per quelle due parole sarebbe stato trovato.
Facciamo schifo. Noi cittadini che non ci indigniamo abbastanza per quella lavoratrice travolta e che questa volta non marciamo. Noi giornalisti che non troviamo spazio e voglia per raccontarla e darle la dignità che consegnamo a chi ha la nazionalità giusta. I politici, con e senza felpa dedicata a ogni città del nord (aspettiamo quella rosso sangue con su cucito a caratteri cubitali “Cornate d’Adda”). 
Sapete che c’è? S.F., trovata semiassiderata e con lesioni gravissime, dopo una notte all’addiaccio, è una vittima che merita la stessa attenzione di italiani e italiane che vengono uccisi o feriti a morte dai pirati della strada. E quelli di serie B, semmai, siamo noi. Popolo di avvoltoi a comando.

Questa iniziativa fa impazzire gli assassini dell'ISIS.

#OpIsis, hackerato sito filo jihadista

Un gruppo vicino a Anonymous attacca un sito vicino all'Isis. E sostituisce la home page.

27 Novembre 2015
Aveva dichiarato guerra all'Isis, oscurando 5.500 account Twitter legati al Califfato. Ora un gruppo di hacker legato ad Anonymous - il GhostSec - ha hackerato un sito pro-jihad nel deep web sostituendo la home page con la pubblicità di una farmacia online.
«Lavora sulla tua calma», recita l'annuncio, «troppe persone sono invischiate in questo affare dell'Isis. Possiamo migliorare la nostra piattaforma per offrire allo Stato Islamico i contenuti di cui ha disperatamente bisogno».
Il tutto accompagnato dal link di una farmacia online ( i pagamenti possono essere effettuati con bitcoin): con un clic è possibile procurarsi Prozac e Viagra.



 
Un annuncio che non stupisce, visto che la paga di un jihadista arruolato nell'Isis consiste in 100 dollari al giorno, droghe chimiche e pure qualche pasticca blu.

Erdogan dovrebbe essere il nostro alleato contro l'ISIS.

Ucciso Tahir Elci, capo degli avvocati curdi di Diyarbakir in Turchia. Erdogan attacca il PKK, scontri a Istanbul

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Neanche i turchi accettano la morte dell'avvocato curdo Tahir Elci ucciso nel sudest della Turchia, in una sparatoria che è stata filmata e le cui immagini hanno fatto il giro del mondo. In Turchia esponenti dei maggiori partiti, intellettuali, professori universitari, giornalisti, hanno gridato il loro sdegno nei confronti di un uccisione che ha tutta l'aria di una ritorsione contro le posizioni anti governative di Elci. Ma l'eco di questo delitto, che rischia di infiammare ulteriormente il conflitto curdo, va oltre. L'ambasciatore Usa ad Ankara, John Bass, si dice "scioccato e profondamente addolorato" per l'uccisione di quello che definisce un "campione di quanti cercano un futuro in cui i cittadini possano vivere in pace e dignità". L'Unione delle associazioni degli avvocati turchi si reca in massa a Diyarbakir.
Elci era a processo in Turchia per aver detto in tv che il Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk) non è una organizzazione terroristica, come il governo la definisce. Tuttavia, ne denunciava le violenze. L'ambasciata Usa dopo la sua morte l'ha definito un "coraggioso difensore dei diritti umani". Intanto, nell'area di Diyarbakir è stato dichiarato il coprifuoco. Da quando a luglio è collassato il cessate il fuoco tra Pkk e Ankara, si è riacceso il conflitto che dal 1984 ha ucciso 40mila persone.
A Istanbul 2mila persone hanno risposto radunandosi in piazza Taksim, dove la polizia ha sparato gas lacrimogeni e cannoni ad acqua per disperderle. "Spalla a spalla contro il fascismo", urlavano i dimostranti, e "Tahir Elci è immortale". L'avvocato, secondo il gruppo politico, era stato preso di mira dal partito Akp al governo e dai suoi media. Per il premier Ahmet Davutoglu, però, non è chiaro se Elci sia stato assassinato oppure se sia stato colpito nel fuoco incrociato.
Riprese televisive hanno mostrato poliziotti in borghese sparare ripetutamente contro una persona che correva verso Elci. Poi, nel filmato si vedono l'avvocato steso a terra e sangue che pare provenire dal suo capo. I testimoni hanno raccontato che è stato colpito da un unico proiettile, dopo che aveva parlato ai media a Diyarbakir, principale città del sudest curdo. Anche un poliziotto è morto nello scontro a fuoco.
Il premier Ahmet Davutoglu ha detto che, chiunque sia stato a uccidere l'avvocato curdo per volontà oppure colpendolo nello scontro a fuoco, l'obiettivo era chiaro: "L'obiettivo è la Turchia. È un attacco alla pace e all'armonia in Turchia". Ha aggiunto, citato da Hurriyet: se è Elci è stato assassinato, "scopriremo chi è stato". E il presidente Recep Tayyp Erdogan, fondatore del partito Akp, ha colto l'occasione per riaffermare che questo episodio dimostra che Ankara ha ragione nella sua "determinazione a combattere il terrorismo".
L'appello dei reporter turchi Intanto proprio alla vigilia del summit tra Ue e Turchia a Bruxelles è stata resa pubblica una lettera aperta ai leader Ue per chiedere di non chiudere gli occhi sulle "pratiche che violano i diritti umani e la libertà di stampa» della Turchia in cambio di un accordo sulla crisi migratoria. A inviarla dal carcere di Silivri a Istanbul, dove vengono detenuti da giovedì sera, sono Can Dundar ed Erdem Gul, direttore e caporedattore di Cumhuriyet, quotidiano di opposizione.
"Il primo ministro della Turchia, che incontrerete questo fine settimana, e il regime che rappresenta sono noti per le loro politiche e pratiche che violano i diritti umani e la libertà di stampa. Speriamo sinceramente che l’incontro produca una soluzione duratura a questo problema".

Concordo perfettamente. Un articolo da far leggere a Salvini e Santanchè.

Succede in Colorado. Attendiamo il titolo di Libero: "Bastardi cristiani" e l'editoriale di Pigi Battista in cui si chiede ai cristiani moderati di dissociarsi dal pazzo
NEXT QUOTIDIANO
Dopo cinque ore da quando ha esploso il primo colpo, l’uomo che venerdì è entrato in un ambulatorio sanitario non profit (Planned Parenthood) ha deciso di arrendersi. Nella sparatoria sono morte tre persone – un agente e due civili – e ne sono rimaste ferite almeno tre. Tutto è iniziato attorno alle 12 di venerdì (ora locale), quando l’uomo di cui non è stata ancora diffusa l’identità, è entrato all’interno della clinica, dove c’è anche un servizio di consultorio, nella città di Colorado Springs, cento chilometri a sud di Denver, in Colorado. Poco dopo sono intervenuti decine di agenti dell’Fbi e delle forze speciali Swat, che hanno cercato di contenere il killer che si era barricato all’interno dello stabile.

L’uomo che uccide tre persone in una clinica per aborti

La polizia non ha ancora fatto sapere quali fossero le motivazioni dell’uomo e neppure se il Planned Parenthood fosse l’obiettivo della sua azione. Dalle foto diffuse dai media americani comunque si può notare che l’uomo è molto alto, con barba e capelli bianchi, di origine caucasica. Nell’area oltre all’ambulatorio c’erano anche una banca e un piccolo negozio di alimentari. Da giorni fuori dall’ambulatorio della città – che ha circa 400.000 abitanti – sono in corso proteste che hanno coinvolto oltre 200 persone. Tuttavia non erano mai diventate violente. Le autorità restano caute e continuano a centellinare le informazioni, così come hanno fatto per tutta la giornata, comprese quelle sull’identità dell’uomo che non viene ancora resa nota. E nulla trapela sul movente che ha portato l’uomo a rimanere barricato per ore. Non è ancora chiaro nemmeno se nel corso dell’assedio il sospetto avesse tenuto persone in ostaggio. Quello che si sa è che è stato localizzato grazie a telecamere di sorveglianza. La paura ha però dominato a lungo, nonostante la massiccia presenza delle forze dell’ordine sul posto fin da subito, appena segnalata poco prima di mezzogiorno ora locale la presenza di un uomo armato nel cuore di una zona commerciale particolarmente trafficata per il Black Friday, il giorno dei saldi. E mentre la neve cominciava a fioccare copiosa la situazione veniva descritta come ancora “attiva” ore dopo con spari che continuavano ad esplodere. Ad accrescere ancora la tensione la natura del luogo al centro dell’assedio: si tratta di una sede del programma noto come ‘Planned Parenthood’, di fatto una struttura medica dedicata alla pianificazione familiare e che e’ spesso bersaglio delle critiche di movimento ‘pro vita’, in quanto pratica aborti. E’ anche regolarmente al centro di accesi scontri tra esponenti politici, tra chi difende la validità del programma e chi lo addita come illegittimo, tra questi ultimi principalmente conservatori repubblicani.

Planned Parenthood nella campagna elettorale americana

Un tema ricorre anche nei dibattiti tra i candidati nella corsa per la Casa Bianca in vista per le presidenziali 2016, con la democratica Hillary Clinton che ha sempre risposto difendendo a spada tratta Planned Parenthood e gli strumenti che fornisce. Appena dato l’allarme la zona era stata dichiarata “non sicura”, facendo scattare una sorta di ‘evacuazione’, con diverse persone costrette ad asserragliarsi nei vicini esercizi commerciali, invitate dalla polizia a rimanere lontane dalle finestre. Da subito tuttavia le informazioni sono risultate frammentarie e anche contraddittorie. Ad un certo punto fonti di Polizia avevano anche riferito che l’individuo armato era stato “contenuto” dando l’impressione che la situazione fosse sotto controllo. Salvo poi cambiare versione e confermare di non aver precisamente localizzato l’uomo e che vi erano ancora sparatorie in corso. Si è parlato anche a più riprese di ostaggi, un elemento sul quale però la Polizia non ha voluto o potuto dare conferme. Così come nulla ha per tutto il tempo rivelato sull’identità dell’uomo, a parte riferire che imbracciava un’arma a canna lunga e nonostante sui social network si moltiplicassero descrizioni con riferimento ad un uomo bianco vestito con un impermeabile. Durante l’assedio il presidente degli Stati Uniti Barack Obama è stato tenuto informato, ha riferito la Casa Bianca.

Facciamo a chi sta più a sinistra e facciamo vincere le elezioni a Salvini?

Laboratorio Roma, gli alambicchi in ebollizione della sinistra-sinistra

Amministrative
Pippo Civati con il deputato Dem Stefano Fassina durante la presentazione della nuova associazione ''Possibile'', Roma, 21 giugno 2015.     ANSA/ETTORE FERRARI
Cosa si muove in vista delle elezioni nella Capitale: Civati, Fassina e Rizzo uno contro l’altro. Oggi l’iniziativa di Francesco Rutelli
Se le elezioni comunali di Roma sono un grande laboratorio, beh, c’è da dire che gli alambicchi della sinistra-sinistra già stanno andando in ebollizione. Ieri, per dire, a Roma c’erano tre iniziative dell’area a sinistra del Pd: una di Stefano Fassina, una di Antonio Ingroia (ricordate?), e la terza – anche se con Roma non c’entra direttamente ma tutto fa brodo – dei vecchi cari giustizialisti di Micromega capitanati da Paolo Flores D’Arcais che come interlocutore stavolta hanno scelto il “braccio sinistro” del M5S Alessandro Di Battista (quello destro è Di Maio, che forse sarebbe più congruente).
Per completare il quadro, segnaliamo che Pippo Civati non appoggerà Fassina come sindaco di Roma, preferendogli il radicale Riccardo Magi; e che infine il supercomunista Marco Rizzo potrebbe anch’egli presentarsi per il Campidoglio (è torinese, infatti si candida anche a Torino), perché, come ha confidato a un amico, “voglio togliere lo 0,3 per cento a Fassina”. Mentre – dulcis in fundo – si aspettano le mosse di Ignazio Marino, che da quando ha litigato col Pd, al quale pure è iscritto, è automaticamente diventato un mito per la sinistra-sinistra.
Un ginepraio nel quale la cosa più sensata appare quella di Fassinafrontman di Sinistra italiana che è il primo a scendere in campo per il dopo Marino: “Ci metto la faccia, propongo la mia candidatura che andrà verificata con le mille realtà dell’associazionismo presente in città”. Non dispera, l’ex viceministro di Saccomanni nel governo Letta, di ricucire con l’estroso Civati, pur dicendosi “stupito” dalla scelta di quest’ultimo di appoggiare l’esponente radicale: “Spero che con Magi si possa fare squadra”.
E mentre sul fronte più radicale si insinua more solito il virus della divisione, c’è chi prova a connettere forze diverse almeno sul piano delle cose da fare con “un’iniziativa per rimettere in campo energie e idee per il centrosinistra”: così ci ha detto Francesco Rutelli, che proprio sull’Unità ha presentato tre giorni fa “La prossima Roma” che si tiene da stamattina al Centro congressi di via Alibert (dietro piazza di Spagna). E’ una riunione alla quale sono previste  presenze importanti, dal prefetto Gabrielli al sociologo Giuseppe De Rita al braccio destro del cardinale Vallini, monsignor Leuzzi, a diversi esponenti del Pd, il succitato Fassina e – last but not least -quell’Alfio Marchini che sarà certamente un protagonista della corsa al Campidoglio, quel Marchini che Rutelli stima ma che non ha intenzione di sponsorizzare. Anche perché – dice l’ex sindaco– “non date retta a chi vi dice ‘ci penso io’: a Roma serve una squadra, una squadra larga”.
Il Pd, con Matteo Orfini, guarda con interesse all’iniziativa: “Purtroppo domani non potrò essere alla importante iniziativa di riflessione organizzata da Francesco Rutelli. Da tempo ho invitato le forze sane che hanno a cuore il destino della città a offrire spunti, riflessioni, idee a un processo di rigenerazione indispensabile affinché la capitale d’Italia posso tornare a essere l’orgoglio del paese”. Per Orfini, è importante che a innescare la riflessione sul futuro della Capitale “sia il protagonista di una delle stagioni di governo più felici che Roma ricordi”.
Insomma, nel campo del centrosinistra qualcosa si muove. E forse nel senso auspicato con qualche rudezza dallo stesso Orfini in un’assemblea di militanti del Pd piuttosto accesa: “Smettiamola di discutere di cazzate sui social”. Ed è inutile dire che il video è andato bene sui social.

Perfettamente d'accordo.

Da Ingroia a Tsipras fino a Grillo, Flores d’Arcais in marcia verso il nulla

Il Fattone
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L’endorsement del direttore di Micromega mette in difficoltà perfino Di Battista
C’è qualcosa di commovente in Paolo Flores d’Arcais, il direttore di MicroMega, qualcosa che ispira tenerezza in chi lo ascolta: come l’omino Duracell è sempre in marcia, con la risolutezza un po’ cocciuta di chi pensa soltanto a sé nella convinzione che il mondo prima o poi si adeguerà, e ogni volta che cambia direzione – il che gli accade molto spesso – è il mondo che ha cambiato verso, mentre lui, impettito, riprende la sua marcia lineare verso il nulla.
Ieri, ci riferisce il Fatto, ha invitato Stefano Rodotà e Alessandro Di Battista alla presentazione del nuovo numero di MicroMega, e per l’occasione si è solennemente dichiarato grillino: “A sinistra non ci sono più corpi da rianimare. I Cinque stelle sono l’unico movimento votabile, e lo faccio convintamente da anni”. Naturalmente non è affatto vero: alle ultime europee Flores è stato fra i garanti della Lista Tsipras, alle precedenti politiche dichiarò di aver votato la “Rivoluzione civile” di Ingroia – due successi clamorosi, davvero difficili da dimenticare. Ma Flores sbianchetta il proprio passato, forse per ingraziarsi il suo nuovo eroe, Beppe Grillo, e convintamente spiega che “c’è solo una forza che rappresenta le istanze di rappresentanza e legalità, ed è il M5s”.
Neppure il cronista del Fatto riesce a rimanere serio, e nel riportare le parole di Flores osserva: “Troppa grazia, per Di Battista”, descrivendolo “con postura da studente rispettoso” ma anche un pochino preoccupato: “Incassa, ma deve fugare subito sospetti di deriva sinistroide”, e dunque ribadisce che “il Movimento è oltre le ideologie, sinistra e destra sono corpi morti”. Ma Flores-Duracell è già in cammino e non c’è modo di fermarlo: “Il M5s non deve essere autoreferenziale, deve passare all’offensiva”. Come? “Raccogliendo migliaia di firme sul web”. Questa Di Battista deve averla già sentita: ma è un ragazzo educato, e aspetta educatamente che il dibattito finisca.

dipocheparole     venerdì 27 ottobre 2017 20:42  82 Facebook Twitter Google Filippo Nogarin indagato e...