sabato 23 maggio 2015

Bravissima Giannini.

Capaci, scuola e magistrati siglano un patto contro la mafia

Il vicepresidente del Csm, e la ministra dell'Istruzione hanno firmato la Cartaper diffondere la cultura della legalità nelle scuole.

Desk2
sabato 23 maggio 2015 16:01


Il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura Giovanni Legnini e la ministra dell'Istruzione, dell'università e della ricerca, Stefania Giannini, hanno siglato oggi, nel giorno del XXIII anniversario delle stragi di Capaci e via D'Amelio, la Carta d'intenti per diffondere la cultura della legalità nelle scuole. Il protocollo d''intesa Miur-Csm, già oggetto di approvazione unanime da parte del plenum del Consiglio nella seduta di mercoledì 20 maggio, si propone la finalità di promuovere la cultura della legalità e della giustizia nelle scuole e la conoscenza del lavoro quotidiano della magistratura, attraverso un programma pluriennale di attività e di percorsi educativi da sviluppare con il ministero dell'Istruzione, dell'università e della ricerca. 
Si tratta, osserva Legnini, di "un accordo di grande valore, perché, come diceva Antonio Caponnetto, la mafia teme di più la scuola della giustizia. Figuriamoci se scuola e giustizia si mettono assieme". Nella nota del ministero si sottolinea inoltre: "L'innovazione contenuta nella carta d'intenti Miur-Csm consiste nel rendere permanente e strutturato l'impegno dei magistrati con le scuole italiane, autorizzando gli stessi a programmare le attivià con i dirigenti scolastici, sulla base degli indirizzi che saranno definiti da un apposito comitato".

Per il nostro grande politico Salvini Putin è un leader di tutto rispetto. Non ha ancora compreso che se governasse l'Italia Salvini non potrebbe andare in giro con il tablet nel quale gli scrivono quello che deve dire.

Ecco la pazza idea di Putin su Google, Twitter e Facebook

23 - 05 - 2015Alma Pantaleo
Ecco la pazza idea di Putin su Google, Twitter e Facebook
Il “watchdog” dei media russo, il cosiddetto Roskomnadzor, ha inviato una lettera a GoogleTwitter e Facebook mettendoli in guardia contro l’avvenuta violazione delle leggi che riguardano il web e un portavoce dell’ente governativo ha dichiarato, proprio giovedì scorso, che i “big” della rete rischiano di essere bloccati se non rispettano tali regole. Una mossa, questa, che sta sollevando molte polemiche tra gli anti-Putin, che gridano già alla “censura”.
LE RAGIONI DELLA RUSSIA
«Nelle nostre lettere ricordiamo regolarmente (alle aziende) quali sono le conseguenze della violazione della normativa», ha spiegato il portavoce del RoskomnadzorVadim Ampelonsky. Aggiungendo che, a causa della tecnologia crittografica utilizzata dalle tre aziende, la Russianon ha modo di chiudere i siti web incriminati ma ha possibilità di oscurare solo i singoli contenuti che di fatto violano la legge, bloccando l’accesso a tutti i loro servizi.
Per rispettare la legge, le tre imprese devono consegnare i dati sui blogger russi che contano più di 3.000 lettori al giorno e chiudere i siti web che il Roskomnadzor ritiene contengano incitazioni alla «protesta non autorizzata e ai disordini», ha specificato Ampelonsky. «Ci rendiamo conto che (GoogleTwitter e Facebook ndr.) sono registrati sotto la giurisdizione degli Stati Uniti. Ma credo che in questo caso debbano dimostrare lo stesso rispetto nei confronti della legislazione nazionale», ha dichiarato. Se le aziende non prestano attenzione alle richieste del governo russo per quel che riguarda i dati, ha aggiunto, «saremo costretti ad applicare necessariamente delle sanzioni».
PUTIN VS. LIBERTÀ D’ESPRESSIONE 
Vladimir Putin, ex spia del KGB, una volta ha definito internet come un «progetto della CIA», rimarcando la profonda diffidenza che c’è tra Mosca Washington, i cui rapporti sono tutt’oggi molto tesi. Alla fine dell’anno scorso, il leader del Cremlino aveva promesso che non avrebbe messo internet sotto lo stretto controllo del governo, ma i critici vedono l’approvazione delle leggi riguardanti internet e il web come parte di un disegno – iniziato nel 2012, quando Putin è tornato al potere per la terza volta – volto a fare un giro di vite sulla libertà di espressione. Una legge approvata lo scorso anno, per esempio, dà agli inquirenti russi il diritto di bloccare siti web che contengano informazioni su proteste popolari, anche senza una sentenza della Corte.
LA VERSIONE DI FACEBOOK
In altre normative, i blogger con largo seguito devono passare attraverso una procedura di registrazione ufficiale e la loro identità deve essere riconosciuta e confermata da un ente governativo. Facebook ha spiegato che, nel suo caso, risponde alle richieste del governo rispetto ai dati dei suoi utenti in riferimento alla conformità con le politiche aziendali, le leggi locali e si accerta che soddisfino gli standard internazionali del processo legale.
DATI E CIFRE SULLA TRASPARENZA DEI GIGANTI DEL WEB
Un sito web, che si occupa di pubblicare le statistiche sulla gestione delle richieste di dati da parte di Facebook, mostra come quest’ultimo ne abbia respinte due inviate dal governo russo, lo scorso anno. E che, d’altra parte, ha risposto a quasi l’80% delle oltre 14.000 richieste effettuate dai tribunali statunitensi, dalla polizia e dagli enti governativi, nel secondo semestre del 2014. Twitter, dal canto suo, ha registrato un tasso di risposta più o meno simile negli Stati Uniti, ma ha respinto ben 108 richieste del governo russo nella seconda metà dello scorso anno, stando ai dati presenti nel rapporto sulla trasparenza della società.
Nella relazione semestrale sulla trasparenza, Google ha dichiarato, invece, di aver fornito «alcune informazioni» sugli utenti, rispondendo al 5% delle 134 richieste del governo russo effettuate nella seconda metà del 2014. Anche in questo caso, molto meno rispetto agli Stati Uniti. L’azienda dice, inoltre, di essere conforme alle richieste che seguono procedure giuridiche riconosciute e le politiche di Google.

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Povera Italia.

Pensioni, l'Italia spende 4 volte di più che per la scuola

Siamo al penultimo posto in Europa per investimenti nell'istruzione

Pensioni, l'Italia spende 4 volte di più che per la scuolaRoma, 23 mag. (askanews) - L'Italia ha la spesa pensionistica più elevata d'Europa (il 16,8% del Pil pari a poco meno di 270 miliardi di euro all'anno), mentre è al penultimo posto negli investimenti per l'istruzione (il 4,1% del Pil, che equivale a 65,5 miliardi di euro all'anno). In questo settore solo la Spagna presenta uno score peggiore dell'Italia (4% del Pil). E' quanto rileva uno studio della Cgia di Mestre. La spesa pensionistica italiana è dunque 4 volte superiore a quella scolastica. Nessun altro Paese dell'area dell'euro presenta uno squilibrio così evidente. Nell'area Ue, le pensioni costano mediamente solo 2,6 volte l'istruzione, in Francia 2,7 volte, mentre in Germania 2,5. In Italia tra il 2003 e il 2013 la spesa pensionistica sul Pil è aumentata di 2,6 punti percentuali, attestandosi a quota 16,8 per cento: è il record europeo, con oltre 4 punti percentuali in più della media registrata nell'area dell'euro. In termini assoluti il costo per le nostre casse pubbliche nel 2013 è stato di 269,89 miliardi di euro. In Italia ci sono circa 16 milioni e mezzo di pensionati, contro i 18,4 milioni presenti in Francia e i 23,5 residenti in Germania. Tuttavia, se rapportiamo il numero di pensionati al numero di occupati, il nostro Paese presenta l'incidenza più elevata di tutta l'Europa: 74,3 per cento. A fronte di una media continentale del 63,8 per cento, in Francia il dato si attesta al 72,4 per cento e in Germania al 61,6 per cento. Sempre tra il 2003 e il 2013, la spesa per la scuola è scesa dello 0,5 per cento. Solo l'Estonia ha tagliato più di noi (0,6 per cento del Pil). In valore assoluto investiamo 65,5 miliardi di euro all'anno che corrispondono al 4,1 per cento del Pil. Come dicevamo più sopra, solo la Spagna presenta un risultato peggiore del nostro (4 per cento), mentre la media dell'area dell'euro si attesta al 4,8 per cento. Il Paese che spende di più è il Portogallo (6,8 per cento del Pil), mentre la Francia investe il 5,5 per cento e la Germania il 4,3 per cento del Pil. Int

Riceviamo e pubblichiamo.

In questo momento centinaia di persone stanno segnalando la pagina Facebook di Salvini

May 23, 2015
di Redazione

Grab via Facebook.
Due settimane fa, la pagina Facebook di Matteo Salvini è stata assalita da centinaia di immagini di gattini. Era parte dell'evento Facebook "Gattini su Salvini", e a fine giornata si contavano migliaia di persone immotivatamente entusiaste, decine di utenti bannati dalla pagina e una controiniziativa leghista per appropriarsi della "foto con gatto."
L'obiettivo era molto semplice: contrastare i "toni accesi su 'tortura' e fucilate" di Salvini con immagini "pucciose", e da allora gli organizzatori dell'evento hanno tentato di replicare il successo—senza riuscirci—prendendo di mira prima Beppe Grilo e poi Vittorio Sgarbi.
Perché, come dimostrato da altri eventi Facebook come " Spianare casa di Salvini con una ruspa" e "Raccolta firme per mandare Salvini a vivere a Beirut", a quanto pare nessuno riesce a mobilitare quanto lui.

Grab via Facebook.
La caratteristica di fondo di questi eventi è la stessa—contestare in maniera ironica e non-violenta quello che è percepito sempre più come il fomentatore numero uno dell'odio razziale e della xenofobia dentro e fuori la politica italiana.
L'ultimo esempio di questa tendenza è l'evento "Bloccare la pagina Facebook a Matteo Salvini", previsto per oggi 23 maggio e che finora ha raccolto più di 40mila partecipanti. Stando alla descrizione della pagina, l'evento vuole "infastidire Salvini per contestarlo senza violenza ma condannando comunque il razzismo e xenofobia di cui Salvini è responsabile."
Nella pratica, in questo momento i partecipanti stanno segnalando la pagina di Salvini per contenuti razzisti e incitamento all'odio con la speranza ultima, si legge, di "buttarlo fuori a calci in culo!!!!"
Fin da ieri sull'evento, oltre ai messaggi di chi promette di segnalare e chi dice di averlo già fatto, ci sono svariati fan di Salvini e della Lega Nord che criticano l'iniziativa sostenendo che l'evento vada contro la democrazia e il libero pensiero o rivendicandola propria insofferenza nei confronti di rom, clandestini, tasse o politici ladri.

Grab via Facebook.
Dall'altro lato, invece, c'è chi si oppone questo tipo di mobilitazione per il rischio di sostituire una contestazione vera e propria alla semplice partecipazione virtuale che non va più in là dello sforzo di premere il tasto "segnala" o cercare la foto più originale con dentro un gatto.
Nel frattempo, la reazione di Facebook non è così certa: se infatti da una parte quella di Salvini è una pagina "istituzionale" collegata alla sua attività di uomo politico, è indubbio che molti dei contenuti da lui veicolati possano incitare all'odio razziale. Quanto successo finora, però, può far intuire il risultato. 
Resta solo da vedere quale sarà la prossima mossa, da una parte e dall'altra.

Falcone è morto abbandonato da tutti.

http://youmedia.fanpage.it/video/aa/VWBwweSww7jOATif

Al contrario di quello che dice ogni giorno il nostro statista Salvini ...............

EMERGENZA 

Migranti, la Libia: «Distruggere barche è inutile»

Pescatori o scafisti: impossibile distinguerli. Serve un piano regionale arabo. Krer, tecnico della città di Sabratha: «Azione militare in Libia, che errore».

23 Maggio 2015
Sull'attenti per un'azione militare nel Mediterraneo, ma niente i migranti in casa.
Gran Bretagna e Francia sono le teste d'ariete dell'Italia, capofila della missione europea contro i trafficanti di migranti, per ottenere il via libera del Consiglio di sicurezza all'Onu.
Londra addirittura sta aiutando Roma a scrivere la risoluzione, che chiede il ricorso al Capitolo VII della Carta delle Nazioni unite, cioè all'uso della forza.
LA LIBIA DICE NO. Come contro Muammar Gheddafi nel 2011, la Nato è «pronta ad aiutare, in caso di richiesta», per sventare il rischio che sui barconi possano essere infiltrati terroristi islamici.
La Libia, dove più si concentrano i traffici di passeur e scafisti, è il bersaglio dell'operazione, ma non è chiaro se, con un sì dell'Onu, servirà anche il via libera delle autorità libiche.
La missione sul tavolo ha molte forzature. Gli Stati dell'Ue si pongono pronti a partire, pianificando l'intervento prima che la risoluzione internazionale sia approvata e nonostante il no di entrambi i governi libici.
POSSIBILE VETO RUSSO. Un possibile veto della Russia contraria ai raid (i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza all'Onu sono Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Russia e Cina) ha spinto l'Alto rappresentante della Politica estera Ue Federica Mogherini a mitigare i toni.
«Bombardare i barconi» è diventato «distruggere il modello di business degli scafisti». I raid mirati con droni una missione navale, con possibili blitz a terraanti-scafisti.
 

  • Migranti africani rinchiusi nel centro di detenzione di Abu Salim, a Tripoli (Getty).

MATTARELLA POTREBBE DIRE NO. Capo supremo delle Forze armate, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella potrebbe inoltre dire no ad azioni unilaterali comandate dall'Italia.
Anche su questo punto, all'ultima riunione dell'Ue Mogherini è stata più cauta: «L'Ue sta cercando partnership con tutte le autorità libiche rilevanti», ha dichiarato.
Si prova a far leva sul governo internazionalmente riconosciuto di Tobruk (contrario al piano navale), dimenticando che la costa libica da dove per adesso partono più barconi è quella occidentale, da Tripoli a Zuara, controllata dagli islamisti al governo di Tripoli, egualmente ostili a incursioni straniere.
INTERVENTO REGIONALE. «Il problema della tratta dei migranti in Nord Africa è molto più esteso di come lo si presenta. Non riguarda solo la Libia: per affrontarlo, da parte nostra, occorrerebbe un intervento regionale congiunto delle forze dei Paesi arabi», spiega a Lettera43.it Abu al Qseem Krer, amministratore del Consiglio municipale di Sabratha, tra i centri costieri della Tripolitania da dove partoni i barconi, di fronte a Lampedusa.
Krer precisa di essere un tecnico («per una presa di posizione politica dovete rivolgervi ad altri interlocutori»).
Ma da tecnico spiega con precisione perché, a suo avviso, fare la guerra barconi è inutile e tornare militarmente in Libia pericoloso.
LIBIA 'HUB' AFRICANO DELL'ISIS. Anche perché, stando al Wall Street Journal, dalla Siria i leader dell'Isis hanno inviato in Libia denaro, combattenti e istruttori militari in un numero crescente, per rafforzare la presenza dello Stato Islamico in territorio libico e ampliarne l'influenza. L'obiettivo sarebbe quello di fare del Paese il proprio hub in Africa.
 

  • Sabratha, tra i centri costieri della Tripolitania da dove partoni i barconi.

DOMANDA. Serve distruggere i barconi?
RISPOSTA. Finché un'imbarcazione non è carica non è possibile essere certi che serva per la tratta di migranti e non per pescare. Si rischiano di colpire o i pescatori o i migranti, non credo che l'Ue voglia arrivare a tanto.
D. Da dove arrivano queste navi?
R. In genere sono barche usate dai pescatori, navi libiche. Ma non solo.
D. Alcune vengono acquistate all'estero.
R. In Egitto e in Tunisia, per lo più. La tratta dei trafficanti è una questione molto complicata ed estesa, non interessa solo la Libia. Questo è un altro punto sottovalutato. Dall'Egitto e dalla Turchia, per esempio, sono partiti barconi per l'Italia.
D. Le partenze però si concentrano in Libia.
R. Ma barche e scafisti sono l'ultimo anello della catena. Il territorio di Sabratha non è l'unico della tratta di esseri umani. Distruggendo le navi in un punto, i trafficanti si sposteranno in altre zone.
D. Dove per esempio?
R. Anche fuori dalla Libia. Il flusso non si può sradicare alla fine. I migranti arriveranno sempre in Nord Africa e da lì vorranno comunque andare in Europa.
 

  • I principali punti di partenza dei migranti per l'Italia dalla Libia (Corriere della Sera).
     
D. Come intervenire alla radice?
R. Come Sudan, Chad, Niger. La Libia dovrebbe essere in grado di bloccare questi ingressi a Sud. Controllare le nostre frontiere meridionali è centrale.
D. Invece le rotte a Ovest si sono riversate in Libia proprio per i vuoti di controllo nel territorio. Dal Mali, l'Algeria respinge i migranti che poi entrano Libia, verso il mare.
R. Al momento non abbiamo una Marina in grado di pattugliare le coste sul Mediterraneo, è un altro problema. Altrimenti, ripristinando un'autorità centrale, il traffico di migranti potrebbe essere contrastato con un'azione militare congiunta dei Paesi arabi della regione, un piano anche in collaborazione con l'Ue.
D. È al vaglio una risoluzione dell'Onu che includa l'uso della forza. La Nato è allertata. All'orizzonte c'è un nuovo intervento militare in Libia?
R. Sarebbe un grave errore, i libici non vogliono ingerenze militari esterne. Abbiamo rapporti molto buoni con diversi Paesi europei. Con l'Italia, ma anche la Germania, la Spagna, la Francia... Le relazioni si deterioranno, aumenteranno i rischi per le compagnie europee nel Paese.
D. Allude ad attentati o a ritorsioni delle milizie?
R. Non è terrorismo. Ma ci sarà comunque più diffidenza, gli investitori incontreranno più contrasti. Sarebbe un danno per tutti.

Comunque la pensiate questo è un articolo che dovete leggere con molta attenzione.

Pensioni, l’ingiustizia generazionale di un Welfare contro i giovani

22/05/2015 - di 

Il sistema previdenziale è la voce più costosa della nostra spesa sociale, e solo grazie alla riforma Fornero è diventato finanziariamente sostenibile. Media e classe politica però preferiscono discutere di questo squilibrio, difendendo i diritti dei pensionati 

Pensioni, l'ingiustizia generazionale di un Welfare contro i giovani

Le pensioni

sono di nuovo un tema di grande attualità dopo la sentenza della Corte Costituzionale che ha bocciato il blocco della perequazione degli assegni deciso dal governo Monti nel “Salva Italia”. Una larga parte dei media e dei partiti si sono schierati per il risanamento immediato, e completo, dell’ingiustizia subita dai pensionati che beneficiano di assegni tre volte superiori al minimo. Il punto di vista dei giovani, della sostenibilità del sistema previdenziale così come dell’equità del nostro Welfare è stato però ancora una volta ignorato.
pensioni giovani
Stringer. ANSA
MEDIA E PENSIONI – Numerosi media, in particolare i giornali e le TV che fanno riferimento in diverso modo alla frastagliata galassia berlusconiana, si sono schierati per il rimborso completo dagli assegni previdenziali bloccati dal decreto Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici approvato a dicembre 2011. Il governo Monti, all’epoca appena insediatosi mentre il nostro Paese stava scivolando verso la bancarotta con il tasso di interesse dei Btp intorno al 7,5%, e rendimenti dei titoli a breve termine a livelli leggermente inferiori, decise misure di urgenza sulla più importante voce di spesa del nostro bilancio, le pensioni. L’esecutivo dei tecnici ha cambiato il sistema previdenziale, abolendo le pensioni di anzianità, aumentando l’età per le pensioni di vecchiaia, e introducendo per tutti i futuri recettori il calcolo contributivo al posto del più generoso retributivo. Interventi che sono serviti per contenere l’esplosione della spesa previdenziale e stabilizzare i conti pubblici per i prossimi anni. Per far fronte all’emergenza finanziaria il decreto Salva Italia bloccò la perequazione delle pensioni per gli assegni di importo pari o superiore a 1406 euro lordi.
Una misura equivalente al blocco dei salari dei lavoratori pubblici deciso dallo stesso governo Monti, al fine di contenere il disavanzo degli esercizi di bilancio dal 2012 in avanti. Il blocco delle pensioni, così come l’intera legge Fornero, sono diventate rapidamente molto impopolari, e hanno decretato la rapidissima consunzione della popolarità del senatore a vita ex presidente del Consiglio. In questi anni di rapida riscrittura della storia il sostegno al governo Monti è stato rimosso senza colpo ferire, come mostra anche il sostegno mediatico alla decisione della Corte Costituzionale. Il risarcimento del blocco della perequazione è stato chiesto in maniera compatta da una larga maggioranza dei media, a partire da quelli più vicini al centrodestra. Il giornalista economico di Panorama Marco Cobianchi ha rimarcato come l’unica fascia d’età in cui i quotidiani siano più letti della media sia quella superiore ai 60 anni. I giornali cartacei si sono schierati dunque a favore dei loro lettori, con la stessa logica dei sindacati che si battono per i diritti dei pensionati, loro blocco di iscritti più significativo, dimenticandosi spesso quali siano gli interessi dei lavoratori, in particolare dei più giovani.
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SPESA PREVIDENZIALE – L’Italia è il Paese industrializzato con la più alta percentuale di spesa pubblica in pensioni, secondo una ricerca dell’Ocse diffusa a fine 2014. Il nostro Paese spende il 31,9% del totale della spesa statale in questa voce, di gran lunga la posta più corposa del nostro bilancio, come rilevato dal rapporto dell’Ocse pubblicato a fine 2014. L’erogazione delle pensioni, nel consuntivo 2014 inserito nel Documento di economia e finanza approvato poche settimane fa, è costata poco meno di 257 miliardi di euro, il 15,9% del Prodotto interno lordo.
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Screenshot del Documento di economia e finanza 2015
Per il 2015 e gli anni successivi il governo Renzi stima spese leggermente superiori in termini assoluti, a ritmo di aumenti di circa 3 miliardi di euro l’anno fino al 2016 e poi di circa 8 dal 2017 al 2019. La crescita prevista dal governo ridurrebbe la spesa in relazione al Pil. Questi calcoli sono stime, particolarmente incerte per quanto riguarda la creazione di ricchezza misurata dal Prodotto interno lordo, ma confermano come la spesa previdenziale rimarrà anche nei prossimi anni la voce di bilancio di gran lunga più rilevante e sostanzialmente incomprimibile al di sotto del 15% del Pil. La spesa previdenziale costa 100 miliardi di euro in più rispetto ai salari erogati dallo Stato a tutti i dipendenti pubblici, e 150 miliardi in più rispetto a quella per la tutela sanitaria.
pensioni giovani
Screenshot del Documento di economia e finanza 2015
Come si nota da questo grafico del Def, la curva è salita verso l’alto in modo piuttosto ripido a partire dal 2010, per poi stabilizzarsi nel 2015 e gradualmente scendere fino al 2030. L’aumento degli anni scorsi è stato generato dal crollo del Pil seguito alla recessione, che ha ridotto le risorse complessive generate dalla nostra economia. La stabilizzazione della spesa previdenziale su un valore comunque molto alto come il 16% del Pil è stato determinato, come rimarca anche il Def, grazie i risparmi generati dalla riforma Fornero.
A partire dal 2015-2016, in presenza di un andamento di crescita più favorevole e di un rafforzamento del processo di innalzamento dei requisiti minimi di accesso al pensionamento, il rapporto fra spesa pensionistica e PIL decresce per un periodo di circa quindici anni, attestandosi al 15 per cento in prossimità del 2030, per l’effetto del contenimento esercitato sia dall’innalzamento dei requisiti di accesso al pensionamento che dall’introduzione del sistema di calcolo contributivo, i quali superano abbondantemente gli effetti negativi indotti dalla transizione demografica.
WELFARE SBILANCIATO – Dalla sua approvazione la riforma Fornero è stata oggetto di diversi interventi di correzione su uno dei suoi punti più controversi, i cosiddetti esodati. Il brusco innalzamento della età di vecchiaia e ristrutturazioni aziendali effettuate in buona parte con lo strumento dei prepensionamenti ha creato un problema rilevante, con decine di migliaia di lavoratori senza più sussidi sociali dopo aver perso la propria occupazione, e troppo giovani per andare in pensione. Dalla fine del 2011 a ora sono state introdotti sette interventi di salvaguardia a favore degli esodati, che hanno tutelato poco meno di 200 mila persone. Un aggravio di spesa superiore ai 10 miliardi di euro, che ha solo parzialmente diminuito i risparmi cospicui generati dalla riforma Fornero. Secondo l’INPS l’aumento dell’età pensionabile e il passaggio al contributivo hanno generato una riduzione di spesa di circa 80 miliardi di euro tra il 2012 e il 2021. Nel 2014 si sono quasi dimezzate, da 150 mila a poco più di 80 mila, le pensioni di anzianità erogate rispetto all’introduzione della riforma previdenziale.
pensioni giovani
Screenshot del Documento di economia e finanza 2015
L’ultimo Documento di economia e finanza sottolinea che l’andamento previsto mostra come il processo di riforma del sistema pensionistico attuato nel corso degli ultimi due decenni riesca, in misura sostanziale, a compensare i potenziali effetti di medio-lungo periodo della transizione demografica sulla spesa pubblica per pensioni come anche evidenziato in sede internazionale. Il nostro sistema previdenziale è stato messo in ordine per i prossimi decenni, ma rimane eccessivamente costoso. il cuneo fiscale , la somma delle imposte che gravano sul costo del lavoro, è uno dei più alti tra i Paesi industrializzati dell’area Ocse, e i contributi previdenziali ne rappresentano una delle parte più cospicue. In relazione alla spesa delle pubbliche amministrazioni la spesa per le pensioni assorbe quasi il 70% delle prestazioni complessive, percentuale di circa 10 punti sopra la media europea. Il Welfare italiano è così sbilanciato in modo significativo verso le fasce più alte della popolazione, e il suo funzionamento dipenda da una base piuttosto ristretta di occupati. Secondo l’ultimo rapporto dell’ISTAT sul nostro mercato del lavoro le persone con un’occupazione sono poco più di 22 milioni. Un numero di poco superiore alle prestazioni pensionistiche erogate dall’INPS, che al primo gennaio 2015 sono 18 milioni, a cui andrebbero aggiunte gli oltre 3 milioni e 700 mila assegni per pensioni di invalidità e sociali. Le prestazioni non sono individuali, e l’Istat indicava in poco di meno di 16 e milioni e mezzo il numero totale dei pensionati presenti in Italia.
pensioni-giovani
ANSA / CIRO FUSCO
GIOVANI DIMENTICATI – I numeri relativi al sistema previdenziale italiano indicano quanto il dibattito pubblico, condotto in particolar modo dai leader politici, sia orientato verso le fasce di anziane più età. Una situazione perfettamente coerente con il nostro Welfare. Nel nostro Paese non esistono strumenti universali di sostegno al reddito; i decreti attuativi del Jobs Act in merito alla riforma del sussidio di disoccupazione hanno introdotto novità come Asdi o Dis-Coll, assegni rivolti ai senza lavoro di lungo periodo o a chi ha abbia perso un contratto a progetto, ma hanno dotazioni finanziarie scarse e incerte. Senza questo tipo di sostegno al reddito la liberalizzazione del mercato del lavoro e i cicli aziendali accelerati dalla globalizzazione renderanno ben poco stabile la vita di milioni di persone. Una circostanza già subita dalla generazione dei nati negli anni settanta, e che si accentuata a causa della lunga recessione attraversata dall’Italia negli ultimi anni. Servirebbero ingenti risorse per trasformare il Welfare e adattarle alle esigenze dell’economia, ma manca la volontà politica, ulteriormente indebolita dalla crisi scoppiata a fine 2008 e non ancora finita. La riduzione della spesa previdenziale potrebbe e dovrebbe essere la via principale per adottare una spending review efficace e capace di generare risorse, per tagliare il carico fiscale che disincentiva il lavoro così come per finanziare forme di Welfare più adatte all’economia italiana. Il nostro Stato sociale è iniquo verso i giovani, ma allo stesso modo non si può negare come la maggior parte delle pensioni abbia importi modesti. Secondo i dati dell’Istat nel 2013 l’importo medio annuo delle pensioni è stato pari a 11.695 euro . Il 33,7% delle pensioni è di importo mensile inferiore a 500 euro (incidendo per l’11,1% sulla spesa pensionistica complessiva) e una quota analoga (32,4%) raggruppa le prestazioni con importo tra i 500 e 1.000 euro. Al crescere degli importi diminuisce la quota dei trattamenti erogati: il 23,4% dei trattamenti ha un importo compreso tra 1.000 e 2.000 euro mensili, il 7,6% tra 2000 e 3000 euro, il 3,0% supera i 3.000 euro mensili. Come ha rimarcato l’economista Sandro Brusco in un’analisi pubblicata su Noise from Amerika, ciò non toglie che i pensionati abbiano beneficiato in questi anni di aumenti di reddito superiori a quelli ottenuti dai lavoratori dipendenti.
Nel 2006 il reddito medio equivalente dei pensionati era pari alla media nazionale, mentre quello dei lavoratori dipendenti era pari al 110%. Nel 2012, il reddito equivalente dei lavoratori dipendenti resta pari al 110% della media nazionale, ma quello dei pensionati è salito al 115%. Oggi in Italia i pensionati ottengono in media un reddito superiore a quello dei lavoratori dipendenti!
La riduzione della spesa previdenziale potrebbe generare risorse significative solo con un intervento a partire dalle pensioni medie, ma l’incostituzionalità di una misura emergenziale come il blocco della perequazione ha ulteriormente diminuito le chance di un simile intervento, già praticamente nulle vista l’assenza di volontà politica.

dipocheparole     venerdì 27 ottobre 2017 20:42  82 Facebook Twitter Google Filippo Nogarin indagato e...