giovedì 24 luglio 2014

Questo atteggiamento di Grasso mi conferma sempre di più che la Boldrini è proprio una grandissima donna, coraggiosa e competente. Che sia Presidente della Repubblica.

Riforma del Senato, la lunga giornata di Grasso: l'amarezza per lo scaricabarile del Pd. E al Colle si discute come uscire dalla paralisi

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C’è un momento nel corso della Giunta per il regolamento in cui il presidente Grasso ha chiara la sensazione che è partito un gioco allo “scaricabarile” da parte di un pezzo del suo partito. Ed è quando i componenti della Giunta, compreso il capogruppo del Pd Luigi Zanda, si rimettono “alle decisioni del presidente” in merito alla questione “voto palese o voto segreto” sugli emendamenti alla riforma del Senato. Quando lo stesso Zanda, poche ore dopo, prende la parola in Aula, in quel momento presieduta da Gasparri, l’intuizione dell’ex magistrato antimafia trova una conferma: “Il presidente Grasso aveva parlato di poteri di armonizzazione. Chiedo alla presidenza se può informare l’aula su tali poteri. Un’ora e mezzo per votare un emendamento ci dice molto su quale è il nostro futuro”. Lo “scaricabarile”, appunto, di cui parlano parlamentari che hanno raccolto una certa amarezza del presidente del Senato.
Un’amarezza tutta politica. Perché, se fosse solo una questione di norme e regolamenti, fanno notare i giuristi che lavorano con la presidenza, tutto si risolverebbe citando l’articolo 133 al comma 4 del regolamento del Senato, letto da Grasso in Giunta: “Sono effettuate a scrutinio segreto le norme sulle minoranze linguistiche”. Perché dunque la Giunta non ha votato rimettendosi nelle mani del presidente? Perché, proseguono le stesse fonti parlamentari, “non c’erano spazi di interpretazione” e tutti hanno lasciato che una decisione scomoda la prendesse la presidenza per poi criticare il presidente”. In parecchi ricordano che ai tempi in cui si doveva decidere la decadenza di Berlusconi – ove c’erano spazi di interpretazione – si votò eccome.

È questa scelta, sui cui Grasso ha riflettuto molto, sapendo sin dai giorni scorsi che si sarebbe scavato un solco col suo partito che il presidente del Senato ha illustrato a Giorgio Napolitano. Perché l’accusa di essere un “frenatore”, a suo giudizio, è davvero infondata. Il rallentamento, è il cuore del suo ragionamento, non è dovuto né al voto segreto sugli emendamenti contemplati dai regolamenti che, in fondo, sono davvero poche. Né all’assenza di contingentamento dei tempi, altro tema su cui sente lo scaricabarile del Pd, visto che, il giorno prima, non è stato chiesto dal Pd in capigruppo. È l’assenza di un “accordo politico” a rallentare le riforme. E quella “paralisi” che preoccupa molto Napolitano: “Un danno per il parlamento” sono le parole che fa trapelare al temine dell’incontro.
Proprio la “paralisi” è l’oggetto del colloquio col capo dello Stato. Per Napolitano non è in discussione quel percorso di riforme che ha ribadito il giorno prima con forza. Ma sul metodo, forse, si deve prendere atto che la linea muscolare non ha portato risultati. Sul tema dell’accordo “politico” pare che i contatti tra Renzi e Grasso non hanno portato a una linea comune. Che cosa si intende per accordo politico? Ad esempio, non far cadere nel vuoto il segnale che ha dato Nichi Vendola all’uscita dal Quirinale: “Se apprezzassimo un cambio di atteggiamento da parte del governo allora noi ovviamente ne trarremmo le conseguenze: non siamo innamorati dell’ostruzionismo”. Parole, pronunciate dopo il discorso sulle riforme di Napolitano che tradotte significano: se accogliete alcuni nostri punti, dei 6000 emendamenti ne facciamo cadere un bel po’ e si va spediti.
Per parecchi nel Pd è questa la linea per accelerare i tempi. E chissà se è un caso che al Colle siano saliti prima Vendola, per pronunciare quelle parole di “apertura” poi Grasso, per un punto sulle riforme. Fa notare un parlamentare del Pd di esperienza: “Ancora una volta il Quirinale è diventato il luogo della mediazione politica. La normalità sarebbe che Grasso e Renzi si parlassero e che si parlassero Renzi e Vendola. Qua invece l’approccio è che Renzi vuole vincere e che la Boschi dice di no per principio ad ogni richiesta delle opposizioni, anche legittime. Così l’ostruzionismo non finisce”.

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