sabato 2 febbraio 2013

Uguale a Maroni, uguale a Berlusconi, Uguale a Mussolini. Dittatura allo stato puro. O la pensi come me o ti distruggo. Solo Marco Travaglio e Scanzi non lo hanno capito. Che giornalisti di gran classe.


Beppe Grillo attacca il mio servizio sul debito del Comune di Parma con le banche, che conterrebbe delle inesattezze talmente gravi da far richiedere la chiusura di tutta LA 7, non solo di Servizio Pubblico. Grillo invita a vedere l’intervista integrale che ho fatto al sindaco Federico Pizzarotti, ma aggiunge queste sue violente considerazioni perché evidentemente non gli basta che il pubblico possa semplicemente limitarsi a guardare l’intervista integrale e confrontarla con il mio servizio. Noi diciamo che è proprio quello che dovete fare, guardare tutte e due le cose: il mio servizio e l’intervista integrale che Pizzarotti ha caricato su YouTube. Non fermatevi al titolo: guardate tutte e due e fatevi la vostra idea.

Ma andiamo al punto. Parma è indebitata per 846 milioni di euro, e non certo per colpa del Movimento Cinque Stelle. Come lo stesso sindaco Pizzarotti dice nell'intervista che abbiamo mandato in onda, da una parte “ci sono i debiti con i fornitori, cioè imprese che hanno lavorato - e lavorano, aggiungiamo noi - per il Comune, e quelli vanno pagati senza discutere”. Ma quello che interessa di più, invece, sono i debiti delle società partecipate: parliamo di 579 milioni di euro (e sono dati del commissario straordinario, non miei). Una cifra molto molto rilevante, se pensiamo che il debito complessivo è di 846 milioni. Una grossa fetta di questi debiti delle società partecipate è con le banche.

La domanda è: questi debiti vanno ripagati? Alcuni cittadini della Commissione audit sul debito che ho intervistato sostengono che questa parte del debito vada rinegoziata con le banche, dopo che una commissione d'inchiesta ne verifichi la responsabilità. Pizzarotti sembrava essere d'accordo in campagna elettorale, visto che disse: "Non pagheremo i debiti illeciti". Quello che abbiamo fatto nella nostra inchiesta, quindi, è stato capire innanzitutto se vi siano dei debiti illeciti, e poi se sia possibile non pagarli.

Siamo andati a vedere per esempio la società partecipata SPIP, che ha un debito con le banche che ammonta a 1/8 del debito totale del comune di Parma. In questo caso le banche hanno erogato dei mutui ipotecari su dei terreni che erano stati acquistati a un prezzo superiore fino a 10 volte tanto il valore di mercato, mutui che potevano essere elargiti per contratto solo con la garanzia di edificabilità: peccato che questi terreni siano ancora a destinazione agricola. Ci sono stati degli illeciti oppure è stato tutto regolare? I cittadini della commissione sul debito chiedono di indagare e, qualora emergesse la responsabilità delle banche, di rinegoziare con loro la parte del debito che va pagata.

Il sindaco con noi è stato evasivo. Grillo sul suo blog parla della cessione della quota Stu Pasubio (un’operazione che avrebbe permesso al comune di diminuire il debito di 44 milioni). Basta ascoltare l'intervista integrale: questa cosa Pizzarotti con me non l’ha mai menzionata. Evidentemente Grillo ne sa più dello stesso sindaco…

Anche sulla diminuzione del 10% degli stipendi di sindaco, vice-sindaco e presidente del consiglio comunale, Pizzarotti nell’intervista non ne parla. Il sindaco rivendica inoltre un risparmio di 250.000 euro l'anno sulle auto blu. Ho puntualmente mandato in onda questo riferimento: Pizzarotti parlava di 300.000 euro.
Non negano, né Grillo ne Pizzarotti, che per far fronte a questa situazione difficile alla città stiano stati richiesti grossi sacrifici: tagli ai servizi e aumenti di tasse, come le tariffe degli asili. Nel servizio dico che i genitori si trovano a pagare tariffe maggiorate "fino al 70%". Pizzarotti sottolinea che le rette delle scuole sono aumentate soltanto per il 20% degli abitanti. Infatti non ho mai parlato di un aumento generalizzato delle tariffe.

Forse il sindaco avrebbero voluto dire di più e meglio, deduco che lo avrebbe voluto anche Grillo. Ma chi meglio del sindaco stesso può rispondere sulle questioni che riguardano la città di Parma? Anche su questo c’è bisogno di una consultazione ex post con i “capi” Casaleggio e Grillo? Risponda lui, il sindaco, anziché far rispondere o scrivere altri. Pizzarotti ha detto che avrei tagliato le sue risposte in modo da renderle "ridicole o incomprensibili". Anche dopo aver letto la versione con il marchio di garanzia di Casaleggio e Grillo - pubblicata oggi, più di un giorno dopo il mio servizio - non riesco a capire dove siano le manipolazioni: cosa avrei manipolato?
A questo punto penso che Grillo mi dovrebbe delle scuse, ma non me le aspetto. Ha una strana concezione del giornalismo. Ogni volta che un giornalista pone quantomeno degli interrogativi o fa degli approfondimenti sull'operato dei 5Stelle, o è un venduto o un servo. Ancora non è arrivato a dire come Berlusconi che chi osa criticarlo è un comunista, ma di questo passo…

Io mi limito a parlare del mio lavoro. Per quanto riguarda le accuse che Grillo rivolge a La7 e al suo editore Telecom, se vuole ne parlerà Michele giovedì. Io rispondo del mio lavoro, che ho svolto in piena autonomia, perché noi non siamo giornalisti a 5 Stelle, siamo giornalisti e basta.

Un P.S. per Grillo: se vuoi invitare i lettori del tuo blog a verificare coi loro occhi il lavoro da noi svolto, dovresti mettere un link anche al lavoro incriminato. Ma forse ti conviene di più gridare alla manipolazione, e sperare che venga letto solo il titolo…

I leghisti appoggiano i ladri che hanno truffato lo stato sulle quote latte e poi pretendono di dare lezioni di moralità sapendo come hanno speso i soldi del finanziamento ai partiti. A Bossi, ancora candidato, una casa per anno per 19 anni. Vergogna. E poi i cittadini perbene vengono perseguitati dalla burocrazia di funzionari messi al loro posto con lo spoli sistem cioè in base a quanto sono ruffiani rispetto ai partiti che li sistemano nei posti di potere.



L'INFRAZIONE DELLE NORME EUROPEE HA PRODOTTO UN DANNO DI 75 EURO PER OGNI ITALIANO
I truffatori delle quote latte
ci sono costati 4,5 miliardi
Nel 2009 l'allora ministro leghista Zaia salvò gli «splafonatori» privando Equitalia del potere di riscossione
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La giustizia farà certamente il suo corso. Confidiamo che i magistrati impegnati nell'inchiesta sulle quote latte, che nei giorni scorsi ha scatenato una tempesta politica, individueranno e puniranno i responsabili di una delle più clamorose truffe del nuovo secolo. Nel frattempo, ai cittadini italiani resta sul groppone il conto astronomico che i furbetti del latticino hanno fatto pagare finora allo Stato. Tenetevi forte: 4 miliardi 494 milioni 433.627 euro e 53 centesimi. Ovvero, 75 euro e 62 centesimi per ogni italiano, neonati compresi. Una somma che basterebbe a soddisfare il fabbisogno di latte fresco dell'intera nazione per un anno. Il calcolo l'ha fatto la Corte dei conti in una relazione appena sfornata, nella quale, oltre a numeri terrificanti, c'è una cattiva notizia. Rassegniamoci: recuperare quei soldi sarà quasi impossibile.
Esattamente trent'anni fa, nel 1983, la Commissione europea stabilì per la produzione di latte delle quote nazionali, con la motivazione che un'eccessiva quantità sul mercato avrebbe fatto crollare i prezzi. Per chi non avesse rispettato il plafond erano previste multe salate. L'assegnazione delle quote, com'era intuibile, finì per favorire i Paesi nordici. Ma i produttori italiani, invece di adeguarsi alla nuova situazione, continuarono come se nulla fosse accaduto. Risultato: dopo 12 anni si erano accumulate multe per l'equivalente attuale di circa 2 miliardi di euro. Il caos era totale. C'erano ritardi nell'adeguamento delle normative, dati taroccati, latte che arrivava dall'estero ma figurava italiano, quantitativi enormi di prodotto non fatturato... Che fare? Il governo accollò il conto all'Erario. Da allora in poi, però, gli allevatori che non avessero rispettato le quote, avrebbero dovuto pagare. Eccome.
Peccato che quasi nessuno, dal 1996, ha pagato. Mentre l'Unione europea continuava a incassare dallo Stato italiano i soldi delle multe, che scontava direttamente dai trasferimenti dovuti ai nostri agricoltori. La Corte dei conti dice che dal 1996 al 2010 «l'onere che l'Italia ha sopportato» per «gli esuberi produttivi accertati è quantificato dai 2.537 milioni di euro, versati alla Commissione». Denari che, prevede la legge, avrebbero dovuto restituire gli allevatori «splafonatori», ai quali sono state concesse ripetute agevolazioni, come quella di pagare in comode rate. Ma finora «il recuperato effettivo», avverte la Corte, «è trascurabile».
Il fatto è che ogni mezzo è stato buono per aggirare gli obblighi. Proroghe su proroghe, inefficienze degli organi preposti a far pagare, ricorsi e controricorsi. Per non parlare del valzer dei commissari ad hoc nominati di volta in volta dal governo. E dell'incredibile vicenda toccata all'ex senatore leghista Dario Fruscio, messo dal suo partito a capo dell'Agenzia incaricata di riscuotere le multe, e prontamente rimosso quando si è scoperto che le voleva far pagare sul serio. Ecco che cosa scrivono i magistrati contabili: «Costante è risultata, nel corso degli anni, l'interpretazione delle leggi vigenti da parte delle amministrazioni a favore dei produttori eccedentari». Fino all'ultima norma passata nel 2009, quando era ministro dell'Agricoltura il leghista Luca Zaia, attuale governatore del Veneto, che ha privato Equitalia del potere di riscossione. Riesumando addirittura, per il recupero delle somme dovute, le procedure bizantine di un regio decreto del 1910: centrotré anni fa.
Niente male, considerando che qui hanno scorazzato indisturbati anche i truffatori, responsabili di aver caricato sulle spalle degli ignari contribuenti centinaia di milioni di multe non pagate. Cooperative nate e fallite a ripetizione, migrando per tutto il Nord da Cuneo a Pordenone, inseguite dalla Finanza, dai giudici contabili, dai magistrati. E tutto alla faccia degli allevatori onesti. I quali hanno anche sborsato, dice la Coldiretti, la bellezza di 1,8 miliardi per rilevare o affittare le quote.
In tutta questa storia, anche se la Corte dei conti lo fa appena intuire, ci sono precise ed enormi responsabilità politiche. Perfino rivendicate da Umberto Bossi, il quale due anni fa prometteva sul pratone di Pontida ai Cobas del latte: «Non vi ho dimenticati. La Lega risolverà i vostri problemi». Il rapporto fra Carroccio e Cobas è stato sempre strettissimo. Lo dimostrano i finanziamenti al partito da parte di associazioni quali la Emilat del parlamentare leghista Fabio Ranieri. Ed è incarnato, quel rapporto, nella figura di Giovanni Robusti, storico leader dei Cobas, nel 1994 senatore della Lega cui venne perfino affidato l'incarico di presidente della commissione d'inchiesta sull'Aima, poi nel 2008 europarlamentare. Giusto un mese fa la procura della Corte dei conti ha chiesto di condannarlo a risarcire 182 milioni all'erario per la vicenda delle quote latte in Piemonte dove alcune cooperative battezzate «Savoia» figuravano fittiziamente come acquirenti del latte prodotto in eccesso da alcuni allevatori. A fine giugno 2012 Robusti si era già beccato quattro anni e mezzo di carcere nel processo d'appello che lo vedeva imputato.
Sergio Rizzo01 febbraio 2013 | 07:54

Ah, ah, ah........I leghisti vorrebbero parlare di banche. Del Monte dei Paschi di Siena . Non spiegano mai come é finita la banca che avevano loro. Parlano di banche lottizzate, ovviamente da loro. Se fossero stati nel Monte dei Paschi di Siena oggi non ci sarebbero neanche le sedie per fare un assemblea. Avrebbero portato via tutto. Come dire:" ladroni in casa nostra".


Lega: “Rimborsi elettorali ai terremotati dell’Emilia”. Ma poi li dà a Maroni

“Proporrò che l’intera tranche riguardante le politiche del 2008 venga devoluta alle popolazioni colpite”, diceva il 3 giugno 2012 il capogruppo alla Camera Dozzo. Ma i soldi sono stati dirottati sulla difficile campagna elettorale del segretario in Lombardia. E la promessa è stata rimangiata

Lega: “Rimborsi elettorali ai terremotati dell’Emilia”. Ma poi li dà a Maroni
Eppure lo avevano promesso. Che l’ultima tranche dei rimborsi elettorali della legislatura 2008-2013 sarebbe andata alle popolazioni terremotate dell’Emilia. Prima Roberto Maroni annuncia che sarebbero stati devoluti in beneficenza. Poi il 3 giugno 2012 Giampaolo Dozzo, capogruppo del Carroccio alla Camera, afferma durante il congresso della Liga Veneta: “Proporrò che l’intera tranche di rimborsi elettorali riguardanti le politiche del 2008 venga devoluta alle popolazioni dell’Emilia colpite dal terremoto”. Sembrava fatta. Soprattutto dopo che lo stesso segretario, l’11 novembre, aveva lasciato tra le mani del sindaco di Bondeno, il leghista Alan Fabbri, un assegno da un milione di eurocome promesso nella sua prima uscita ufficiale il 14 luglio.
Tutti gli altri comuni duramente colpiti, si pensava, sarebbero seguiti di lì a poco, dividendo il rimanente della faraonica terza tranche del rimborso. La stessa che era stata bloccata, sempre a giugno 2012, dopo che al Senato erano state riscontrate incongruenze nei bilanci leghisti: 17 milioni e 547 mila euro. Invece no. La Lega non ha dato più un soldo. Se li è messi tutti in tasca. Con uno scopo preciso: finanziare la campagna elettorale per Maroni presidente della Lombardia. Il segretario del Carroccio, con in tasca il sogno della “macroregione europea”, un’illusione geografica prima ancora che politica, ha deciso di dare fondo alle casse leghiste per i manifesti 6×3 che tappezzano (non sempre legalmente) Milano e il resto della regione.
A confermare le voci e i malumori che da giorni si rincorrevano nelle tante case del Carroccio, lo stesso tesoriere della Lega Nord, Stefano Stefani, in un’illuminante intervista alla Padania di due giorni fa. “Per la campagna elettorale spenderemo cinque milioni di euro – ha detto Stefani – considerata la doppia campagna, per le Politiche e per le Regionali”. Secondo il tesoriere è una cifra in linea con le campagne elettorali del passato, ma né Zaia né Cota hanno goduto di tanto ben di Dio in Veneto e Piemonte. Stefani ha spiegato che stavolta il gioco vale la candela, che “è in gioco la Lombardia, che è un passaggio molto importante”, dunque per il segretario e la conquista del Pirellone si può fare.
E i terremotati? Dice Gianluca Pini, capolista alla Camera in Emilia per il Carroccio: “Abbiamo dato un milione di euro di rimborsi elettorali e un controvalore di circa 2 milioni in beni e generi vari raccolti dalle sezioni. Comunque, queste cose deve chiederle a Fabio Rainieri segretario dell’Emilia, è lui che ha gestito. Io mi occupo della Romagna dove fortunatamente non abbiamo avuto il dramma del terremoto. Una parte consistente è stata consegnata durante la manifestazione di Bologna di novembre”. Secondo Pini, “è Rainieri che se ne è occupato. Io non le so dire assolutamente nulla. Mi pare di ricordare che la proposta di dare una parte dei rimborsi elettorali alle popolazioni terremotate venne fatta immediatamente dopo le scosse quando ancora il rimborso elettorale era ‘pieno’. Dopodiché venne fatto un decreto per dimezzarli (che però non è passato, ndr) e dare la parte eccedente ai terremotati”.
E che dice, allora, Fabio Rainieri, segretario del Carroccio in Emilia e numero 2 nella lista per il Senato subito dopo Tremonti? “Un milione, abbiamo sempre detto uno, ci sono le dichiarazioni anche di Maroni. A voi risulta sbagliato. Lo abbiamo detto a Bologna alla manifestazione (di novembre, ndr), lo abbiamo detto a Ferrara e a Bondeno quando Maroni disse questa cosa. Noi avevamo detto uno solo”. Ma voi avevate chiesto qualcosa in più come emiliani, per i terremotati? “No, quel milione di euro per Bondeno e per altri paesi attorno”. Quindi non ci sarà altro? “No, sono quelli che avevamo promesso e che abbiamo stanziato”.
Peccato che quella dichiarazione di Maroni in cui si parla “solo” di un milione se la ricordi solo Rainieri. Di quelle che dicono il contrario, invece, la rassegna stampa è piena. Così come è certo che quel denaro sarà finalizzato ai manifesti e alle singole segreterie del Movimento per le spese correnti in campagna elettorale: 840 mila euro al Veneto354 mila al Piemonte168 mila all’Emilia76 mila alla Romagna126 mila al Friuli-Venezia Giulia113 mila alla Liguria, 68 mila alla Toscana, 17 mila alla Valle d’Aosta e 14 mila all’Umbria. “Questi fondi – spiega ancora Stefani, confermando le voci – sono parte dei contributi elettorali che abbiamo accantonato e parte dei contributi che hanno versato tutti i parlamentari e i consiglieri regionali”.
Esattamente ciò che la Lega, a macerie ancora fresche, aveva promesso per la ricostruzione, se Maroni avesse mantenuto la promessa. Non a caso, secondo il candidato presidente Gabriele Albertini, i manifesti nei quali Maroni giura di avere “la Lombardia in testa” sarebbero costati circa un milione di euro, mentre secondo la Lega solo 350 mila. Alla fine, comunque vada, saranno complessivamente 5 milioni quelli che verranno buttati nella campagna elettorale. “Sono – spiega Stefani – i soldi che abbiamo stanziato e che spenderemo; con me tesoriere del movimento non scappa neppure un euro, e speriamo pure di recuperare quelli che ci hanno ciulato (rubato, ndr)”.
A rubarli non è stata Roma ladrona, come raccontano le storie poco edificanti dei fondi di partito investiti in diamanti o in fondi della Tanzania: “Abbiamo fatto i conti e penso che al momento opportuno ci costituiremo parte civile – continua Stefani – speriamo di recuperare il maltolto. Non sono molti soldi – precisa – rispetto a quelli di altri partiti. Se penso ai milioni distratti dalle casse del partito da Lusi (l’ex tesoriere della Margherita accusato di essersi appropriato di oltre 23 milioni, ndr), i nostri sono inezie”. Come invece non sono i rimborsi elettorali. Che i terremotati non vedranno mai per consentire a Maroni di far pensare a tutti i “lùmbard” di avere il Pirellone in testa. Ma solo quello.
di David Marceddu e Sara Nicoli
da Il Fatto Quotidiano del 2 febbraio 2013

Finalmente ci è arrivato anche Favia. Sono almeno tre anni che lo scrivo e lo dico. Come dire:" Sono avanti, sono tanto avanti che quando guardo indietro vedo il futuro.


Favia vs M5S: “C’è un parallelismo con le sette: se ne esci ti fanno sentire in colpa”

Tra Giovanni Favia e Beppe Grillo continuano a volare parole pesanti. Ieri il consigliere regionale emiliano, candidato alla Camera di Rivoluzione Civile alle prossime elezioni, è tornato a parlare del Movimento 5 stelle da cui è stato espulso, durante la presentazione a Roma del libro ‘L’armata di Grillo’ del giornalista di Repubblica Matteo Pucciarelli. “Il M5S non è una setta, ma ci sono dei parallelismi: è una comunità così totalizzante che quando ne esci sei finito – ha dichiarato Favia -. Non è un partito, ma un blog gestito da un’agenzia di marketing che mobilita dei cittadini, decidendo se, come e perché farlo: su questo non si può mettere becco”. “La cattiveria con cui mi hanno attaccato, la falsità e la violenza delle cose che mi hanno detto – spiega ancora l’ex grillino- mi fanno vedere tutto da un altro punto di vista. Per alcuni aspetti ora il movimento mi spaventa”. Favia rifiuta che il suo nuovo movimento, Rivoluzione Civile, venga legato ai “vecchi” partiti che hanno contribuito a fondarla (Italia dei Valori, Rifondazione comunista e Comunisti italiani): “Attaccare Ingroia è diventato lo sport nazionale. Ma Diliberto è in posizione ineleggibile, Di Pietro è stato candidato da Grillo a presidente della Repubblica, mentre Ferrero era fuori dal Parlamento e ha fatto battaglie importanti. La maggior parte dei candidati viene dalla società civile”. Il partito di Ingroia, però, non è il punto di approdo di Favia: “La mia ambizione è un nuovo movimento che superi la forma partito: il sogno che Grillo mi ha rubato”. E Rivoluzione Civile cosa sarà tra cinque anni? “Questo non lo so”  di Tommaso Rodano

Mamma che bufale. Cita numeri e dati che verificati risultano falsi. Eppure nessuno li controlla. Io lo faccio sempre perchè i numeri e la verità sui dati sono la mia passione. Quante bugie. Che se deve fa' per non farsi processare dai giudici italiani che sono tra i migliori al mondo.


Sondaggi, la bufala della rimonta di Berlusconi

01/02/2013 - Il Cavaliere resta a 7 punti da Bersani. Pd al 30%. Pdl al 19. Monti e Grillo al 14. Ecco tutti i numeri

Sondaggi, la bufala della rimonta di Berlusconi
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Il Partito Democratico subisce una flessione per il caso Monte dei Paschi. Il Popolo della Libertà recupera. Il gap tra le principali coalizioni si riduce. Ma che il centrodestra stia compiendo una vera e propria rimonta non è altro che una bufala. Lo dicono 16 sondaggi realizzati da 16 diversi autori nelle ultime due settimane. La media di tutte le rilevazioni sulle intenzioni di voto alle prossime Politiche effettuate tra il 17 e il 30 gennaio segnala un distacco di ben 6,7 punti tra centrosinistra e centrodestra a favore della coalizione di Pier Luigi Bersani, più del doppio di quanto annunciato negli ultimi giorni da Silvio Berlusconi. “Siamo a 2,6 punti dalla sinistra”, ha infatti ripetuto più volte il Cavaliere, riferendosi con ogni probabilità al sondaggio del 28 gennaio di Euromedia, istituto che ha fornito cifre non in linea con i dati diffusi da altri istituti.
BERLUSCONI AL 28,5% – In media il Pdl si ferma al 19% dei consensi, la Lega Nord al 5,3, l’intera coalizione berlusconiana al 28,5. Il partito dell’ex premier viene segnalato oltre la soglia del 20% da 4 istituti: da Emg (sondaggio realizzato il 24-25 gennaio per La7), Lorien Consulting (rilevazione del 25-27 gennaio pubblicata su Italia Oggi), Euromedia Research (cifre diffuse su TgCom24) e Tecnè (interviste del 30 gennaio per SkyTg24). Il Carroccio oscilla dal 4,1% indicato da Demos (sondaggio del 22-28 gennaio pubblicato da Repubblica) al 7% netto stimato da Piepoli (28-29 gennaio).
BERSANI A +6,7 – Il centrosinistra, secondo gli stessi sondaggi, vale il 35,2% dei consensi. Il partito di Bersani, in costante calo nelle ultime settimane, viene valutato mediamente al 30,1%, e si muove dal 27,9% stimato da SpinCon (interviste web realizzate tra il 24 e il 26 gennaio) e il 32,8% di Demos. Sel è pittosto stabile al 4,2%. Il miglior risultato per la lista Seldi Nichi Vendola è stato segnalato da Ispo Ricerche (sondaggio del 17 gennaio diffuso a Porta a Porta): 4,9%.
MONTI STABILE AL 14,3% – Si è stabilizzata tra il 14 e il 15% alla Camera la ‘fetta di mercato elettorale’ della coalizione centrista di Mario Monti. Secondo i sondaggisti, se si andasse oggi alle urne, la lista Scelta Civica del premier otterrebbe tra il 9 e il 10% di consenso, in media il 9,6%. La nuova formazione guidata da Professore continua ad erodere consenso agli alleati Casini e Fini. Su 16 autori di sondaggi solo due stimano l’Udc oltre il 4%: Demopolis (rilevazione del 22-24 gennaio per La7) e Demos. Per Emg, invece, lo scudocrociato otterrebbe oggi solo il 3,1% dei voti. Mediamente Futuro e Libertà vale solo l’1% netto.
INGROIA SEMPRE OLTRE IL 4% – La crescita della lista Rivoluzione Civile sembra essersi interrotta. La formazione guidata da Antonio Ingroia che unisce Federazione della Sinistra, Verdi, Idv e il Movimento Arancione di Luigi de Magistris, se si votasse oggi, non avrebbe difficoltà a superare lo sbarramento del 4% previsto per i partiti non coalizzati. Nessun sondaggista stima infatti il nuovo simbolo della sinistra radicale al di sotto della soglia.
GRILLO REGGE AL 13,9% – Il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo si aggira in media al 13,9% dei consensi, e si muove dall’11% indicato da Piepoli al 18 di Swg (sondaggio diffuso stamane durante la trasmissione di Raitre Agorà). La lista Fare per Fermare il Declino diOscar Giannino fa registrare cifre discordanti, oscillando dallo 0,8& di Quorum (interviste web del 28-29 gennaio per Tiscali) al 4,7 di Scenari Politici (rilevazione effettuata via internet nel periodo 24-26 gennaio). I Radicali, infine, che si presentano alle Politiche con la listaAmnistia Giustizia Libertà, si muovono dallo 0,4% di Swg all’1,5 di Euromedia.

CENTRODESTRA DIMEZZATO – Se lo spoglio delle schede il 25 febbraio dovesse confermare le stime dei sondaggisti a meno di un mese dal voto, alla Camera Pd, Sel ed altri partiti del centrosinistra non avrebbero difficoltà a conquistare l’ampio premio di maggioranza del 55% dei seggi (340 su 630 deputati, ai quali potrebbero poi aggiungersi l’onorevole eletto con sistema maggioritario in Valle d’Aosta e i rappresentanti delle minoranze linguistiche). Al largo fronte delle opposizioni non resterebbe che spartirsi i restanti seggi (12 sono destinati ai deputati eletti nella circoscrizione Estero con sistema proporzionale). Pdl, Lega ed alleati conquisterebbero 128 seggi, esattamente il doppio rispetto alla coalizione di Monti composta da Udc, Fli e Scelta Civica (64), e meno del 40% dei posti di deputato conquistati dallo stesso centrodestra nel 2008. Grillo riuscirebbe a piazzare 62 candidatiIngroia, con il 4,7% dei voti, riuscirebbe a far eleggere, infine otterrebbe 21 seggi.

Giustizia ad orologeria. Prima delle elezioni non si può celebrare processi contro Berlusconi. Dopo le elezioni si potranno celebrare ma se Berlusconi vince farà delle leggi ad personam che impediranno di celebrare i suoi processi. Nel frattempo ogni giorno le persone perbene che denunciano reati commessi da politici e sindacalisti vengono perseguitati da quelli che dovrebbero essere i funzionari dello stato fedeli alla costituzione. E chi si oppone a loro non solo non rimanda i processi ma chiede di farli rinunciando ad ogni forma di prescrizione. malgrado tutte queste persone che non esercitano la loro funzione con onore e dignità l'Italia ce la farà.


Mediaset, corte d’Appello rinvia ma allunga calendario ai sabato di marzo

Per la terza volta i legali di Berlusconi avevano invocato la sospensione delle udienze, ma gli avvocati avevano protestato e abbandonato l'aula costringendo i giudici a entrare nuovamente in camera di consiglio. Oggi il pg avrebbe dovuto iniziare la requisitoria. Prossima udienza l'8 febbraio. In primo grado il Cavaliere condannato a 4 anni

Ghedini e Longo Processo Mediaset
Alla fine l’udienza è stata rinviata e dopo un’istanza, un rigetto e uno show dei legali del Cavaliere che hanno abbandonato l’aula. La Corte d’Appello di Milano ha confermato l’ordinanza con la quale aveva bocciato il legittimo impedimento chiesto dalla difesa di Silvio Berlusconi, ma ha anche rinviato l’udienza all 8 febbraio prossimo. E’ saltata così la prevista requisitoria del pg Laura Bertolè Viale prevista oggi. I giudici hanno motivato il rinvio con la necessità di concedere tempo ai legali di Berlusconi per consultare il loro assistito e decidere sull’eventuale rinuncia al mandato difensivo. I giudici hanno quindi allungato il calendario del processo Mediaset fissando quattro udienze a marzo (2,9,16 e 23, tutti sabati). Hanno inoltre sospeso la prescrizione. 
Il nuovo no all’ennesima richiesta di legittimo impedimento per campagna elettorale presentata alprocesso Mediaset dai legali di Silvio Berlusconi, imputato per frode fiscale, era arrivato dopo una mattina di bagarre in aula. I giudici della seconda sezione della Corte d’appello di Milano avevano bocciato l’istanza che avrebbe permesso l’inizio della requisitoria. Secondo il tribunale, non costituiscono legittimo impedimento per il Cavaliere né la riunione con gli europarlamentari del suo partito in programma questa mattina, né la presentazione dei candidati nella Regione Lazio fissata per questo pomeriggio.
I legali dell’ex premier, Niccolò Ghedini e Piero Longo, dopo aver protestato con i giudici, avevano lasciato l’aula e nominato un sostituto. Gli avvocati, che sono parlamentari e attualmente candidati, avevano anche annunciato che avrebbero revocato il mandato se il collegio non avesse ritirata la sua decisione: “Lesi i nostri diritti”. Anche il pg, Laura Bertolesi Viale, aveva chiesto la revoca dell’ordinanza “per la serenità del processo”. I giudici della Corte d’Appello si quindi erano riuniti nuovamente in camera di consiglio per decidere se confermare o revocare l’ordinanza.  Persolidarietà con i difensori di Silvio Berlusconi e per protesta contro la decisione della corte d’appello anche tutti gli altri difensori degli imputati nel processo Mediaset hanno abbandonato l’aula e nominato un unico sostituto processuale.
Per la terza volta e per il terzo venerdì consecutivo, la difesa di Silvio Berlusconi aveva chiesto il rinvio del processo d’appello Mediaset (in primo grado il leader del Pdl è stato condannato a 4 anni, ndr) a dopo le elezioni e che venisse dichiarato il legittimo impedimento sia dell’ex premier, sia dei suoi due avvocati-candidati, Piero Longo e Niccolo’ Ghedini. Nelle due occasioni precedenti, il tribunale aveva respinto la richiesta di rinviare il processo. Oggi, Longo ha affermato che “deve essere dato spazio alla politica nel suo senso originario e, quindi, alla campagna elettorale”, aggiungendo che non vorrebbe essere messo nelle condizioni di fare una “scelta amara tra il diritto alla difesa dell’imputato e quello alla partecipazione alla campagna elettorale”. Ghedini ha fatto presente che “i palinsesti televisivi non sono a richiesta dei candidati e se non si va si perde la possibilità di partecipare perché gli spazi sono quelli”, riferendosi agli eventuali impegni che l’ex premier avrà di qui al giorno delle elezioni. 
Secondo Ghedini, i giudici del tribunale di Milano hanno respinto la richiesta per il “timore della prescrizione che cade nel giugno 2013″. Subito dopo la lettura dell’ordinanza l’avvocato ha attaccato duramente il collegio: “Siete indifferenti a qualsiasi impegno di Berlusconi e voglio far mettere a verbale che chiedo la revoca dell’ordinanza e vi spiego le ragioni”, il legale ha affermato che il tribunale “chiede leale collaborazione ma non la offre”. “Si presuppone – è il ragionamento di Ghedini – che su 25 giorni rimanenti al voto, Berlusconi debba rinunciare a sei giorni di campagna elettorale, tre per questo processo e tre per un altro. Questa è la pervicace volontà di fare un processo d’appello fissato in tempi mai visti dopo le motivazioni. La vostra decisione è quella di disattendere la volontà di Berlusconi di essere presente. C’è una strada segnata per questo processo. Voi sapete che la richiesta di condanna avrà un rilievo mediatico, la corte non può non rendersi conto che fissare la requisitoria oggi è una intromissione nella campagna elettorale”. Infine, Ghedini ha detto: “La nostra presenza qui è del tutto inutile, il senso delle istituzioni ce l’avete voi, ma ce l’abbiamo anche noi avvocati. Oggi voi avete decretato l’inutilità della nostra presenza in questo processo”.
L’avvocato generale Laura Bertole’ Viale, rappresentante della pubblica accusa, si era opposta alla richiesta di rinviare sulla base del legittimo impedimento il processo. Da registrare che il presidente del collegio, Alessandra Galli, ha disposto il divieto per i giornalisti di sedersi nei banchi dell’aula, nonostante ci sia spazio, e di tenere telefonini e iPad che, a suo dire, potrebbero essere utilizzati per riprendere le immagini del processo. Un cronista che si è rifiutato di adeguarsi al divieto è stato identificato da uno dei sette carabinieri che presidiano l’aula.
Intanto Berlusconi, attraverso i suoi legali, ha presentato un’istanza di legittimo impedimento per l’udienza di lunedì prossimo per il processo sul caso Ruby, quando ‘da programma’ è previsto la testimonianza del pm minorile Annamaria Fiorillo. L’impedimento per il processo Ruby è stato chiesto in vista di due riunioni per la campagna elettorale.

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